San
Francesco e Jalâl âlDîn Rûmî, ossia: Francescanesimo e Sufismo una
meravigliosa parentela spirituale. Una
premessa. Dice Dio nel Corano: Né i cieli né la terra Mi contengono,
ma Mi contiene il cuore del Mio fedele. Il
cuore, non la mente; poiché infatti possiamo capire Dio con i sentimenti
che simbolizziamo con il termine “cuore”; mai con il ragionamento, la
ricerca scientifica, la speculazione razionale. Mistico
è colui che aspira ad infrangere i limiti terreni della sua carne, per
giungere a capire sempre più Dio, per sentirlo nella Sua realtà
ineffabile e incommensurabile, anche se, in effetti, secondo il Corano (50ª16),
Dio è vicino a ciascuno di noi più della sua stessa vena giugulare. Se
facciamo cadere una goccia d’acqua in una coppa d’essenza di rose,
questa goccia prende il colore e il profumo dell’essenza di rose. Così
è l’anima perduta in Dio, annientata nella Sua infinitezza, con la
fruizione piena della divinità senza più limiti terreni, nel più alto
grado dell’esperienza religiosa. Tutte
le religioni hanno il loro lato mistico. Due tuttavia si differenziano
dalle altre per due punti essenziali: 1) la necessità della Grazia
divina, ossia la necessità che sia Dio a chiamare il Suo fedele; 2) la
nozione precisa che questa chiamata non annulla né la trascendenza
assoluta di Dio né l’individualità spirituale dell’anima che
purtuttavia da Dio deriva ed è come goccia dell’oceano senza fine che
è Dio. Queste due religioni sono la cristiana e la musulmana. È ad ogni modo
indubbio che agli occhi di un ricercatore storico delle vie mistiche
balzano evidenti le analogie che le profondità del pensiero mistico sia
cristiano sia musulmano propongono ad ogni piè sospinto. Si potrebbe
facilmente tracciare tutta un’antologia di passi paralleli. Il poco
tempo a disposizione in una chiacchierata come questa non lo permette, ma
l’approfondimento del misticismo islamico è oramai possibile, grazie
alla moltitudine di testi musulmani tradotti oggi nelle lingue
occidentali, italiano compreso. Così possiamo
avvicinare i testi di Rabica, la più grande mistica musulmana,
a quelli di santa Teresa d’Avila; i testi di alFarabi
(?-950), trattatista di musica e filosofo mistico, a quelli di san Tomaso
d'Aquino che appunto ad âlFarabi si ispirò. D’altronde è di norma
paragonare san Tomaso d’Aquino – per la qualità del
pensiero teologico - ad Averroè, o ad âlGhazzali, o a Îbn alcArabi,
i tre più eminenti teologi e Maestri sufi dell’Îslâm. Della
mistica cristiana troviamo i primi spunti in Clemente Alessandrino e in
Agostino, spunti che vennero sistematizzati dallo Pseudo Dionigi l’Areopagita
in un Corpus Dionysiacum che, tradotto da Scoto Eriugena nel IX°
secolo, ispirò a Bernardo di Chiaravalle un misticismo affettivo
cristocentrico, e ad Ugo e a Riccardo di San Vittore un misticismo
profondamente psicologico. Da qui derivò il misticismo candido di
Francesco, quello colto di Bonaventura, quello apocalittico di Gioacchino
da Fiore. Entrambi poeti,
entrambi fondatori di una loro Confraternita monastica fra le maggiori,
san Francesco nel Cristianesimo e Rumi nell’Îslâm.
Entrambi vissero nel XIII secolo. Osserviamo allora che
questo XIII° secolo fu un periodo fertile di inizi, formazioni e
delineazioni sia per il mondo Occidentale che per quello orientale. Varie
figure di prua del mondo cattolico e del mondo islamico, ad esempio, si
trovarano in parallelo nel corso di questo secolo. Dante è all’inizio
della poesia in lingua italiana e Yunus Emre di quella in lingua turca;
inoltre nel mondo islamico e in quello cattolico medici, architetti,
filosofi in un parallelismo esemplare, come il Vesalio e Îbn Nafis
(1203-1288) le cui anatomie vennero in seguito copiate anche da Leonardo
da Vinci. Possiamo quindi dire che precipuamente omologo di san Francesco
fu Jalal alDin Rumì. Anzi:
nel 1216 Rûmî fu a Damietta, in visita dal sultano Malik âlKamil,
ripartendo subito per la Turchia; e san Francesco fu a Damietta nel 1219.
