La nuova  biblioteca di Alessandria d'Egitto

Alessandria d’Egitto, in arabo âlÎskandariyya, venne fondata nel 331 aC da Alessandro Magno, sul luogo dell’antica cittadina egizia di Rhakotis. Fu un’intuizione felice: la posizione migliore come centro del vasto impero alessandrino, la capitale ideale in grado di accogliere gli scambi commerciali di tre continenti. Con i primi Lagidi divenne infatti la più importante città del mondo antico, prima che Roma si imponesse. Etnìe, religioni e pensieri diversi si unirono in un egregoro felice, a dimostrazione che lo scambio delle culture, il rispetto delle culture altre,  l’apporto di culture diverse che andavano dall’India a Cartagine costituiscono una sintesi felice e profittevole del pensiero umano. Disse Jean Louis Moreau: «Egizi, Macedoni, Greci, Siriaci, Persiani, Ebrei vi portarono il patrimonio culturale dei paesi d’origine insieme con le loro particolari attitudini speculative e pratiche, che poterono liberamente evolversi nell’ambiente nuovo in forme originali.»  

Ne sorsero una delle più  grandi scuole d’arte, detta Alessandrina o ellenistica, attiva dal 323 al 31 aC; la Scuola neoplatonica di Ammonio Sacca, illuminata soprattutto dal grande Plotino; la Scuola Ebraica d’Alessandria, che nel III-II sec aC redasse quattro libri canonici che fanno parte della Bibbia (2°, 3° e 4° Maccabei, e il Koelet), e curò la versione in greco della Bibbia, detta la Bibbia dei Settanta; e la Scuola Cristiana d’ Alessandria, fondata nel 180 da Panteno e il cui rappresentante principale fu Origene. Ciò a dimostrazione che quando culture diverse si incontrano anziché essere avversate da mestatori interessati solo ai propri esosi e aberranti egoismi di potere, esse sono in grado di arricchire l’umanità tutt’intera.

Fu anche la città degli amori di Cleopatra con Cesare e con Antonio, ma anche la città in cui operarono Euclide, Aristarco da Samotracia, Eratostene. Testimonianza del fervore culturale la celebre Biblioteca, detta Museion, che comprendeva 700.000 volumi, edificata nel 288 aC sotto il regno di Tolomeo Sotere, fondatore della dinastia dei Lagidi, cui si deve anche la costruzione del celebre Faro e del palazzo della Borsa. La Biblioteca ebbe tra i suoi direttori Demetrio di Falero, allievo di Aristotele, e probabilmente il poeta Callimaco. Nel 48 aC, quando Cesare incendiò le navi nel vicino porto, l’incendio giunse anche alla Biblioteca e ne distrusse una parte. Un secondo incendio, appiccato per ordine del patriarca Teofilo quando questi dichiarò guerra ai pagani, ne distrusse un’altra parte nel  389 (il Serapeo di Canopo); un’altra parte ancora  nel 391(il Serapeo d’Alessandria), e la Biblioteca non risorse più. Che l’abbiano incendiata gli Arabi conquistando la città nel 642 è un falso, una menzogna, dovuta alla propaganda antimusulmana dei Crociati, oggi accantonata.

Ed eccoci alla conquista araba. Una precisazione: Arabi precipuamente detti sono solo gli abitatori della Penisola Arabica. I popoli del Nord Africa e del Crescente fertile sono arabofoni, non arabi. La conquista araba di Alessandria ebbe luogo il 29 settembre 642, sotto il califfo cUmar. Per i primi duecento anni la cultura  araba fu un derivato dal Tardo Antico (al pari del Paleocristiano, del Bizantino e dell’Armeno); poi si affacciarono nel Bacino Mediterraneo i Turchi, che – ricacciati da tutte le terre islamiche gli Arabi nella loro Penisola – diedero l’avvio ad una sintesi delle culture asiatico-europee cui unirono quella dell’Antico Egitto, talché nacque la Civiltà Islamica precipuamente detta. È il tempo delle dinastie egizio-turche dei Tulunidi e dei Mamelucchi, e rammentiamo che furono i Mamelucchi dell’Egitto a fermare i Mongoli di Gengis Khan, impedendo loro la conquista di tutto il Bacino Mediterraneo.

