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In questo libro sono raccolte diverse introduzioni e commenti ai libri fatte da Nazzareno Venturi. E' presente anche un'ampia bibliografia ragionata sui libri che trattano il sufismo e un'altra sui sogni. Disegni umoristici dell'autore.

 (ogni trascrizione completa o parziale dei saggi presenti sul caravanserraglio, essendo provenienti da pubblicazioni copyright, può essere fatta solo tramite autorizzazione )

 

Tratto da "INTRODUZIONI E COMMENTI AI LIBRI" di Nazzareno Venturi  ©

Considerazioni su "Il principe" di Machiavelli... Ma il fine giustifica i mezzi?

 

"Il fine giustifica i mezzi". Questa frase ha finito per sintetizzare grossolanamente il pensiero di Machiavelli, che certo non è il primo filosofo ad aver cercato di capire la politica in chiave razionale e scientifica. Il problema dell'organizzazione sociale ed in definitiva dell'amministrazione e del mantenimento del potere è stato affrontato in ogni epoca ed in ogni civiltà anche fuori da modelli precomprensivi di tipo morale.

Ma tra tutti i trattati quello rinascimentale de' "Il Principe" di Machiavelli  ha conquistato la fama di essere obiettivo, realistico fino a diventare paradigmatico per molti individui desiderosi di arrivare al potere o di mantenerlo. Un "vangelo" dell'arte politica dal quale non ci si può sottrarre come se contenesse verità incontrovertibili e spassionate. Ma è veramente così?

Alla base del pensiero di Machiavelli c'è una lettura pessimistica dell'uomo di per sé  fuorviante come quella ottimistica. Un pregiudizio di fondo alla pari di quello di Hobbes dove l'uomo  è "lupo nei confronti degli altri uomini", teso  alla affermazione di se stesso, spontaneamente votato alla sopraffazione del suo simile. Questa sarebbe la sua indole. La natura stessa, attraverso la legge  selettiva, vuole che il più forte emerga a discapito degli altri: l'uomo non potrebbe sottrarsi a questa regola. E' quel desiderio di vivere di Schopenhauer e di Nietzche che suona come una condanna o come un destino da esaltare,  comunque da cui non ci si può sottrarre. Per quanto si beli il contrario le cose stanno così (solo così?).

Nel suo bel libro su Machiavelli Gabriella Brusa Zappellini scrive:

"Un desiderio di pienezza e di affermazione caratterizza, infatti, i tratti più propri e originari dell'indole umana, un appetito inestinguibile che affonda le sue radici nella fisicità degli istinti e nella loro spinta vitale all'autoconservazione/ Ogni uomo, infatti, avverte dentro di sé l'irruenza impetuosa e virile della vita come una energia espansiva che naturalmente lo spinge a dilatare il proprio campo d'azione a scapito di quello altrui. Di qui l'inevitabile prova di forza, la gioia della sopraffazione e la mortificazione della rinuncia" (ed. Rusconi 96 pag.12).

La stessa autrice ricorda come Freud vedesse dunque l'individuo in contrapposizione alla civiltà, da una parte l'es, la forza vitale e dall'altra il suo contenimento attraverso le leggi e la morale (super-io).

