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Sinossi

Questo libro riprende una pubblicazione del 1979 di Nazzareno Venturi con lo stesso titolo, una ristrutturazione totale ed ampliata del testo precedente con una ricca documentazione fotografica originale sul Buddhismo. Il limpido studio sulla triade Buddha, Sangha e Dharma è inserito in un'ampio quadro di correlazioni con le altre religioni.
 


Dettagli prodotto

  • Copertina flessibile: 140 pagine
  • Editore: CreateSpace Independent Publishing Platform; 2 edizione (5 settembre 2015)
  • Lingua: Italiano
  • ISBN-10: 1517219523
  • ISBN-13: 978-1517219529
  • Peso di spedizione: 240 g

(ogni trascrizione completa o parziale dei saggi presenti sul caravanserraglio, essendo provenienti da pubblicazioni copyright, può essere fatta solo tramite autorizzazione )

 

IL RIFUGIO NEL TRIPLICE GIOIELLO  ©

 

 Le tre religioni abramitiche, chiamate così perchè si rifanno alla rivelazione divina al profeta Abramo, hanno una caratteristica peculiare rispetto a quelle orientali.  Ognuna di esse si presenta con una credenziale di privilegio,  esclusiva e totalitaria se mal intesa. Si tratta  dell'uso settario del concetto di rivelazione, quel che nelle religioni orientali si definisce il collegamento tra Cielo e Terra. L'ebraismo rivendica di essere la religione del popolo eletto (la qualcosa finirebbe per emarginare gli altri popoli, i gentili, con un ruolo secondario e accidentale nella rivelazione di Dio all'uomo). Il cristianesimo si accampa sull’idea di una incarnazione divina unica ed irripetibile: chi non la accetta e non l'ha potuta accettare ( come tutti i popoli vissuti prima di Cristo) si troverebbe emarginato rispetto alla via di salvezza offerta dal Dio fatto uomo una volta per tutte. L'Islam col concetto di Maometto "sigillo della profezia" esaurirebbe e chiuderebbe in sè la rivelazione iniziata da Abramo. Insomma ognuno di questi credi reclama qualcosa di speciale per se stesso, di rappresentare la verità nella sua pienezza. Qualcuno potrebbe vedervi una sorta di razzismo ideologico. Questo succede se diamo adito ad una lettura immediata e superficiale delle religioni sorelle, quella stessa che ha sollevato tra esse vicendevoli conflitti  e sospetti. Succede anche nei rapporti interpersonali: se io mi considero superiore al mio interlocutore, che presuppongo essere nel falso, ho già escluso il dialogo in partenza, provocando una reazione di diffidenza e di legittimo risentimento. Il pregiudizio della propria superiorità può creare un senso di autostima ma a svantaggio del nostro prossimo, quindi  in fondo deleterio in quanto i propri sforzi verrebbero diretti a mantenere una immagine positiva di se stessi a scapito di quella negativa dell'altro. Io sono o.k e tu non sei o.k. Questa non è una buona premessa per parlare amichevolmente.

Sono molte le iniziative finalizzate al dialogo interreligioso ma esso può esistere solo se si stima sinceramente l'altro (non in quanto un potenziale convertito)  come fedele di una via legittima per arrivare a Dio, pur se diversa dalla propria. Solo rinunciando a credere di essere i depositari della verità assoluta si può dare e ricevere, scambiarsi esperienze di vita e riconoscere uno sfondo comune di valori e idee. Chi pensa che i credenti di queste religioni non potranno mai rinunciare a sentirsi eletti e migliori degli altri probabilmente ha anche poca fiducia  in Dio e nell'uomo. Madre Teresa di Calcutta amava dire: io vorrei soltanto che un hindu diventasse un buon hindu, un musulmano un buon musulmano, un cristiano un buon cristiano…