Nel 1216 Rûmî parlò a Damasco con il grande mistico e teologo musulmano
Îbn âl`Arabî; e con Îbn âl`Arabî san Francesco si intrattenne a
Damietta nel 1219, quando si recò alla corte del sultano, ove incontrò
vari sufi, conversando a lungo con loro. Ma non fu questo un primo
incontro: già nella primavera
del 1214 san Francesco aveva
conosciuto dei sufi nella Spagna musulmana e in
Marocco. Ben
noti sono a voi i frati e le suore; forse un po’ meno quelli che si
sogliono considerare i frati e suore dell’Islam, i sufi appunto. Qualche
notizia allora sui sufi, i mistici dell’Islam. Secondo
Si Hamza Boubakeur (che fu rettore dell'Università islamica di Parigi,
rettore della Moschea di Parigi, discendente diretto del primo
"califfo ben diretto" Âbû Bakr, nonché mio compianto e
venerato maestro) «il Sufismo in se stesso non è né una Scuola
teologico-giuridica, né uno scisma, né una setta, anche se si pone di
sopra da ogni obbedienza. È innanzi tutto un metodo islamico di
perfezionamento interiore, d'equilibrio, una fonte di fervore
profondamente vissuto e gradualmente ascendente. Lungi dall'essere una
innovazione o una via divergente parallela alle pratiche canoniche, è
anzitutto una marcia risoluta d'una categoria di anime privilegiate,
prese, assetate di Dio mosse dalla scossa della Sua grazia per vivere solo
per Lui e grazie a Lui nel quadro della Sua legge meditata,
interiorizzata, sperimentata». (fine citazione) I
Sufi si dividono in Confraternite, a un dipresso, appunto, come le
Confraternite dei frati e delle suore nel mondo cristiano, con la sola
differenza che i sufi e le sufi si sposano e vivono nel mondo, o, come
essi dicono:. «Nel mondo, ma non del mondo, nulla possedendo e da nulla
essendo posseduti.» Le Confraternite dei Sufi si sono sgranate lungo il
corso dei secoli, e in tutta la storia della cultura islamica, se si cita
un grande scienziato, un grande poeta, un grande musicista, o architetto,
o pittore, si cita quasi sicuramente un maestro sufi. Punta
di diamante dell'Îslâm, dal momento che l'Îslâm non si presenta come
un blocco monolitico ma ha varie coloriture, varie sfaccettature e varie
istanze a seconda dei luoghi geografici e delle diversificazioni
storico-sociali, anche il Sufismo ha vari aspetti, e sette sono le sue
grandi Confraternite maggiori. Possiamo dire che la vera origine del
Sufismo è situabile nell'Asia turco-iraniana; per ragioni storiche esso
ha via via riassunto e inglobato – fra il X° e il XII° secolo,
insegnamenti esoterici buddhisti, indù, classico-egizi e cristiani pur
scaturendo da una matrice sciamanica non mai sopita; mentre in certe zone
dell'Arabia e del Nordafrica - soprattutto nei due ultimi secoli - è
andato poi anche degenerando in aspetti folcloristico-popolari. Inoltre,
forse sulla scia del New Age, sono comparse in Occidente anche false
confraternite sufi che nulla hanno a che vedere con il verbo autentico del
Sufismo, anche se del Suismo scimmiottano stupidamente alcuni aspetti
esteriori. Per
essere sufi occorre comunque essere musulmani, ed essere accolti e
iniziati in una contraternita tradizionale e autentica. Base
imprescindibile del Sufismo è il Corano, correttamente letto, meditato,
interpretato, come diceva appunto Si Hamza Boubakeur; e attenendosi
strettamente al Verbo del Corano i veri Sufi seguono questi principi base:
rispetto per le persone; rispetto per tutte le religioni; amore per la
pace; comportamento corretto sulla base dell'etica. Su questa base il