In estrema sintesi (non è facile ma ci provo) andando a fondo, i veri dominatori sono nel DNA, i "geni": gli individui non sono altro che veicoli provvisori della conservazione della specie e della vita. Lo stesso istinto di sopravvivenza che regola autonomamente le specie animali  ha spinto l'uomo (ormai dissociato dagli equilibri naturali)  a darsi strutture comportamentali per compensare quanto è venuto meno. Due orsi bianchi in lotta per il possesso della femmina non usano gli artigli e le fauci per dilaniarsi ma si limitano a spingersi per saggiare la propria forza, il perdente lo riconosce e se ne va: la specie in questo modo impedisce vittime inutili. L'uomo deve darsi dall'esterno una legge per evitare massacri.  Prima ci pensava l'inconscio poi è iniziato il casino del "fai da te". In altri termini la specie umana, complicata com'è,  ha dovuto creare una impalcatura organizzativa e normativa capace di sopperire alla frattura creatasi tra istinto e mente. Infatti le aree del cervello umano, istintuali, emotive e razionali, non funzionano a compartimenti stagni e necessitano di equilibri che può consentire solo una sovrastruttura morale, ma meglio, una etica ragionevole.  Se trionfasse l'egoismo la specie finirebbe. Il bene del singolo, quindi, deve coincidere o almeno non contrastare  quello degli altri se si vuole garantire la sopravvivenza. L'etica è appunto la ricerca del modo più ragionevole per consentire una utilità reciproca tra esigenze del singolo e della collettività, il giusto rapportarsi insomma tra l'io e gli altri. In natura questo succede sempre, anche se con modalità talvolta brutali che prescindono dai criteri morali umani.  E' dalle basi biologiche, etologiche e poi antropologiche  che bisogna ripartire per vedere se è esatta, o meglio esauriente la descrizione pessimistica dell'uomo di Machiavelli.

Ci sono specie in natura in cui l'individuo conta esclusivamente in quanto parte del gruppo. Le formiche, le api, le termiti (...)  si sacrificano per il gruppo. L'istinto di conservazione individuale è sottomesso a quello del mantenimento della vita del formicaio, dell'alveare o del termitaio. Ma anche nelle specie superiori si può  verificare la precedenza dell'istinto di conservazione della specie  su quello individuale. Questo succede tra diversi mammiferi, erbivori e carnivori, e pure tra i primati. La proliferazione non è fine a se stessa  ma è vincolata all'ambiente nell' adeguamento alle risorse altrimenti giocherebbe a sfavore della specie. Gli individui vengono "frenati" assumendo   un ruolo subordinato al mantenimento della specie, le stesse lotte maschili per la supremazia avvengono in funzione di questa: l'individuo, in un modo o nell'altro finisce per essere al suo servizio  anche quando  divora il suo simile (come può succedere tra gli aracnidi) per legge selettiva. 

L'uomo, come detto, si è dissociato dai meccanismi istintivi di regolazione (individuo - gruppo - ambiente)   e deve rimediare con forme complesse al cui apice si trovano le norme comportamentali ma, nella sua base istintuale, rimane almeno in parte a servizio del suo genere per cui la contrapposizione individuo e gruppo, individuo ed individuo non è prioritaria. Essa diventa rilevante in condizioni artificiose createsi in seno alla società o per situazioni ambientali,  per esempio con l'aumento della popolazione (importanti sono le indicazioni derivate dagli studi sugli animali costretti a vivere in condizioni di sovrappopolazione) e non è detto che un certo tipo di distruttività umana non dipenda anche da fattori di contenimento (ammazzandosi a vicenda si riduce il numero) di questo tipo. Ciò significa che per quanto l'uomo creda di essere sovrano del suo destino e della sua storia svariati fattori inconsci biopsichici (al di là di quelli che stanno sotto la lente della psicoanalisi) continuano a dirigerlo, o per lo meno, interagiscono nel suo cammino. In natura la specie è più importante dell'individuo e la sua salvaguardia fa sempre da sfondo.

Dalle osservazioni sulla vita di tribù non civilizzate (dal tipo di civiltà come è intesa dall'uomo moderno) si possono rintracciare gli schemi comportamentali  primitivi, quelli  dei primi uomini insomma. L'individuo risulta  generalmente   "parte inscindibile" del gruppo e non contrapposto ad esso. Il senso di solidarietà è dominante come quello esistente in un branco di elefanti o di lupi. E tutto ciò "naturalmente", evitando che il senso di affermazione individuale prevarichi sulle esigenze conservative del gruppo. La visione dunque di un mondo umano fatto da individui in lotta tra loro per la supremazia non corrisponde alla realtà: esiste anche questo aspetto ma è  subordinato alla conservazione della specie. Il senso del civismo anziché una imposizione esterna od una costrizione si rivela invece come una pulsione specificatamente umana per elevare il sociale . Ciò insieme ad altre pulsioni terziarie verso il bello (avere un territorio pulito,  attraente, manufatti apprezzati... ) e la fede in una realtà trascendente. Solo per una deformazione  il civismo si trasforma in un sistema coatto in contrapposizione all'individuo e alla sua libertà. Abbiamo dunque due tendenze: l'una positiva che si basa sulla collaborazione, sulla solidarietà, sull'impegno liberamente scelto (nel caso migliore)  da ogni singolo di realizzare bene la sua funzione ed un'altra negativa in cui la competizione travalica in sopraffazione: il civismo si trasforma in un sistema coercitivo di norme atte a consolidare il potere. La vita si complica di artifici creati per mantenere il sistema mettendo a rischio la stessa sopravvivenza del gruppo (infatti viene a mancare il fine naturale che è la sua sopravvivenza  nel modo migliore possibile).