Ed ecco ora una premessa necessaria:

La notte tra il 26 e il 27 di ramadhan dell’anno gregoriano 612, “notte del destino” venerata da tutti i musulmani, scese sul Profeta Maometto il primo versetto coranico (Sûra âlcalaq, 96ª, 1-5): «Leggi, nel nome del Signore, che ha creato; che ha creato l’essere umano da un grumo di sangue. Leggi!, perché il Signore, il Nobilissimo [âlÂkramu], ha insegnato con il càlamo».

Ecco così esaltati sia la derivazione divina del calamo (la penna di canna che ancor oggi è la più adatta per scrivere elegantemente l’alfabeto arabo), sia l’incentivo alla lettura (che è fonte d’ogni sapere e di ogni cammino evolutivo, scientifico o spirituale). Disse infatti il Profeta: «Seguite la via di una scienza; a colui che segue la via di una scienza Dio apre più grandi le porte del Paradiso.» Leggiamo poi, nei Detti del Prof.a, âlBukhârî (Titolo 3°, cap. 39°, 4): «Quando le sofferenze del Profeta divennero più forti, egli  esclamò: “Portatemi di che scrivere, affinché vi metta per iscritto ciò che vi preserverà dall’errore dopo di me». 

  Da qui una cultura del libro che fu tra le più impegnate, ed un amore per la scrittura che fece della calligrafia islamica un’arte nobilissima, superiore quasi alla stessa pittura; arte che può essere apprezzata appieno se la si intende piuttosto come una musica, e che come la Musica ha le sue regole di composizione, di ritmo, di armonia e contrappunto per il godimento dell’occhio esercitato del fruitore e per la sua passione estetica. Sin dai primi tempi dell’Îslâm, dunque, la scrittura si sviluppò da forma primitiva imperfetta a composizione ricca di “mani” (o “stili”, o “caratteri”) e di tracciati (linee, spazi, corpi e altre impostazioni grafiche).

Un brevissimo accenno alla storia dell'alfabeto. Il concetto di alfabeto nacque sicuramente dalla scrittura Egizia, in quell’area geografica – detta “il Crescente fertile – che va dall’Egitto alla Mesopotamia, così ricca di evoluzioni religiose; e fu dovuto all’incontro fra la mentalità dei popoli sedentari e quella dei popoli nomadici, periodicamente aggressori dei primi. Il sedentario ebbe necessità di ideare pittogrammi per motivi socio-economico-politici, e il nomade astrasse il valore fonetico dal significato pittografico giungendo così all’alfabeto.

Il primo esempio articolato di alfabeto risale al quattordicesimo secolo aC con l’alfabeto di Ugharit, in Siria, di derivazione sinaitica (17° secolo aC). Anche l’alfabeto arabo (che appartiene al gruppo degli alfabeti cosiddetti semitici) discende da questo travaglio, e come precursori ebbe l’aramaico ma forse anche il nabateo e il demotico egizio, mentre stilisticamente il primo arabo, quadrato, si apparenta – ad una visione superficiale - con l’estranghelo. 

Iscrizioni nabatee utili da considerare per un reperimento di probabili origini sono: quella di cUmm âlJimâl (250 dC circa); quella di Namâran, sulla tomba del bardo preislamico Îmru âlQays (328); quella di Zabad (512); e quella, bilingue (greco e arabo) di Harran (518). Una seconda iscrizione nabatea di Umm âlJimâl (VI secolo) è molto prossima all’alfabeto arabo formale del quinto secolo, in uso presso le tribù di Hîra e di Ânbâr nel nord della Penisola arabica, e introdotto alla Mecca da Bishr bn cAbd âlMalik. Fu questa la scrittura usata dal Profeta Maometto (570 c.-632) e dai suoi segretari, tra cui lo stesso Zayb bn Thâbit che sotto il califfato di cUthmân (644-656) redigerà uno dei primi Corani completi. Questa prima forma di un alfabeto d’origine nordarabica è probabilmente quella che al tempo era chiamata jasm. 

