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Anche solo il far del bene al malvagio può equivalere al far del male al buono
 
 
Saadi di Shiraz

 

 

SULLA  PSICOANALISI

premessa alle domande inviateci

La prima cosa da scoprire è che la psicoanalisi non è una invenzione moderna di S.Freud. Freud, come tanti altri in ogni tempo e civiltà, ha analizzato una realtà sotto gli occhi di tutti, la psiche con i suoi processi istintuali, emotivi, razionali normali o alterati. Un oggetto che non può prescindere, per essere studiato, dalla sua base neurologica. Egli era un neurologo per cui ha cercato di analizzare scientificamente dei processi senza precomprensioni di tipo religioso o ideologico-filosofico. Ma già nel medioevo, soprattutto tra i medici sufi, questo tipo di indagine e le applicazioni terapeutiche erano già consolidate. Diverse "scoperte" di Freud come dei suoi successori che hanno dato vita ad altre branche (da Jung ad Adler, da Reich  a Perls ) erano già (in un sistema linguistico e culturale diverso) presenti da secoli. E. Fromm , analizzando il solo aspetto della civiltà occidentale greco-romana (vedi "il linguaggio dimenticato") ne colse la continuità. Questo perchè i processi psichici ci sono sempre stati con l'uomo che si interroga su se stesso. Il problema è saperli interpretare. I tre stati dell'io (da Freud chiamati super-io, io ed es) non sono stati inventati ma solo studiati come dato di fatto. Semmai è l'inquadramento teorico e la applicazione terapeutica che può essere criticata vuoi in quanto incompleta, lacunosa, perfino distorta : sicuramente  la psicoanalisi- l'analisi della psiche- (al di là della identificazione alla scuola freudiana)  troverà via via formulazioni più adeguate ed efficaci sul piano terapeutico parallelamente allo sviluppo delle conoscenze sul cervello.

In fondo la figura dello psicoterapeuta, fatte le debite differenze sul piano della ricerca metodologica, richiama quella dello sciamano delle forme arcaiche di civiltà. Il cosiddetto "uomo medicina" che porta con sè il bagaglio  delle conoscenze empiriche  e culturali (recuperate nella sua società)  per operare guarigioni in quel tutt'uno di corpo e mente che è l'uomo. L'effetto delle suggestioni del contesto magico in cui operava lo sciamano continua in quello contemporaneo in una conoscenza fenomenologica che permette l'uso precipuo delle parole per interagire con successo nella struttura linguistico immaginativa del paziente. Le ricerche di Desoille, Bandler e Grinder (tra gli altri) si situano su questa strada che inizia con l'uomo stesso che si osserva , si interroga, si corregge, cerca di guarire dai suoi mali e per far questo utilizza le tutte le conoscenze che trova, che verifica e convalida con la sua esperienza. 

Freud dunque non rappresenta una novità se non sul piano dell'approccio a quell'oggetto che è la  psiche ( l'oggetto più difficile da studiare poichè rimane comunque una realtà soggettiva,  ossia il sentito, il pensato, il vissuto: di esteriormente osservabile c'è la sua azione, il suo gesto, la sua parola, il suo comportamento ). Un parallelismo con Darwin sarà pure scontato ma è esaustivo. Questa volta l'oggetto è l'evoluzione, quelle modificazioni genetiche che sono avvenute e avvengono costantemente nella vita dando atto alle trasformazioni biologiche, quindi un ancora dato di fatto (oggi l'uomo è in grado di intervenire in questo processo con una "chirurgia genetica" ma indirettamente lo ha sempre fatto con selezioni ed incroci). La teoria della selezione naturale cerca di spiegare il meccanismo evolutivo. In che misura la selezione sia  responsabile del processo può essere sempre messo in discussione dal confronto con nuovi dati oggettivi. Del resto la scoperta delle leggi della natura non è mai finita.