La visione pessimistica di Machiavelli dell'uomo finisce per alterare il resto delle sue diagnosi.   Dario Bernazza ("o si domina o si è dominati" ed. Messaggerie del Libro 1980)  evidenzia diversi punti deboli del "Principe" partendo proprio dall'analisi storica. Non è vero che nella storia i temuti potenti  hanno mantenuto il potere, semmai è proprio il contrario. Sono pochi i dittatori morti di morte naturale e nell'esercizio del loro potere. Ma sono diverse le contraddizioni e le debolezze del pensiero di Machiavelli che, certamente ha il merito di aver tentato di superare diversi pregiudizi con una disamina realistica, ma immettendo altri pregiudizi e parzialità .

Vero invece che molti hanno cercato di rendere la storia machiavellica, ma è un artificio che non corrisponde alle pulsioni umane più nobili. Certo esistono devianze tra cui la paranoia, il sentirsi circondati di nemici, o quel senso di onnipotenza infantile che lo sviluppo armonico dell'essere finisce normalmente per risolvere: quando ciò non avviene la storia diventa una lotta di prevaricazioni, dove il fine giustifica i mezzi.   Anziché civiltà si è fatta molta barbarie basandosi sulle devianze non sul lato sano dell'uomo.

Oggigiorno quando c'è un attentato non si sa se è veramente da attribuire a questo o a quel gruppo di fanatici o allo stato stesso che l'ha subito. Storia vecchia: si fa un attentato e si dà la colpa a certe fazioni, oppure esse vengono pilotate dall'interno tramite i servizi segreti. Nerone che incendia Roma dando la colpa ai cristiani (a latere: nulla di certo, anche qui probabilmente una mossa demagogica a posteriori) non ha fatto che applicare con cinismo la regola che il fine giustifica i mezzi. E via dicendo su vari accadimenti sociali e politici la cui convenienza è o sembra pilotata ad arte.

Sentiamo il già citato Bernazza: "Moltissimi uomini, e Machiavelli per primo, sono convinti che il delinquere si accompagna necessariamente all'esercizio del potere, ossia che è impossibile governare onestamente (...). Ma riflettendo meglio, si scopre che un uomo politico, il quale sa che accettando il potere dovrà poi esercitarlo disonestamente, e tuttavia lo accetta, è un malfattore  già prima  dell'accettazione, e quindi  lo è in sé e per sé, e non a causa del potere. e' il principe disonesto, quindi, che inquina il potere, e non viceversa" (pag 146 ,op. cit.).

Ancora il Bernazza evidenzia come il consiglio di Machiavelli al principe di farsi temere (ma non odiare) evitando  ogni amabilità vacilla: in realtà chi è  soltanto temuto finisce   per farsi odiare. Solo l'ipocrisia lo circonda, avvoltoi che approfittano della situazione pronti a divorare  il leone appena in difficoltà. Anche il tiranno che diventa mito in un clima di follia collettiva (il nazismo) per quanto crei strutture informative ed educative, o meglio, di addestramento verso il culto del potere (la messa in atto di un artificio) può reggersi. Le coscienze migliori si sottraggono alla morte del branco poiché, vuoi la ragione vuoi l'istinto di sopravvivenza della specie,   incanalano in loro tutte le energie per capovolgere la situazione. Del resto, il detto "il fine giustifica i mezzi" nella storia è stato applicato con pieno successo e legittimamente proprio per liberare e non per dominare. Si pensi a Perlasca ed a Schinderlist. Quante volte invece, usato a fini di dominio,  si è rivelato un'arma che si è rivoltata contro  chi l'ha usata!