  Il concilio vaticano II ha, con la "Dei Verbum" aperto la strada nel cattolicesimo alla consapevolezza che Dio è la luce di tutti gli uomini, per cui attraverso i suoi raggi (le vie religiose) essi possono ritornare in Lui. L'Ebraismo non ha mai smesso di dare priorità al "giusto", indipendente dalla sua religione e provenienza etnica, rispetto all'essere ebrei confessi. L'Islam ha un testo sacro, il Corano,  disseminato di raccomandazioni sull'importanza di fare il bene prima di seguire una religione particolare, sul fatto che ogni popolo ha avuto i suoi messaggeri religiosi di pari dignità. La rivelazione è infinita e non si conclude da nessuna parte. "Se tutti gli alberi della terra diventassero calami, e il mare, e sette mari ancora, fornissero l’inchiostro, le parole di Dio non sarebbero esaurite." (Cor.31.27)

 Ebraismo, cristianesimo e Islam sono religioni aperte all'universalità e dotate di un patrimonio di saggezza straordinario tale da garantire ai loro fedeli di vivere in pace e reciproca ammirazione. Se per i mistici questo è ovvio per i burocrati e per chi ha bisogno di una squadra su cui tifare tutt'altro. Interessi e condizionamenti di diversa natura incombono.  Del resto l'uomo ha un aspetto animale litigioso e possessivo particolarmente spiccato come i suoi cugini, gli scimpanzè. A  differenza di questi sfoga gli impulsi anche con pretesti ideologici-religiosi: quante guerre, quanti delitti, quante persecuzioni in nome di Dio! Non si può pretendere quindi di veder facilmente cancellati millenni di guerre religiose  attraverso il buon senso o con la chiara luce della ragione e di una fede pura. Tuttavia perchè perdere la fiducia in un salto qualitativo in in sempre maggior numero di coscienze?

  Nel Buddhismo tutti questi problemi non si pongono. Problemi inesistenti anche nell'Induismo (la religione da cui deriva) dove la rivelazione  è infinita con le incarnazioni divine (avatar). Mi piace ricordare le parole della Baghavad Gita in cui Krischna dice: "quando infatti ha luogo un illanguidire della legge (dharma) e un sovverchiare del male, allora Io creo me stesso, per la salvezza del buoni e la perdizione del malvagi, per II consolidamento della Legge lo rinasco in ogni epoca (il verbo buddhico). Divina è la mia generazione”. Anche secondo il buddhismo gli illuminati compaiono in ogni tempo e luogo. Insomma viene ammessa una continuità e pluralità di manifestazioni del verbo divino. Ananda Kentisch Coomaraswamy, studioso di alto livello di arte sacra e di religioni, faceva notare come un buddista non avrebbe difficoltà a credere a Gesù anche se venisse dimostrato che non è mai esistitito storicamente. Questo perchè è importante l'insegnamento, l'archetipo, il simbolo prima del fatto storico. Gli eventi semmai sono l'aspetto esteriore delle ierofanie.