Come la ricerca astronomica , poi biologica e psicologica sia stata contrastata da chi antepone una ideologia al fatto pretendendo di spiegarlo unicamente attraverso la sua lente è storia non dimenticata. La paura che il sapere possa invalidare le proprie credenze, quelle che l'uomo ha assimilato fino a farle parte della propria identità individuale e collettiva, è umanamente comprensibile oltre che spiegabile. Ma è  una paura  che  blocca la maturazione del singolo e della società. Del resto è la paura che può avere l'animale del riflesso della propria immagine sull'acqua : una volta conosciuta  scopre che non c'è nessun pericolo. La psicoanalisi non può arrivare a negare Dio o l'Anima Eterna nè affermarla, la sua indagine è pratica, tecnica,  non và oltre l' accettazione della pulsione della fede che per alcuni ha un oggetto spirituale reale per altri è una forma illusoria per quanto importante  se concretizzata come fede nell'uomo e nella civiltà ( opinione di Freud ma non di Jung , di Daco o di Lowen). Ma nessuna imposizione in fatto di religione, come dice il Corano ed in un'altro modo il Vangelo : le opinioni dello psicoterapeuta non devono condizionare il paziente. Quanto detto vale anche per l'evoluzione: tutto si svolge dentro le leggi naturali  (compresi i cosiddetti miracoli) siano esse create da Dio, come credono alcuni, o fini a se stesse, come credono altri. Si tratta insomma di una opzione fondamentale dettata dal cuore e dall'intelligenza insieme. La religione, strutturata in credenze specifiche, viene dopo in una sorta di burocratizzazione della fede.  Certamente, a livello psicoanalitico, chi vuole imporre la propria scelta, il proprio credo ad un altro, soprattutto quando non può verificarlo realmente, è psichicamente contaminato: il suo io adulto, razionale, non è libero ma obnubilato da pregiudizi genitoriali (condizionamenti sociali trasmessi). Da questo punto di vista la psicoanalisi può servire non solo per ridare autonomia alla persona ma a portarla a scelte di valore autentiche, senza fanatismo.  Non a caso i maestri sufi e d'altre culture erano e sono esperti in questa scienza che è anche un'arte: essi hanno a cuore una fede pura, una evoluzione globale dell'uomo e per arrivare a ciò è necessario che la psiche sia conosciuta e liberata da ogni devianza.  L'uomo sarà sempre limitato, ma nei suoi limiti senza orpelli, può trovare un pozzo inesauribile di possibilità e scoperte, realizzarsi e realizzare facendo di questa vita un'opera piena di senso e di bellezza. Di esempi luminosi l'umanità è stata sempre piena anche se si dà troppo spesso  risalto alla cronaca nera o al grigiore della mediocrità.

dr. prof .Nazzareno Venturi

 

 

D) Ho letto il saggio mistica ed isteria sulla rivista sufismo presente anche qui in parte. Nell'appendice con immagini si parla dello stato delirante schizofrenico come confusione tra stato di veglia e di sogno, si può specificare ulteriormente? Eppoi in che misura può esserci la relazione con la psicosi di massa?

R) in breve, senza tecnicismi, in questo stato il soggetto rappresenta a se stesso una falsificazione della realtà, crede alle proprie fantasie come quando si sogna o si è sotto l'effetto di sostanze psichedeliche. Anche una prolungata assenza di sonno provoca tali effetti. La psicosi di massa può essere indotta dalle farneticazioni ideologiche dei poteri religiosi o politici (sotto il nazismo per esempio). Una menzogna che le autorità  presentano come verità (è il caso del falso storico dei protocolli dei savi di Sion, ricliclato di una banale commedia ) può distorcere ogni buon senso provocando odi e furie omicide. Ma anche le normali campagne politiche avendo come fine accaparrare il maggior numero di consensi usano strategie ingannevoli con promesse illusorie, slogan e bugie inframezzate da mezze verità di comodo per rendere credibile il tutto: l'effetto della demagogia è uno stato comunque alterato come quello delle tifoserie. Chi non ha padroni ma ragiona con la sua testa è  immune dal pericolo, non si preoccupi.