Ma non dilunghiamoci oltre. La necessità di scrivere il Corano, di consegnare intatto e ben leggibile il Verbo di Dio, impose subito allo stentato jasm introdotto alla Mecca e a Medina, detto hijâzî, tutta una serie di perfezionamenti. Sorsero mani locali, denominate dal luogo d’origine e senza caratteristiche distintive di grande importanza; e infine una prima forma di kûfi (in italiano “cufico”), cui seguì il cufico classico, diffuso dalla Spagna all’Irân. Così, a differenza delle altre arti islamiche, che ancora imitavano forme classiche tardoantiche (e ciò sino all’arrivo dei Turchi nel Bacino mediterraneo, che diedero l’avvio con il loro sicretismo alla cultura e alla civiltà islamiche propriamente dette ed autonome) , già a partire dal 632 aC si può tracciare una storia della calligrafia araba, le cui prime testimonianze vanno reperite, oggi, nella biblioteca della moschea di Sanca, nello Yemen. Sia chiaro: arabi sono solo gli abitatori della Penisola arabica. Tutti gli altri popoli del crescente fertile, dall’Iraq al Marocco, sono arabofoni. Non sono di sangue arabo, hanno ascendenze culturali proprie, notevoli (si pensi appunto all’Egitto o al Marocco dei Mauri e dei Vandali, e alla loro Vandalusia o Andalusia); è grazie a loro che si ebbe una cultura islamica, non grazie agli Arabi propriamente detti, gli abitatori della Penisola arabica.

Altro apporto islamico notevole, di cui è necessario parlare è la carta. Essa venne inventata dai Cinesi tra il I° secolo aventi Cristo e il I° secolo dopo Cristo.

La manifattura della carta era nota nei paesi islamici sin dal IX° secolo, e sin dal X secolo nei paesi islamici era nota anche la stampa, pur essa derivata dagli esempi cinesi imparati a Samarcanda. Subito dopo la carta, fra il secondo e il terzo secolo dopo Cristo i Cinesi inventarono la stampa; e tra il Mille e il Millecento idearono e utilizzarono i caratteri mobili. La stampa era però, anopistografica (ossia su una sola facciata del foglio), sia per la qualità della carta – senza colla – sia per il non utilizzo del torchio da stampa, entrato in uso in Europa al principio del Quattrocento, e subito diffusosi ad opera di Gütenberg.

La prima carta venne venduta in Europa nel XII e XIII secolo dai paesi musulmani del Nordafrica. Il termine italiano "carta" deriva dal radicale centroasiatico KAGH, che in uzbeko ha dato kaghda, in turco kağit, farsi ghaz, arabo kaghad e latino tardo charta; Dall'arabo rizmah viene il termine italiano "risma" (pacco di 500 fogli di carta - ma un tempo di 480 -; unità di misura ancor oggi in uso). E' del 1276 l'apertura della prima cartiera a Fabriano (Ancona), con un conduttore e tre maestranze musulmane venute dall'Andalusia. Nel 1278 essa viene donata ai monaci di Montefano. Una seconda cartiera viene aperta, ancora a Fabriano, nel 1283, sempre con conduttori musulmani.

Anche l'Editoria come industria di massa tramite i copisti (warraqin) fu iniziata in paesi musulmani nel X secolo; e le Librerie divennero centri culturali, da Granada a Samarcanda. âlYa`qubi ne numerò circa cento a Waddah, sobborgo di Baghdad.

Quanto alle Biblioteche, sin dal tempo degli Umayyadi esse contenevano sezioni di ogni ramo delle conoscenze del tempo. Gli autori solevano depositarvi un esemplare delle loro opere. Vi erano traduttori che si occupavano di trasmettere in arabo vari libri collezionati grazie ad acquisti in altri paesi non musulmani, soprattutto a Bisanzio. In quasi tutte venivano forniti gratuitamente carta, penna e inchiostro (come ai tempi nostri a Losanna); e i docenti universitari in visita da altri paesi vi venivano alloggiati gratuitamente. Quasi tutte le biblioteche avevano come impiegati fissi traduttori e copisti.

Mucâwiyya fondando l’Academia universitaria Bayt âlHikma la dotò di una delle prime Biblioteche, che sotto suo nipote Khâlid bn Yazîd divenne pubblica: la Dâr âlcilm.