  La storia del Buddha si perde nella leggenda eppur è aderente alla realtà più di un fatto storico. In una ricostruzione immaginifica riportata anche nel film di Bernardo Bertolucci, il giovane principe indiano Siddharta Gautama (vissuto tra il V e IV secolo a.C) viveva in una  reggia, circondato di bellezze e felicità. Questo ci riporta al desiderio ingenuo dell'io bambino che è in noi, una vita senza dolore dominata dal principio del piacere. Un piccolo paradiso in terra, il meglio del meglio voluto da qualsiasi genitore iperprotettivo esponendo però il figlio a disagi e pericoli maggiori. Egli era della tribù degli Shakya (donde il nome Shalyamuni: il saggio degli Shakya) oggi situata nelle zone centrali del Nepal, ma il suo cuore non era limitato nei confini tribali di usi e costumi tramandati e identificazioni ai gruppi d’appartenenza. Il giovane vuol vedere cosa c’è "oltre" la reggia infantile del tutto dovuto, oltre la finzione: l'io adulto si pone le domande sulla realtà, ed è così che, scavalcato il muro, vede la sofferenza della vecchiaia e della malattia, la morte celebrata dove ognuno muore povero e solo, dove ognuno se ne va senza niente anche se è vissuto nell'oro.  La compassione lo sconvolge, per la sua coscienza tornare indietro era impossibile. Non si può vivere voltandosi dall'altra parte e far finta di niente. La vera nobiltà non è avere titoli, incarichi e ricchezze ma darsi da fare per trovare una soluzione alla sofferenza. Questo ci riguarda tutti, tutti sulla stessa barca in questo oceano del divenire (samsara). Certamente si può fare qualcosa, c'è chi scopre il modo di vincere una malattia, c'è chi fa sorridere gli altri, c'è chi risolve problemi di giustizia, e ognuno qualcosa può fare per il bene comune, non solo della propria specie ma di tutta la natura dove ogni essere, a modo suo, è senziente, ossia "sente" il dolore e il piacere, cerca di sfuggire a quello e persegue questo. Gli esser hanno sete di vivere, dirà Schopenhauer, il filosofo che ispirerà la sua filosofia al buddhismo. Per prima cosa la sofferenza si placa diminuendo il desiderio, il bisogno di possedere sempre e di più nei suoi indefiniti aspetti. C'è chi non vede mai il bicchiere mezzo pieno ma sempre mezzo vuoto.

La depressione è la patologia più diffusa nei paesi del benessere, del consumismo, viceversa è  quasi assente nei paesi dove la miseria dilaga, dove l'istanza fondamentale è la sopravvivenza e basta recuperare un frugale pasto per sentirsi felici. Ovviamente la miseria è un male ma altrettanto lo è lo spreco e il vivere per superfluo. Chi ha fame non si lamenta perchè gli manca un vestito alla moda o una televisione all'ultimo modello, quelle cose in più che diventano indispensabili solo per chi ha la pancia piena. E allora basta una delusione (tra cui le separazioni affettive) e un handicap (come l'invecchiare e i malanni) a mandare in depressione. Se ne esce solo con la pazienza, con la capacità di sopportazione ( il peso del fardello dipende dalla spalle che lo sopportano). C'è dunque una forza morale, psicologica se si vuole, capace di rendere leggero quanto è un peso insostenibile per i più deboli.

 Il destino del principe, o meglio il suo karma, lo spingeva a cercare una soluzione onnicomprensiva a tanta sofferenza, non quella astratta dei filosofi, ma esistenziale in una rivoluzione interiore, in un mutamento radicale del proprio essere. Il giovane cercò questa risposta dedicandosi all'ascesi, vivendo da eremita. Non era il solo: in India c'era sempre qualcuno disposto a lasciare la famiglia, i suoi beni, la società per cominciare a vivere per lo spirito. Il sannyasin, così come era chiamato, era un uomo libero dalle caste, il suo passato non contava più, era un uomo di Dio non un semplice addetto al culto come il bramino, ossia il burocrate della religione induista. Egli non ha nessun impiego mondano, ormai ha rinunciato a tutto e attraverso il controllo del corpo e degli istinti (lo yoga) cerca di liberare la sua energia nella totalità, la sua anima o atma, nell'anima del mondo o atman. Cerca il Samhadi, il momento dell'unione mistica col divino, la certezza che si è parte di un Tutto infinito. Il corpo non riesce a trattenere la gioia e l'immensità di tale stato, ogni cellula vive questa ebbrezza e partecipa di tutto quanto accade come in un armonico concerto. Ma l'estasi finisce lasciando uno strascico di dolcezza e lacrime negli occhi, un gioiello tra  le mani che non brilla più. La ruota del tempo ricomincia a girare coi suoi affanni e i suoi momenti grigi.

 Il giovane vive queste esperienze spirituali come tanti ricercatori suoi contemporanei, del passato e del futuro  (...CONTINUA) *

 

 

 

 


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