Machiavelli ha ben chiaro che la società deve procedere in modo virtuoso e quindi che non si può permettere una libertà assoluta (ognuno fa quello che vuole) : in tal caso si ritornerebbe nel caos e negli abusi, la libertà di uno a danno dell'altro. Ma la morale del principe è diversa: lui può prevaricare, concedersi libertà non concesse agli altri. Come è possibile mantenere sano e virtuoso il corpo della società sotto una testa che  delinque? Il principio culturale di tutti i mammiferi è solo uno: l'esempio. La scimmia impara dalla madre a schiacciare le noci, impara come gestire le relazioni col branco osservandola. Ognuno cerca di riprodurre l'esempio genitoriale (il principe è una genitorialità) quindi tutto funziona bene se l'esempio è buono, tutto va a rotoli se l'esempio è negativo.

Ecco cosa si può fare di peggio. Il "principe"  deve usare tutti i modi per "plagiare" il popolo utilizzando la menzogna  come un'arma professionale. Una falsità ripetuta mille volte diventa sempre più convincente fino a prendere il posto della verità". La gente ingenua e credulona finirà per essere suggestionata: se "un notizia" gira parecchio qualcosa di vero ci deve pur essere! Purtroppo la storia antica e recente abbonda di questi "principi" che hanno avuto successo grazie alla propaganda di promesse irrealizzabili e di sistematiche bugie. Abilissimi affabulatori dall'animo meschino, uomini di successo e ricchezza quanto poveretti nel loro sè, ammesso che qualcosa sia rimasto. Questo è lo scotto da pagare, l'avere al posto dell'essere. Una vita spesa per ingannare e farsi largo senza scrupoli porta conseguenze inconsce devastanti. Lo sanno bene gli psichiatri e gli psicoterapeuti. E poi la falsità oltre a rendere negativa la propria vita (a meno che non sia consapevole e mirata, e comunque non finalizzata a danneggiare il prossimo) non funziona mai perfettamente. Qualche volta i proverbi ci azzeccano dicendo che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. A tal proposito lo psichiatra Oliver Sacks in un saggio neurologico ( L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello ) racconta di un gruppo di pazienti che avevano perso l'uso della comprensione verbale a causa di tumori nell'area di broca: essi un giorno, davanti ad una trasmissione televisiva in cui i politici dibattevano tra loro, si misero a ridere  di gusto...In un certo senso l'incapacità di capire le parole razionalmente aveva reso libero l'inconscio di capire che non c'era fedeltà ai contenuti del discorso, come quando i comici giocano con i loro paradossi e fraintendimenti. Qualcosa insomma rimane  nel nucleo della personalità centrale, si mantiene quel principio di realtà che è la bussola di orientamento del vivente e di una vita psicologicamente positiva.

 Se anche la demagogia non funziona al principe ( a coloro che vogliono fare i capi) rimane la carta della prevaricazione.   Solo per paura la gente fingerà il consenso, ma per quanto tempo? Il malcontento finirà per danneggiare tutto il sistema e far crollare anche le più rigide impalcature sociali. La ghigliottina è sempre pronta anche per i re. In altri termini il modello del principe di Machiavelli si traduce in una struttura artificiosa, ingannevole contro gli interessi naturali del gruppo e dei suoi stessi capi-branco.

Ma il fine dell'uomo è il potere? Obiettivamente l'aspirazione ad esso  è presente dappertutto: in una famiglia, in  una scuola,  ospedale,  banca, associazione...    quante liti per comandare, per ritagliarsi un po' di importanza! Fa parte del DNA che condividiamo con gli scimpanzè, sempre in competizione tra loro. Ma il vero potere non è questo.