D) (...) come psichiatra mi interesso anche per lavoro alle forme religiose e sacrali in quanto  aspetti arcaici che si ripropongono in varie forme patologiche della mente (...).Io ritengo che la spinta popolare ,  idolatrica  e superstiziosa, abbia obbligato le scuole teologiche sia del Cristianesimo sia dell'Islam a fissare dei dogmi di natura altrettanto idolatrica e superstiziosa. Gesù da uomo ricco di spiritualità e di illuminazione è diventato il figlio di Dio in senso letterale, così il Corano più ancora del suo profeta, da testo avanzatissimo per l'epoca ed indubbiamente elevato nell'ispirazione è diventato increato e divino perfino nella lettera. Le istituzioni religiose avvallano insomma i bisogni della gente, pure considerando i vantaggi che le modifiche ideologiche apportano.

R) Nell'Islam l'unico dogma letterale , che poi è l'attestazione di fede, è:  Non c'è Dio all'infuori di Dio e Maometto è il suo profeta". Testimonianza dell'Unità e delle espressioni del divino, attraverso quelli che il Corano chiama profeti o messaggeri,   nell'arte, nella fede, nel civismo. Tutto il resto ( dall'esistenza degli angeli e del paradiso, al giudizio finale ) il Corano afferma che  deve essere inteso  con intelligenza, poichè costituisce una  metafora di realtà .

D) Ho letto (nelle lettere precedenti) che la guerra può cominciare ad essere un sentimento estraneo all'uomo. Ancora mi rammento, pensate quanto vecchio posso essere, ai miei tempi, in cui si parlava di violenza rivoluzionaria, abbattere i nemici di classe, e nello stesso tempo il duce dal balcone mostrare il fucile e dire questo è il nostro argomento, la guerra è nobile e bella. Sembrava quasi un gioco, ma tremendo per le conseguenze, in molte famiglie c'era uno di qua ed uno di là, anche se la maggior parte fingeva il consenso per sopravvivere. Ma vi faccio una domanda. (...) Considerando i termini della psicologia transazionale come impostati da quell'eccellente psichiatra  di nome H. Berne,   essere dalla parte del potere, dell'ordine imposto con la forza non è un'anomalia della genitorialità che esclude l'io adulto? E la ribellione violenta non è un'anomalia dell'io bambino che ugualmente esclude la parte ragionevole e dialogante? Insomma la guerra non è un gioco di matti?

R) Dietro tutti gli interessi economici e pratici delle guerre ( che l'io adulto otterrebbe per vie più evolute e secondo vantaggi comuni ) e le chiacchiere per giustificarle, è proprio così.

D) Sono una studentessa al primo anno di università. Frequento la facoltà di psicologia e mi affascina molto quello che studio, ma vorrei tanto sapere quanto la psicologia sia in contrasto con la religione cristiana soprattutto perché io credo e a volte mi sembra di essere un pò contraddittoria. Come posso conciliare la storia di "Adamo ed Eva" con la teoria del "big bang"? Come posso conciliare la psicologia con la religione? 

R) Nelle pagine del caravanserraglio  troverà in "capire", nel sommario, un articolo sulla evoluzione che potrà interessarla,  valido anche da un punto di vista cristiano. Quel che le si può dire è che la Santa Chiesa Apostolica Romana non nega l'evoluzione né afferma che la storia di Adamo ed Eva debba intendersi alla lettera. Solo i testimoni di Geova credono alla genesi come una cronaca storica e negano drasticamente il "fatto" evolutivo. La realtà delle mutazioni genetiche spontanee  e la documentazione dei percorsi trasformativi della natura appartengono all'evidenza non alla teoria. La mitologia della genesi è ben spiegata dal teologo cattolico F.Castel in "...Dio disse" ed.Paoline. Per quanto riguarda il " big bang " è la teoria cosmologica più accreditata  anche se ( così crede chi le risponde) è solo un evento nella eternità ed infinità degli universi, del resto, come diceva S.Tommaso è ragionevole credere che a causa infinita corrisponda un effetto infinito: da sempre tutto nasce,  evolve e torna in Dio. Infine si tranquillizzi su questo: non c'è nessun contrasto tra psicologia e religione cristiana, scienza e fede, basta usare il buon senso e definire gli ambiti. Lo capirà sempre meglio da sola.