Sufismo si ricollega a tutte le altre grande tradizioni mistiche anche per
il suo rito precipuo, il dhikr, di cui è noto in Europa
quello precipuo dei Mevlevi il Semà. I Mevlevi sono noti con il termine
di dervisci roteanti. Va tenuto
presente che i termini “dervisci”, “sufi” e “faqîr”
sono sinonimi; la differenza fra questi termini è una questione di
diversità di lingue). Con il dhikr
i sufi possono giungere a stati estatici, percepire la realtà divina,
acquisire consapevolezze non altrimenti raggiungibili; e all’atto
pratico possono anche infondere serenità, pace e benessere tramite alcuni
aspetti precipui di quelle conoscenze sciamaniche che il Sufismo condivide
con il Buddhismo e con certo hinduismo. Non è da tralasciare una
conoscenza specifica del Sufismo, la Musicoterapia, dovuta anche al fatto
che i più grandi Medici dell’Îslâm, il turco Avicenna ad esempio,
erano sufi. La Musicoterapia dei Sufi è utile per la guarigione di
malattie fisiche e di devianze psichiche, e anche per infondere nei cuori
un senso di pace. Fârisî
(891 c.-980) disse: «Le condizioni fondamentali del Sufismo sono dieci.»
Riassumendo, esse sono: Credere nell’unicità di Dio, imparare,
frequentare i confratelli, pregare, viaggiare, aver pazienza, fare voto di
povertà, essere umili, pentirsi degli errori commessi, rinunciare.»
Questi furono i valori dei sufi nei primi secoli della loro storia. Così
i Sufi dicono che l'Ebraismo è la religione della SPERANZA, il
Cristianesimo è la religione dell'AMORE, l'Islâm è la religione della
FEDE. Ed ecco: questo è il terzo polo, equilibrio delle vicende umane in
tutta la loro estensione: la Fede, la Speranza e l'Amore, origini della
mistica, della spiritualità, dei valori sublimati che ci conducono alla
comprensione di Dio, nostro Signore unico ed assoluto, il Creatore di
tutto. La comprensione dei "valori dell'altro", il giusto
equilibrio fra rispetto e reciproca conoscenza, sono i valori eminenti che
possono restituire al mondo, dopo due millenni di incomprensioni e di
lotte fratricide, la serenità interiore e la pace universale cui tutti
gli "uomini di buona volontà" spirano. Questa, in definitiva,
è la Via del Sufismo, una delle tante vie per adorare Dio nella sua più
pura essenza. «Mio Dio: se ti
adoro per paura dell’inferno bruciami nell’inferno; se Ti adoro nella
speranza del Paradiso, escludimi dal Paradiso; ma se Ti adoro
unicamente per Te stesso, non mi privare della Tua bellezza eterna.»
Ne sentiamo ancora gli echi nei primi quattro versi di un sonetto
attribuito a santa Teresa d’Avila (1515-1582):
«No me muove, mi Dios, para
quererte,
el Cielo que me tienes prometido,
ni me muove el infierno tan temido
para dejar por eso de ofenderte.»
(Ciò che mi spinge ad amarTi non è il cielo che mi pormetti e non
è l’inferno temuto da farmi trattenere a causa sua dall’offenderTi). «Quando
giunse presso la curia romana, venne condotto alla presenza del sommo
Pontefice. Il Vicario di Cristo [...] cacciò via con sdegno, come un
importuno, il servo di Cristo. Questi umilmente se ne uscì. Ma la notte
successiva il Pontefice ebbe da Dio una rivelazione. Vedeva ai suoi piedi
una palma, che cresceva a poco a poco fino a diventare un albero
bellissimo. Mentre il Vicario di Cristo si chiedeva, meravigliato, che
cosa volesse indicare tale visione, la luce divina gli impresse nella
mente l'idea che la palma rappresentava quel povero, che egli il giorno
prima aveva scacciato. «Il
mattino dopo il Papa fece ricercare dai suoi servi quel povero per la città.
