stati e stazioni

 

 

prof. dott.Nazzareno Venturi ©

(ogni trascrizione completa o parziale dei saggi presenti sul caravanserraglio,  provenienti da pubblicazioni protette da copyraght, può essere fatta solo tramite autorizzazione - il presente testo è stato pubblicato col permesso dell'autore-)

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Nell'itinerario della mente a Dio di S.Bonaventura vengono descritte le tappe che il pellegrino compie nel suo viaggio interiore verso la contemplazione unificatrice col divino. Il mondo sensibile è visto come una teofania ed ogni cosa nello spazio-tempo come un calco che reca l'impronta dell'Artefice. Attraverso il purificarsi della mente e con l'acquisizione delle virtù (strumenti dell'evolversi interiore che si stabilizzano come condizioni d'essere) l'anima si disincrosta dei residui terreni e passionali per immergersi nell'oceano divino.

Quest'opera, del resto non unica nel mondo cristiano medioevale (ma di estremo valore come fece presente Rosmini, l'eminente filosofo roveretano) riprende il concetto del viaggio verso l'Uno indicato da Plotino il quale a sua volta riflette i motivi sapienziali della liberazione dell'anima di Platone. Ma ancora risaliamo ai misteri orfici fino alla ricerca sciamanica, dove non si concepisce una speculazione astratta ma verifiche e vissuti reali dell'anima. Dal viaggio sciamanico a quello celeste descritto nelle grandi opere cinesi, babilonesi, islamiche (in cui si inscrive anche la Divina Commedia) il motivo è lo stesso. La religiosità, insomma, prima di essere una struttura dogmatica precomprensiva e istituzionale è un vissuto dell'anima. Non è importante la bottiglia ma il vino che c'è dentro ed il collezionare bottiglie non rende per questo ubriachi né intenditori.

Lo spirito francescano di Bonaventura riflette la mistica sufi che il poverello d'Assisi aveva ben assimilato tanto da trasformare la sua esistenza e permettergli di dare ossigeno alla stessa cristianità. Un itinerario verticale, dunque, è la vita dell'anima pur relazionata a quella del corpo che orizzontalmente dalla culla finisce alla tomba. Nell'evolversi spirituale ci sono situazioni caratterizzanti che si riversano sul piano orizzontale, esistenziale. In altri termini le situazioni della vita riflettono non solo quelle determinate dal nostro agire e pensare nel mondo ma dal modo in cui ci si rapporta col Sè (attraverso il senso della bellezza, della giustizia e della fede). E' l'eterno che si incrocia con la temporalità, l'infinito col finito.

 In un mondo come l'attuale di un piattume consumistico esasperato, di una vuotaggine di valori e di sensibilità per le cose che contano davvero sembra paradossale parlare di questa magnificenza presente nell'essere umano e nella Natura tutta. Questa specie di scimmia glabra sembra interessata solo ad espandersi quantitativamente su tutto il globo disseminandolo della sua spazzatura, una corsa suicida parallela alla distruzione ambientale, tra asfalto e cemento e veleni. ll contatto con la sua straordinaria qualità di essere ricettacolo dei beni dello spirito sembra essere estinto, confinato nell'illusione di chi ha tanto i piedi ben piantati per terra da sprofondare in essa. Eppur grandi anime capaci di scienza e saggezza, ma anche solo di apprezzare l'arte e la poesia e una riflessione evoluta non sono mai mancate. Lo spazio-tempo è una gabbia per chi non ha sentimenti sufficienti per volar via e rendersi conto che il mondo è molto più vasto di essa (per parafrasare una storia cara ad Avicenna). Maestro Eckart parlava di "vita sub specie aeternitate": nella consapevolezza spirituale passato e futuro si coagulano nella centralità di un presente extrafenomenico. Non raramente i mistici hanno predetto la loro morte e si sono sganciati dalle limitazioni fenomeniche. Così vuole una tradizione che non è fatta solo di astrazione filosofica ma di vissuto-amore sapienziale.