D) Tra gli articoli pubblicati sul Caravanserraglio ho trovato un uso che mi sembra improprio del termine psicosi. Vorrei precisare il concetto del mondo immaginario dello psicotico, la dimensione che egli vive è la sua realtà inconscia in un processo di regressione, dove il rimosso riemerge, la realtà fa da sfondo a questa nuova situazione mentale, per cui diventa simbolicamente il suo vissuto, difficile da comprendere per se e gli altri, il sigillo dell'autenticità per lo psicotico nasce dalla circostanza che l'inconscio è effettivamente un vissuto reale o rimosso, chiaramente il soggetto è all'oscuro da simile meccanismo.

R) Grazie per l'intervento. Non sappiamo a quali brani specifici lei si riferisca, comunque per quanto la sua definizione sia corretta ed accettabile da altri punti di vista sarebbe criticabile. Da un approccio strettamente comportamentista non c'è una realtà inconscia ed una conscia ma una serie di risposte comportamentali che possono o meno essere adeguate alla realtà. La psicosi segna dunque questa inadeguatezza (per un approccio teorico vedi il sempre valido testo di R.Desoille "teoria e pratica del sogno da svegli guidato" ed.Astrolabio) . Simile impostazione si può trovare in neurolinguistica. Ma sono punti di vista non conflittuali per chi li sa leggere in una visione globale. Tenendo presente che le forme psicotiche hanno in comune il discostarsi  più o meno grave dal principio di realtà ( dovuto a motivi diversi e complessi, da fattori organici ad altri interattivi con situazioni ambientali traumatiche ) esse sono tutt'altro che rare. Esistono varie terminologie per definire i vari livelli  psicotici che il generico "disordine mentale" è precipuo di nulla (vedi leaders psicopatici nella sezione "capire") ma non è improprio utilizzare il termine psicosi nelle eccitazioni collettive (psicosi di guerra) , nel definire così chi confonde la realtà con la fantasia (i maghi), chi è dominato da impulsi aggressivi e fantasie criminali come era Hitler (vedi di J.AVallejo-Nagera : pazzi e celebri, psicopatologia del potere ed Rizzoli). Insomma la psicosi non si riferisce solo allo stadio dissociativo in cui la persona è incapace di qualsiasi interazione con la realtà, isolata completamente nei suoi sogni.  Infine è  la contestualità che rende lecito l'uso di una parola . L'importante è che tra chi dialoga ci sia una struttura di significati condivisi e la elasticità di abbordarne nuovi, il bisogno di farsi chiarezza e raffinarsi a vicenda.   Soprattutto tra psichiatri, psicologi e sociologi  converrebbe questa apertura che già troppo tempo si è perso a litigare per le impostazioni terminologiche di scuola.

D) La crisi dei valori in occidente si tasta osservando i giovani è un problema psicologico, religioso, civile insieme. Cosa si può fare?

R) L'essere umano ha bisogno di lottare per qualcosa per sentire significativa la sua vita. E' un dato ereditato da condizioni primitive: la lotta per la sopravvivenza, per la difesa del proprio territorio, del gruppo. Esso si è sublimato in valori come la verità, la giustizia, la pace, la fratellanza, l'ambiente...oppure è stato incanalato in ideologie   politiche o religiose non sempre costruttive tali da creare fanatismo e odio. Una lotta intesa come sforzo per giungere a certi risultati di  bene comune porta un valore,  un'altra concepita "contro" qualcosa e qualcuno o per se stessi soltanto (la fama, la ricchezza, il potere) rivela l'espressione deviata ed egoistica di impulsi primitivi che portano al razzismo (difendere il territorio, la ricchezza, il totem simbolo dell'ideologia del gruppo,  dai clan rivali). Non vi è dubbio che la ricerca dell'avere( ricchezza, fama, salute, potere...) sia andata sempre più  dominando a scapito della ricerca dell'essere ( onesti, sinceri, competenti, creativi, capaci...). Apparire insomma anzichè sentire: è importante come appaio e non quello che sento e penso veramente. I giovani vivono in queste aspettative artificiali e narcisistiche (illusioni del mercato e della  pubblicità) che coprono il vuoto dei valori e delle esigenze vitali (lottare per sopravvivere), ed in tale vuoto c'è la depressione, la noia che invano si evita fingendo di divertirsi o cacciando emozioni. Più c'è benessere più aumentano tra i giovani i suicidi, qualcosa non va. Il corpo ( il piacere ) non è tutto , prende valore solo se c'è un'anima ricca che lo muove.