Lo trovarono nell'ospedale di Sant'Antonio, presso il Laterano, e per
comodo del Papa lo portarono in fretta al «Diede,
poi, l'interpretazione della parabola, giungendo a questa conclusione:
“Non c'è da temere che muoiano di fame i figli ed eredi dell'eterno Re;
poiché essi, a somiglianza di Cristo, sono Il
Papa approvò quindi la Regola, fece fare a tutti i frati che erano venuti
con il servo di Dio delle piccole chieriche, e conferì loro il mandato di
predicare liberamente la penitenza e la parola di Dio. San
Francesco istituì per la sua Confraternita, detta dei “Frati Minori”,
tre ordini di frati. Così è anche nelle Confraternite sufi; e nell’un
Ordine e negli altri vi vengono accostati i Grandi Fratelli, quelli ad
esempio di Najim Kubrâ (?-1220). I sufi sono religiosi musulmani ma, come
nel cristianesimo abbiamo preti e frati, così nell’Îslâm i sufi sono
frati e non preti. Francesco rifiutò d’essere ordinato prete, e si
accostò maggiormente all’ordinamento laico democratico più che a
quello ecclesiastico. Così è anche dei sufi, il cui motto precipuo che
ripeto di nuovo qui, dice,: «NEL mondo, ma non DEL mondo, nulla
possedendo e da nulla essendo posseduti.» E
ancora: al pari di san Francesco, è scritto nelle agiografie che
riguadano il il sopraccitato Najmuddin Kubra, che anche lui predicava agli
animali, agli uccelli e al lupo. In
Kalâbâdhî, grande maestro sufi del X° secolo (913 c.-995), leggiamo:«
Povertà e pazienza sono il saio sotto il quale alberga un cuore che vede
solo in Dio i giorni di festa e di serenità» Dice
il Corano: Dio ha i Nomi più belli (7ª180; 17ª110; 20ª8;
59ª24). Secondo la teologia musulmana i Nomi di Dio – rappresentazione
vocalizzata dei Suoi attributi – sono quattromila. Mille di questi sono
conosciuti solo da Dio; mille da Dio e dagli angeli; mille da Dio, dagli
angeli e dai profeti; mille da Dio, dagli angeli, dai profeti e dai
credenti. Di questi ultimi mille, trecento sono menzionati nel Pentateuco,
trecento nei Salmi, trecento nei Vangeli e cento nel Corano. Di questi
cento, novantanove sono noti ai fedeli comuni, mentre uno è nascosto,
segreto e accessibile solo ai mistici più illuminati. Il Profeta stesso
disse: «Vi sono novantanove Nomi che appartengono solo a Dio. Colui che
li impara, che li capisce e che li enumera entra in Paradiso e raggiunge
la salvezza eterna». E il mistico Tosun Bayrak, khalyfa della
Jarrahiyya-Khalwatiyya negli Stati Uniti d’America
scrisse: «I bei Nomi di Dio sono la prova dell’esistenza e
dell’unicità di Dio. O voi che siete arsi e turbati per il peso della
sofferenza del mondo materiale, possa Dio far sì che i Suoi bei Nomi
siano un balsamo lenitivo per i vostri cuori feriti. Imparate, capite e
recitate i bei Nomi di Dio. Cercate le tracce di questi attributi di Dio
nei cieli, sulla terra e in ciò che vi è di bello in voi stessi. Così
troverete beneficio, a seconda della grandezza della vostra sincerità.