 Nel sufismo le stazioni indicano situazioni interiori che sono tutt'uno sul piano della consapevolezza e dell'esperienza come il simbolismo della croce chiarisce. Esse si traducono nella vita, nel fare oltreché nel pensiero. Gli stati, invece dato il loro carattere momentaneo possono certo "segnare" la vita ma non trasformarla armoniosamente. E' un conto avere "sentore" d'una cosa, altro è "conoscerla".

Va precisato che gli stati e le stazioni (hal e makam) non sono da confondersi con le visioni mistiche essendo queste, in genere, molto circoscritte alla religione o all'inconscio condiviso d'appartenenza piuttosto di quello archetipico arcaico seppur questo alimenti quello, come vedremo meglio dopo. Ragion per cui santa Teresa ha visto il "suo" inferno o il "suo" paradiso, che poi è quello cattolico che lei aveva introiettato, mentre un buddista vedrà quello della sua tradizione, e avanti parlando di un indù, di uno scintoista, di un pellerossa. Non c'è pericolo che ci siano scambi di visioni, esattamente come solo dopo una globale famigliarità con una lingua straniera si comincia a pensare con essa. E' invece importante considerare il minimo comun denominatore alla base di un simbolo od una icona, per esempio a monte delle dee e delle madri divine c'è sempre la Grande Madre o il Femminile, alle radici delle immagini dell'inferno di ogni religione c'è la paura ancestrale dell'oscurità, di essere inghiotti in essa e non poterne più uscire. Insomma l'inconscio collettivo coi suoi archetipi come espresso da Jung.

Lo stato è relazionato alla Grazia (Barakha), è un dono che viene vissuto non solo dal viandante ma potenzialmente da chiunque sia nelle condizioni giuste, in termini di dilatazione interiore, di ebbrezza, di amore, di certezza di un piano che oltrepassa le limitazioni delle percezioni ordinarie. Oppure di contrazione, nel momento di consapevole pentimento della miseria umana, soprattutto della propria. Si tratta in un caso e nell'altro di  un passare oltre l'esistenza condizionata dall'apparenza, dall'egoismo per rinascere in una percezione più libera e permeata dalla saggezza. E' un processo alchemico vissuto sulla propria pelle dove la rubedo significa intimità col divino, consapevolezza che Dio nel Suo Tutto è Uno e nulla è fuori di Lui o associabile a Lui. Certamente molti stati anziché essere spirituali sono in genere emotivi, non per questo non importanti nel fluire della vita interiore, come quando si ascolta una buona musica o si rimane commossi da un paesaggio, da un'opera d'arte, o da particolari vicende umane. Altri ancora sono negativi, effetto di squilibri, tipici del resto in chi è immerso nel mondo infantile della magia o di devianti spiritualismi.

Le stazioni sono stati permanenti, ossia condizioni interiori normali in cui la virtù che prima era strumento d'ascesi diventa un'acquisizione stabile facente parte della propria natura. Comunque, sempre legate al processo di unificazione con la realtà divina la quale riassorbe tutto quanto prima era percepito separatamente. Gli eventi stessi vengono visti come un'espressione dei Nomi divini e non come un meccanismo esterno indipendente. La percezione dell'Essere unifica tutte le altre. Esiste anche una correlazione tra gli stati ed il risveglio dei chakras, percepiti fisicamente sotto forma di calore e di luce. E' insomma la liberazione dell'energia (kundalini nei tantra, la libido secondo Jung) prima addormentata nelle ombre materiche.

Mentre la letteratura mistica cristiana presenta in modo poetico le esperienze degli stati interiori. nel sufismo i diversi maestri delle tariqah hanno cercato anche di farne una scienza quantificando ed enumerando questi stati, ma va da sé che, essendo ogni persona irripetibile, ogni descrizione si piega e ritrasforma in modo soggettivo. Certamente esiste pure una successione per cui ad un grado ne segue un altro inglobando il precedente, come nella comprensione ordinaria dove, per esempio, per apprezzare il significato di un'opera artistica  prima bisogna averne studiato i simboli rappresentati. Per fare del buon pesto alla genovese occorre procurarsi gli ingredienti giusti e amalgamarli come si conviene. Al di là della pretesa di catalogare e sistemare una realtà che comunque è trascendentale, c'è una la logica che non serve a dimostrare ma solo ad indicare un vissuto interiore non un atto intellettuale.