D) La sensazione del "già vissuto" , ossia quando una cosa sembra di riviverla e  un sogno si è realizzato, potrebbe essere considerata uno stato spirituale?

R) In linea di massima ci sono due interpretazione psicologiche, una negativa e l'altra positiva, che individuano  nella sensazione del "già vissuto" un sintomo schizofrenico o al contrario un ampliamento di coscienza. Si consideri ancora queste possibilità: il ricordo inconscio di un luogo o di una situazione simile a quella che si sta vivendo fa "sembrare " di rivivere la scena. In altri termini non si verifica un'associazione consapevole che ci farebbe dire: "questo mi ricorda tanto..." Talvolta invece rievochiamo nella vita un sogno che presentava situazioni ed immagini simili all'esperienza per cui sembra di aver già vissuto l'evento oniricamente.   Poiché tutti o quasi hanno provato questa sensazione è forse eccessivo parlare di sintomo schizofrenico, anche se non sono da escludere casi in cui si possa ritenere tale. Poniamo invece la possibilità in cui non sia presente  uno stato dissociativo né una sovrapposizione o una giustapposizione inconscia che disorienta la percezione spaziotemporale. In tal caso in termini di psicologia del profondo si può parlare di una dilatazione della coscienza, di un senso di unità percettiva del sé oltre i ristretti limiti dell'attività razionale ordinaria. L'emisfero sinistro del cervello in poche parole non fa più da padrone lasciando esprimere quel lato creativo che alimenta i poeti e gli artisti. I mistici infine parlano di uno stato in cui il tempo e lo spazio si sciolgono in un eterno presente: una profonda commozione in cui la gioia , lo stupore, l'ebbrezza, lo stato di dolcezza è letteralmente incontenibile. Altre volte per loro sembra "normale amministrazione" gestire una sincronicità di eventi nella "extradimensionalità dello spirito" . Faccia lei.

D) Come spiegare a livello psicologico la mancanza di accettazione della realtà? Nonostante l'evidenza la maggioranza della gente, anche con lauree e diplomi,  vive ancora di pregiudizi, è illusa nella politica, da credenze religiose assurde, Tutto sommato la normalità non esiste.

R) Per normalità in psicologia sociale non si intende il corretto rapporto con la realtà ma l'atteggiamento comune di un gruppo, lo schema mentale di una maggioranza. Il fatto che un concetto o una pratica sia condivisa dai più non significa che corrisponda a qualcosa di vero o di utile. Ciò ancora non significa  che non esiste un principio di realtà, quindi una normalità basata su di esso. Purtroppo pochi cercano la verità in se stessi e nelle cose bensì di accodarsi all'atteggiamento comune, al branco. La politica di qualsiasi parte ha sempre sfruttato questa tendenza della specie umana illudendola con le promesse e manipolando le informazioni .Si aggiunga il fatto che a livello individuale la verità è spesso scomoda da accettare, essa comporterebbe rinunciare ad un mondo , per cui ci si illude volentieri. La realtà talvolta è troppo amara da buttar giù ed allora interviene il meccanismo della rimozione e della finzione. Altre volte la menzogna è conveniente per cui ci si autogiustifica, si manipolano le cose per renderle accettabili a se stessi. Tutto questo ha  continui esempi concreti. E come si diceva un tempo chi ha orecchi per intendere intende, chi non ha orecchi per intendere rimane fuori.

D) (...) Le diverse fedi religiose non sono forse tutte riconducibili all'interazione persecutore-salvatore di cui parla la psicologia transazionale?