Col permesso di Dio, chi dubita troverà sicurezza, l’ignorante troverà
conoscenza, chi nega affermerà. L’avaro diventerà generoso, i tiranni
chineranno il capo, il fuoco nel cuore degli invidiosi si spegnerà.» In
effetti capire «l’essenza» di questi attributi acquieta l’animo,
infonde fiducia e arricchisce spiritualmente. Ecco perché, sul piano
strettamente pratico, è consuetudine musulmana ripetere i Nomi facendo
scorrere tra le dita un rosario composto di novantanove grani (o di
trentatré fatti scorrere tre volte). Questo rosario si chiama subha
in arabo e tashbî (o anche komboloy) in turco. È ben noto
che esso deriva attendibilmente da quello buddista, di centootto grani, in
uso nell’Asia centrale e orientale fin dal IV° secolo, così come è
noto che dalle organizzazioni monacali buddhiste derivano quelle sufi. A
sua volta il rosario musulmano introdotto nell’Îslâm dai Sufi, fu
adottato da san Francesco al suo ritorno dalla Terra Santa, dando origine
al rosario cattolico diffuso dai francescani appunto e in seguito definito
nella forma attuale da san Domenico. Voi
sapete bene chi è san Francesco. Forse qualcuno di voi avrà però
sentito parlare anche dei sufi Mevlevi, i cosiddetti “Dervisci
roteanti”, la Confraternita fondata a Konya da Jalâl âlDîn Rûmî. A
quelli di voi che conoscono i Mevlevi non può essere sfuggita la
simiglianza fra il roteare di frate Masseo e il roteare dei sufi Mevlevi
nella loro cerimonia specifica, il Semà, simile al rito che san Francesco
poté vedere di persona alla corte del Sultano. Le
prime forme di samâc apparvero presso i Sufi di Baghdâd
a metà del IX° secolo, sviluppandosi poi soprattutto fra i turchi del Khurâsân,
a volte perfino in forme non differenti dal dhikr usuale.
Completarono il rito sul finire del XIII° secolo i Mevlevi di Rûmî. Nel
suo insieme, tutto il Samâc (in turco: Semâ) ha plurime valenze. Anzitutto: i Mevlevi danzano a
Konya un Semâ completo la
seconda settimana di dicembre per celebrare la morte di Jalâl âlDîn Rûmî
. Questa danza, altamente emblematica, altamente spirituale, è
l’espressione stessa della realtà divina e della realtà fenomenica, in
un mondo in cui tutto, per sussistere, deve ruotare come gli atomi, come i
pianeti, come il pensiero. Beninteso:
questa cerimonia non intende simbolizzare né la rotazione degli atomi né
quella dei pianeti (come a volte qualcuno ha commentato): è un errore
interpretarla così. Come qualsiasi tipo di dhikr agito
dalle varie Confraternite Sufi, il Semâ
è un rito in grado di indurre uno stato estatico. Esso porta all’ascesa
spirituale - viaggio mistico dall’essere a Dio - in cui l’essere si
dissolve ritornando poi sulla terra E
veniamo ora al Cantico delle Creature, o di Frate Sole. (Lettura): Altissimu,
onnipotente, bon Signore, tue
so le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione. A
te solo, Altissimo, se Konfano, et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato
sie, mi Signore, cum tucte le tue creature spetialmente
messer lo frate sole, lo
qual’è iorno, et allumini noi per lui. Et
ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de
te, Altissimo, porta significatione. Laudato
si’, mi’ Signore, per sora luna et le stelle: in cielu l’ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato
si’, mi Signore, per frate vento, et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per
lo quale a le tue creature dài sustentamento. Laudato
si’, mi’ Signore, per sor’acqua, la
quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato
so’, mi’ Signore, per frate focu, per
lo quale enallumini la nocte: et ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato
si’, mi’ Signore, per sora nostra madre terra, la
quale ne sustenta et governa, et
produce diversi fructi con coloriti fiori et herba. Laudato
si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore et
sostengo infirmitate et tribuatione. Beati
quelli ke ‘sosterranno in pace, ka
da te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato
si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da
la quale nullu homo vivente pò skappare: guai
a quelli ke morranno ne la peccata mortali; beati
quelli ke trovarà ne la tue sanctissime voluntati, ka
la morte secunda no ‘l farrà male. Laudate
et benedicete mi’ Signore et rengratiate et
serviateli cum grande humilitate. Ed
ecco il testo della Lode di Wâsiti: «Nel
Nome di Dio, Misericordioso, Misericorde. Lode a Dio signore dei Mondi (1ª1) «Certo,
il vostro Signore è Dio, che ha creato i cieli e la terra in sei periodi,