A differenza della mistica cristiana dove non esiste una continuità iniziatica tra maestro e discepolo, nel sufismo  la formazione é fondamentale. La guida valuta gli stati degli adepti, correggendo o pausando, in certi casi, il loro cammino. Solo dopo un lungo apprendistato il maestro lascerà ad un suo fratello la facoltà di continuare a insegnare e iniziare altri, e così avanti nei secoli. Quel che distingue i maestri è proprio il mantenimento di quelle istanze interiori, di quella saggezza derivata dall'esperienza, di quella capacità di ritrovare l'equilibrio nel baricentro del Sè  che ricollega questo mondo al suo Principio. Un maestro è chi ha la consapevolezza reale  (capire e convenire è un'altra cosa) che in realtà l'unica Guida è Dio. La differenza tra gli stati spirituali e le stazioni è insomma quella tra l'intuizione ed un sapere ormai acquisito nella mente e nel cuore, ma meglio nell'Anima stessa.

Senza l'umiltà (consapevolezza del proprio stato: quel che si è in quel momento) non c'é sincerità e quindi ogni possibilità di realizzazione è compromessa. Le virtù sono gli ingredienti indispensabili per l'alimento interiore. Anche una lettura, un film, una compagnia è positiva, fa bene, quando c'è qualcosa di virtuoso in essa e a ben guardare, in mezzo a tante cose stupide, inutili o dannose, si trova sempre qualcosa di buono. Ecco, quando le cose sembrano proprio arrivare spontaneamente al momento giusto, quel libro, quella persona, quell'evento allora qualcosa si comincia a capire davvero. Alla base di tutto il cammino, oltre allo sforzo individuale, c'è il richiamo spirituale, l'esigenza metafisica, e in questa vocazione ogni virtù consapevole (ossia non "recitata" per compiacere a se stessi e agli altri) chiede di essere attuata, di stabilizzarsi nella grazia che pur permea da sempre l'universo intero. Del resto lo sforzo senza vocazione si spegnerebbe subito in quanto essa funge anche da motivazione capace di superare i richiami esteriori.

La maggioranza delle persone che bussano alla porta di una tekkè alla ricerca della Verità in realtà vivono profondi disagi psicologici, soffrono perché gli manca qualcosa non di spirituale ma di materiale. Dio, il gruppo, il maestro, i riti, le dottrine sono bastoni su cui sorreggersi. Ritrovata la salute, l'amore, i soldi chi s'è visto s'è visto e si ritorna nel paese dei balocchi. Oppure, avendo già tutto questo, per rompere la noia e cercare qualcosa di diverso.

La realizzazione del Sé  (al cui apice, per effetto mistico, c'è la consustanziazione con la Verità- alHaqqu- e la sua testimonianza quale quella di alHallaj ) è la meta del viaggio. Per i mistici cristiani essa si connota nell'identificazione con l'universalità di Gesù. Chi la compie (o la "svolge" in un Lavoro che termina con la vita stessa), esteriormente non è diverso dagli altri, se non per un equilibrio affettivo e di ragionevolezza non comune in mezzo a tante nevrosi e fobie caratteristiche di quest'epoca; la quotidianità motivo stesso, durante il viaggio, di osservazione e sublimazione, continua a scandire i propri ritmi negli interessi e doveri comuni. Ma la differenza sta nell'intimo, non più umiliato od esaltato da nessuna cosa di questo mondo, ormai rappacificato dal sapere stesso. Inoltre l'unica realtà di cui si può essere orgogliosi è l'anima divina che pur non ci appartiene, e l'umiliazione è data dalla Verità stessa che ci riconduce al buon senso ed alla consapevolezza del limite sempre presente nella vita terrena. Cito infine Abd el Kader: Ma per noi vi è soltanto una Realtà unica, eterna, la cui trascendenza esclude che le cose contingenti siano presenti in sé o che Essa sia presente nelle cose contingenti.

 

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