R) Intanto precisiamo i termini: la fede è una pulsione verso la vita nella sua  totalità e divinità , la religione è una codificazione di credenze ed una burocratizzazione di quel che all'origine poteva essere fede. E' esperienza comune in campo psicologico osservare come tante manifestazioni che si dicono dettate dalla fede siano invece riconducibili a devianze, vuoi ad un attaccamento infantile alle figure genitoriali (papà e mamma) fino a trasformarle in figure mitiche (ciò significa che l'io adulto è contaminato), vuoi a quel processo interiorizzato persecutore-salvatore con relativi sensi di colpa che l'individuo inscena in se stesso servendosi del costrutto ideologico che trova nella sua cultura. Ma le variabili sono molte e complesse. Il fatto che molte persone siano depresse fino a suicidarsi pur affermando di credere fortemente alla loro religione dimostra che in realtà non hanno fede, che la fede è un sentito libero che porta il gusto (con tutti i suoi contrasti)  della vita: il sì al Dio Vivente.

D) (...) si vede chiaramente che la psicologia dei sufi come AlSulami era diversa dalla psicoanalisi per cui nessun raffronto è possibile.

R) Certo è che chi conosce in modo banale la psicologia odierna e la psicologia antica non può capire la continuità che esiste tra le due, come tra l'alchimia e la chimica. E' evidente che il linguaggio è diverso poichè ogni cultura si esprime a suo modo ma certi concetti e certe verità rimangono identiche basta "saperle tradurre". Chi ha preconcetti invece non può trovare aperture, relazioni e collegamenti da nessuna parte avendo in testa un sistema dogmatico per lui infallibile, questa "malattia dell'anima" era conosciuta ieri come oggi anche nei suoi effetti deleteri: fanatismi, intolleranze, prevaricazioni.

D) (...) Ritengo evidente la vostra risposta alla domanda che vi era stata precedentemente fatta sulla presunta incompatibilità tra psicologia sufi e moderna ( ma forse era inutile rispondere) . Se ho capito bene nella psicologia sufi  solo avendo vissuto uno stato anche alterato e poi ricorretto in sè è possibile guarire un altro con lo stesso sintomo (...)

R) Se una risposta è stata data non era inutile, per quanto l'utilità non necessariamente debba riguardare il diretto interessato.  La questione della "necessità del vissuto"  se la sono posti tutti gli psicoterapeuti seri. M.V.Franz, ricordo, diceva che non era in grado di curare pazienti isterici in quanto lei nè aveva patito nè pativa di questo stato alterato. Del resto è questione di logica: se c'è un vissuto, un'esperienza si conosce l'oggetto, si può dunque agire; per "sentito dire" (libri,commenti...) si può solo immaginare e chiacchierare. Questo vale non solo per la psicologia e per la mistica ma per tutto. Il sufismo è una via di esperienza, di conoscenza, quindi un maestro sufi "sa" e può agire, proprio come un buon psicoterapeuta che si è sottoposto al training, e tunnel dopo tunnel, luce dopo luce, si è conosciuto. Da questo punto si comincia ad imparare ed a ricercare, sapendo cosa imparare e ricercare, si può quindi riconoscere cosa prova chi cerca di individuarsi e indicargli la strada  nel modo a lui confacente. Ma nessuno sa tutto: anche l'idiota salvò il genio che annegava.

 

D) Rileggevo alcuni brani del sito, in particolare alcuni della sezione "psiche". Ecco allora che mi è sorta una domanda tanto profana quanto spontanea: come si fa a vivere sereni in questo mare di paranoie, pregiudizi, illusioni a buon mercato, sapendo che nessuno ne è immune, noi stessi compresi? Certo interrogare se stessi e "autoanalizzarsi" è un buon inizio, ma non si rischia di perdersi tra i meandri della mente, o magari aprire un vaso di Pandora che era meglio lasciare chiuso? In somma, se uno comincia a farsi troppe domande non rischia di diventare come un cane che si morde la coda? Grazie per l'interessantissimo sito

R) Certo il rischio c'è, per questo ci vuole un maestro o comunque un buon psicoterapeuta. Non si può pretendere di fare un "viaggio" senza accettare rischi e difficoltà che inevitabilmente capitano. La conoscenza di sè del resto è l'unico sistema per poter arrivare a cogliere il divino ma il farsi troppe domande può anche essere una trappola per non investigarsi davvero. E' vero, nessuno è immune ma solo l'esperienza permette di immunizzarsi.