e poi si è posto sul Trono. Egli copre il giorno con la notte,
ininterrottamente. E il sole, la luna, le stelle sono sottomessi al Suo
comando. La Creazione e il comando appartengono solo a Lui. Sia lode a
Dio, il Signore dei mondi. Invocate il Signore con umiltà e raccoglimento
(7ª54-55) «Non
avete visto come Dio ha creato i sette cieli sovrapposti? Egli
ha posto la luna come una luce; Egli
ha posto il sole come una fiaccola. Dio
vi ha fatti crescere dalla Terra come le piante, poi vi ci rimanderà e
poi vi farà uscire con una uscita. Dio ha posto per voi la Terra come un
tappeto, affinché camminiate attraverso i suoi valichi"» (71ª15-20). «Egli,
il Fenditore dell’alba, ha fatto della notte un riposo; il sole e la
luna per computare. Egli vi ha assegnato le stelle affinché grazie ad
esse vi guidiate nelle tenebre della terra e del mare. Certo noi esponiamo
prove per coloro che sanno. Egli vi ha creato a partire da un'anima unica,
ricettacolo e deposito. Egli fa scendere dal cielo l’acqua. Poi con essa
vien fatta germogliare ogni pianta dalla quale vien fatta uscire una
verzura, e da questa i semi sovrapposti gli uni agli altri; e la palma,
dalla cui spata regimi di datteri vicini. Ed anche i vigneti, l’ulivo e
il melograno, simili o differenti gli uni dagli altri. Guardate i loro
frutti quando si producono e quando maturano. Ecco dei segni per coloro
che hanno fede (6ª96-99) «Gloria
a Dio che fa scendere dal cielo un'acqua pura, preziosa, ed umile per far
rivivere con essa una contrada morta e dar da bere ai molti animali e agli
esseri umani che ha creato (25ª48). «Chi
farà rivivere le ossa quando esse saranno imputridite?» Di': «Le farà
rivivere Colui che le ha create la prima volta, poiché Egli è abile in
ogni creazione; Egli vi ha fatto scaturire il fuoco dall'albero verde, ed
ecco che voi accendete con esso. Forse che Colui che ha creato i cieli e
la Terra non sarà capace di creare altri come loro? Sì, poiché Egli è
il Creatore [âlKhâliqu], il Sapiente (6ª78-81) Avete
riflettuto sul fuoco che fate scaturire? Siete voi che fate crescere il
suo legno, o siamo Noi che facciamo ciò? Ne abbiamo fatto un Richiamo e
una cosa utile per i viaggiatori del deserto. Glorifica dunque il Nome del
tuo Signore, l'Immenso (56ª71-74). «Ovunque voi siate, la morte
vi raggiungerà, foste anche in torri impenetrabili (4ª78). «Certo, la morte che voi fuggite vi raggiungerà. Sarete poi ricondotti
davanti a Colui che conosce il visibile e l'invisibile. Egli vi informerà
di ciò che facevate.» (63ª8) 57
Ogni anima gusterà la morte, poi verrete ricondotti a Noi. Quanto a
quelli che credono e compiono opera buona, faremo abitare loro, nel
Paradiso, località elevate, sotto le quali scorrono ruscelli, e nelle
quali rimarranno in eterno. Eccellente sarà la mercede di coloro che
agiscono perseverando pazientemente e che confidano nel loro Signore (29ª57-59). «Ciò
che è nei cieli e sulla Terra celebra le Sue lodi. Egli è l'Onnipotente
,il Saggio (59ª24). Lodate dunque Dio la sera e la mattina e anche la
notte e a mezzogiorno. A Lui la lode nei cieli e sulla terra (30ª17-18). «Amîn.» Un
cerchio: sul suo perimetro si dispongono l’una dopo l’altra, come
segmenti, le religioni, mentre il centro del cerchio simbolizza Dio. Da
queste religioni partono, e tendono al centro del cerchio, come
altrettanti raggi, i mistici. Più si avvicinano a Dio e più avvicinano
fra loro... In
linea di massima tutti i procedimenti religiosi per raggiungere lo stato
estatico si possono suddividere in due tipologie precipue: o una
contemplazione passiva, silenziosa, tendente a liberare la mente da ogni
pensiero consapevole (ed è per solito individuale); o una tecnica attiva
di invocazione secondo la ripetizione di formule mantriche (col suono
ritmico di strumenti musicali o anche senza), e ciò ha luogo per solito
nell’ambito della collettività. Vi è inoltre una necessità comune per
tutte le Vie mistiche, a qualsiasi religione appartengano, e che determina
forme diverse di istruzione, anche notevoli: la necessità di un
Maestro. Un esperto, cioè, che abbia già percorso il cammino e che
sappia quindi guidare convenientemente, sappia preservare dagli errori,
dalla tendenza a fuggire per la tangente a causa del pericolo sempre in
agguato, e perfino – per una forma paranoica - dai conseguimenti
effettivamnti raggiunti (nel Corano, 7ª16-17, Satana dice a Dio: «Io
li insidierò lungo la Tua retta Via,
poi li assalirò davanti, dietro, da destra e da sinistra»),.
