Lo stesso autore  individua correttamente anche una causa antica nelle crisi di identità del nostro: il fatto che i suoi genitori gli dettero il nome "Vincent" che apparteneva al fratellino morto che lo precedeva. A due passi da casa sua la piccola lapide nel cimitero di Zundert, (ultima zona belga al confine con l'Olanda)  gli ricordava di essere  una  sorta di "sostituzione". L'esperienza psicoterapeutica dimostra quanta  importanza abbia il nome nella vita di una persona tanto è associato a sensazioni e pensieri postivi o negativi.

Certo è che Vincent condurrà una vita anno dopo anno sempre più da scapestrato. Aveva avuto pure in mano la possibilità di inquadrare la propria esistenza proseguendo l'attività di pastore e predicatore di suo padre. Il fervore religioso non gli mancava, pronto com'era ad aiutare la povera gente , ma non era disposto ad accettare  dogmatismi  e  farisaiche ipocrisie . Il vissuto religioso per lui doveva essere spontaneo, dettato dalla natura stessa in modo panteistico, come le sue lettere e i suoi quadri documentano.

Dopo un amore "ideale" non ricambiato, quello con Ursula, le sue donne furono prostitute. Da una di esse contrasse la blenorragia e fu costretto al ricovero per essere curato. Finì quindi per non credere più all'amore, ad una vita affettiva stabile e tranquilla, almeno per lui stesso.

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Di puro gli rimaneva la pittura, l'unica cosa per cui valesse vivere : l'arte. E i suoi studi, le sue ricerche artistiche furono febbrili. Cercò di dipingere la realtà del sentito dove il colore precedeva la forma ossia l'emozione anticipava la riflessione. Quante volte rimase sotto il vento e al freddo con poco e nulla da mangiare per dipingere i suoi paesaggi, quasi a coglier nella natura quel divino di verità, di infinità, che in realtà lo assetava dentro! Oppure dipingeva non il mondo falso e costruito della borghesia ma quello della gente che lavora, che fatica, che geme o  si perde nella miseria dell'abbandono.

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Divenne amico di diversi artisti tra cui Gauguin ( quadro successivo) : tanto era modesto Vincent tanto era spaccone Paul. Dopo la morte dell'amico quest'ultimo trovò modo di esaltarsi dichiarando che tutto quel che c'era di buono nell'arte di Van Gogh era merito suo, del suo insegnamento. E dire che il sogno di Van Gogh era di creare una comunità di artisti, un luogo in cui potessero aiutarsi a vicenda soprattutto con la ricchezza delle idee e dell'esperienza, dove al posto dell'invidia e della esaltazione personale regnasse la fratellanza , l'unità nell' ideale della bellezza.

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Ma l'unica presenza costante  nella sua vita a sorreggerlo moralmente con una sincera fiducia nella sua arte e finanziariamente fu il fratello Theo. Già da ragazzini si promisero a vicenda di aiutarsi per tutta la vita, di mantenersi in rapporto scrivendosi. E così fu. Tutti e due vissero per l'arte anche se Theo come intenditore nel mondo del mercato. Un legame sottile li legò: l'uno si gettò allo sbaraglio nella vita, l'altro cercò punti di riferimento stabili nel lavoro e negli affetti. Anche il destino li unì: dopo la morte del fratello, Theo non resse più anche   psicologicamente e dopo sei mesi morì.

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