D) Rileggendo gli interventi nelle varie sessioni trovo spesso il riferimento alla "fede", a mio avviso ben descritta (almeno negli effetti) nelle ultime righe del tema "il corpo"(in "psiche n.d.r.). Come si spiega questo fenomeno a livello psicologico e magari anche fisiologico? E un'altra domanda: il razionalista (o comunque chi tale si definisce) ha tipicamente un'opinione negativa della fede, considerata spesso come una sorta di velo che impedisce di vedere le cose per quello che sono veramente. Insomma, un po' come se questa influenzasse (nel bene e nel male) la propria visione del mondo. Condivido solo in parte questa interpretazione, ma mi trovo invece abbastanza d'accordo riguardo ad un'altra critica mossa dai razionalisti: la fede non è un po' come un'illusione in aggiunta alla realtà? O meglio, la percezione di un "infinito divino" non è una sorta di "abito" con cui si riveste la realtà? O usando ancora altri termini: non è una assunzione arbitraria non necessaria per la spiegazione della realtà? Provo ad avvalermi di un esempio per chiarire le mie domande: ho letto tempo fa un articolo, credo di P. Odiffreddi, in cui questo sosteneva che la fede dello scienziato consiste nel credere che l'universo sia in definitiva ordinato. Ma questa non è appunto un'assunzione arbitraria assimilabile ad un supporto psicologico? Non sarebbe più realistico, rimanendo al caso dello scienziato, studiare la natura e l'universo senza dover supporre che questo sia ordinato? Tra le opere del prof. Mandel ricordo di aver letto questo (non cito testualmente ma posso provare a cercare): la fede è fondamentale per la conservazione della psiche. E' forse questo il motivo per cui nemmeno il razionalista può esentarsene?

R) Gli effetti sono semplicemente somatizzazioni  regolate dal sistema nervoso come il rossore delle guance a seguito della timidezza o del pallore causato dalla paura. La spiegazione scientifica della relazioni tra stati emotivi e manifestazioni corporee è stato ampiamente trattato nei testi di psicosomatica e anche documentato dalla spect. In particolare nel buon testo "Dio nel cervello" citato nella bibliografia troverà almeno in parte la spiegazione di quanto cerca. Il concetto di infinità legato a Dio è derivato alla esperienza del mistici, dall'attivazione di quell'area cerebrale che si stacca dalle percezioni spazio-temporali. Concordo pienamente col prof. Gabriele Mandel nel ritenere la fede basilare per la psiche, anche se distorta in modo psicotico, in credenze deliranti o appiattita su valori comunque, per me, limitati per quanto importanti come la scienza e il bene dell'umanità, questo bisogno richiede di essere soddisfatto. Il vero bene dell'umanità per il mistico è Dio: la ricerca di questo assoluto non avendo fine fa evolvere la stessa psiche. Ne ho parlato sulla rivista sufismo di prossima pubblicazione dedicata al tema della natura. Infine se non si ha fede in un ordine, in una propria intelligenza che comprende il mondo per quanto limitatamente e relativamente sarebbe come precipitare nella depressione se non nella follia. Poi del mondo fenomenico gli scienziati da sempre ricercano leggi e formule che han trovato conferme empiriche (come la teoria della relatività): se è certo che esse stanno dapprima nella mente è però anche vero che funzionano e trovano verifiche, per cui volente o nolente non si può non aver fede in un ordine, in una logica che è alla stessa base del nostro linguaggio/ pensiero, identica in ogni luogo, cultura ed etnia. Ma l'assoluto non può neppure essere limitato dalla stessa ragione.  Ricordo infine Si Boubakeur Hamza, magnifico rettore all'università islamica di Parigi, il quale si rivolgeva alla irrazionalità dello spirito per indicare la trascendenza e in un certo senso la fede. Questo in sintesi il mio punto di vista.

 

 

 

IL CARAVANSERRAGLIO