Un Maestro del tutto disinteressato, amorevole, paternamente sollecito, ma
soprattutto consapevolmente o anche solo intuitivamente esperto della
psiche e delle sue devianze. Ciò
ha determinato una lunga serie di convenzioni, di scuole e di
conseguimenti, e tutte le religioni ne hanno generati. Inoltre tutte le
correnti hanno tratti in comune e conseguimenti omologhi. Ma perché
questa eterna presenza di una ricerca mistica? Ha ancora valore in un
mondo, quello d’oggi, che sembra così tanto mutato davanti alla
necessità di una fede? In
risposta a queste domande, e come conclusione di questa ricerca, lascio di
nuovo la parola al già citato Seyyed Hossein Nasr, che ha scritto: «La
ricerca mistica è perenne perché si trova nella natura delle cose, e la
società umana è sana nella misura in cui tale ricerca è stata
riconosciuta quale elemento basilare nella vita della comunità. Quando
una collettività, o una società, non riconosce più questo profondo
anelito e quando è sempre più limitato il numero di coloro che seguono
la vocazione alla via mistica, la collettività stessa crolla per il peso
della sua struttura o viene distrutta da malattie psichiche che essa non
è in grado di curare per il semplice fatto di aver negato ai suoi membri
l’unico cibo spirituale che può saziarne l’anima.
Alcuni uomini continueranno ancora a cercare e a seguire la via
mistica, ma la società alla quale appartengono non sarà più capace di
trarre totale beneficio dalla presenza illuminante di coloro che, appunto
per il fatto di ricercare quanto è sovrumano, permettono ai loro simili
di rimanere al livello umano, e provvedono la società stessa degli unici
veri criteri di valutazione della sua importanza e del suo valore. «Se
anche nei periodi più cupi di eclisse dello spirito vi sono sempre uomini
dotati di una natura spirituale e contemplativa, ciò accade precisamente
perché l’economia della collettività umana ha bisogno della loro
esistenza. Una società totalmente priva di uomini contemplativi
cesserebbe semplicemente di esistere [...]. La ricerca dell’infinito è
l’unica che conferisca significato al mondo finito, nel quale l’uomo
si trova ad essere. L’impronta di quella perfezione che l’uomo porta
entro di sé gli rende qualunque esistenza finita sopportabile, ma
soltanto a condizione che possa condurlo all’infinito e all’assoluto.
Di qui la perennità della ricerca mistica e lo sforzo che gli uomini di
tutti i tempi hanno fatto per poter vedere oltre il finito, in quanto
l’infinita realtà determina e abbraccia tutte le cose.» Questa
è la Via, questa è la via di san Francesco, di Rûmî, di tutti gli
uomini di buona volontà che tendono alla pace nel loro cuore e al bene di
tutta l’umanità. Questo è ciò che auguro a voi tutti, a tutti noi, di
poter essere. Grazie. Gabriele Mandel khân
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