 Qui Machiavelli coglie nel segno:  potere è avere dominio di se stessi, delle proprie passioni. Su di esse la voglia di sentirsi i migliori, di comandare, di avere gli altri sottomessi. In altri termini è  il potere sulle devianze,    sulla paranoia mantenendo un'apertura positiva e costruttiva con gli altri, il potere sull'infantile  egocentrismo del tutto dovuto, quello che negli psicopatici sommerge quell'io adulto, responsabile, attento ai rapporti secondo giustizia.

Un uomo che ha il potere su se stesso, il cui ragionamento arriva alla verità  di ogni umano problema, che non cede ai luoghi comuni, diventa una guida naturale, questo perchè diventa un esempio positivo, a cui si riconosce la saggezza e le capacità. Del resto egli non ha più idoli nè "capi" esterni, nè è vittima del culto di se, ma è in armonia con se stesso. Persegue la verità, il bene, i sentimenti positivi.

 La verità stessa si impone per chi non la teme ma ne fa motivo di vita. Per far questo non può non essere onesti con se stessi: la verità premia infinitamente di più che le menzogne e le illusioni di comodo (che anzi finiscono per mettere nei guai).

Potere è risolvere situazioni umane difficili sia nel campo psichico, medico, educativo, economico... Trovare la soluzione giusta al momento giusto, agire per rendere la propria ed altrui vita più dignitosa, serena, costruttiva. Potere è non essere vittime degli inganni e smascherarli.

 Io non credo che chi confida solo in questo mondo possa davvero fare qualcosa di costruttivo ed evolutivo, credo che solo afferrandone il senso evolutivo in una ricerca mai definitiva (il potere della ricerca in tutti campi) si possano trasferire naturalmente le proprie conquiste spirituali anche nella vita ordinaria. La fede non è un'astrazione nè una credenza, è una pulsione che dà i suoi frutti durante la propria ricerca: azioni concrete, modificazioni non sul piano delle chiacchiere verbali o cartacee ma della vita.

 Un comico che  fa ridere un bambino ha un potere, chi riesce a dare serenità con le sue parole e la sua presenza ha un potere, chi guarisce  devianze psichiche e  malattie ha un potere, chi sa fare l'amore con gioia ha un potere. Ma soltanto nella consapevolezza dei propri limiti si rivela quanto si può realmente fare.

Una chiosa finale per riprendere alcune considerazioni  condivisibili di Dario Fo. Il tema sviluppato a Brera era dedicato a Leonardo da Vinci. Nel discorso viene citato Machiavelli rovesciando tutta l'interpretazione classica: Machiavelli non si rivolgeva al "principe" ma  al "popolo" per istruirlo su cosa fa il potere, insomma voleva apertamente denunciare il comportamento dei potenti nella storia. A sostegno di questo Fo cita un brano in cui Machiavelli, in poche parole, dice: se la gente è intelligente ed ama la libertà il potere non potrà prevaricare, bisognerebbe ammazzarla tutta a tal fine ma non rimarrebbe nessuno da comandare. Quindi, dice al Principe di evitare un territorio in cui le persone sono evolute, o meglio, alla gente: siate avvedute e non troverete oppressori.

Forse ci sta anche questo, e certamente è così: una persona onesta, una collettività onesta avrà rappresentanti onesti. Se ognuno fosse al posto giusto per la competenza e qualità che ha, il mondo sarebbe quasi perfetto. Ognuno avrebbe potere sul proprio lavoro, su quello che fa e non sugli altri. E' un mondo ideale, senza dubbio, ma la specie umana ne ha un bisogno impellente se non vuole distruggersi come sta devastando il suo ambiente. Chissà se la componente umana positiva riuscirà ad emergere prima che sia troppo tardi, ammesso che non sia troppo tardi, ma perchè non mantenere sempre acceso un lume di candela, una speranza, un sogno? L'umanità è sopravvissuta grazie a chi non l'ha mai spenta.

 

Nazzareno Venturi

 

 

 

 

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