La Biblioteca Bait âlHikmah (La Casa della Saggezza) venne fondata a  Baghdad nel 815. Nel 1200 Baghdad aveva 36 biblioteche pubbliche. Al Cairo, la Khizanah âlKutub, possedeva un milione seicentomila libri, disposti in quaranta sale. Sale dotate di validi strumenti bibliografici: cataloghi, bibliografie, vocabolari, dizionari, enciclopedie, repertori. Mille anni fa la Biblioteca pubblica di Córdoba contava 40.000 libri e il loro catalogo comprendeva 44 grandi registri di 40 pagine ciascuno; in pari tempo la più ricca d'Europa, quella del Vaticano, ne possedeva 986. Questa biblioteca fu del tutto distrutta a seguito della conquista dei re cattolici, e i suoi libri furono in parte gettati nel fiume, in parte bruciati sulla grande piazza per ordine del cardinale Cisneros.

In Iran la Biblioteca più ricca era quella di Shîrâz, fondata da cAdud âlDawla. Essa conteneva un esemplare di ogni opera scritta (in tutti i rami del sapere) conservata  in tutte le Biblioteche del Mondo islamico. Comprendeva quattro grandi edifici, oltre a cucine, refettorio e alloggi.

Il sultano ottomano Maometto il Conquistatore fece raccogliere le opere di tutte le biblioteche bizantine di Istanbul nell’Eski Sarây, radunandovi 135.000 manoscritti. Il suo successore Âhmed III fondò poi a Istanbul altre cinque biblioteche.

E veniamo ora alla Biblioteca di Alessandria d’Egitto (âlÎskandariyya), città carica di storia, di memorie, di leggende: Alessandro e l’arte ellenica di maggior splendore, nel periodo alessandrino; Antonio e Cleopatra; e Napoleone.

L’idea della sua costruzione scaturì nel 1972. La prima pietra del primo nucleo originario fu posata nel 1988 dal Presidente Hosni Mubarak e da sua moglie Suzanne Mubarak, e nell’anno successivo, con il concorso dell’UNESCO, fu bandito il concorso per il suo progetto globale. Nel 1995 vennero iniziati lavori del grande complesso globale, ultimato nel 2001.

Il 16 ottobre 2002 ebbe luogo l’inaugurazione ufficiale e quattro giorni dopo la Biblioteca fu aperta al pubblico. Costo totale dell’opera: 166 milioni di euri.

Potrebbe far suo il motto dell’Araba fenice: «Post facta resurgo», essendo stata costruita sullo stesso luogo in cui sorgeva la Biblioteca storica, lungo il mare.

Il progetto è dello studio Snøhetta, società norvegese, vincitrice concorso su 525 concorrenti. Architetto capo fu Christoph Kapellar, secondo architeto Craig Dyckers. Il secondo posto fu conquistato dall’Italia, con il progetto dell’architetto Manfredi-Nicoletti, professore alla Sapienza di Roma, già allievo di Pierluigi Nervi.

La struttura centrale è costituita da un grande cilindro d’alluminio anodizzato, con il tetto in diagonale a 20 gradi. Simbolizza il disco del sole. Visto dal mare pare il sole in atto di tuffarsi tra le onde. Copertura del tetto è parzialmente a griglie, d’alluminio e vetro, con pannelli regolabili. Pannelli che rammentano le vele triangolari delle feluche che solcano il Nilo.

Dalla città il complesso mostra una grande parete laterale di granito volta a nord, in granito nero di Zimbahwe, su cui sono incisi 4 mila grafemi che testimoniano di tutte le grafie del pianeta.

Il complesso ha 11 piani, di cui sette emergenti e quattro sotto il livello del mare, per una superficie totale di 85.000 metri quadrati. Al pianterreno  le opere riguardanti le religioni, al primo piano le letterature, poi belle arti, medicina, scienze sociali, sociologia, informatica e tecnologia dell’informazione. 300 sale accolgono 2.500 visitatori il giorno. Vi sono inoltre un Laboratorio di restauro, Scuole di calligrafia, una Scuola di informatica e una Biblioteca per bambini. Il Parcheggio sotterraneo ha 250 posti.

L’intera struttura è stata concepita per contenere sino a otto milioni di libri. Ha inoltre un archivio-internet, tre musei, otto centri accademici di ricerca, un planetario, un esploratorio, due mostre permanenti, 5 gallerie d’arte e un Centro congressi con un salone in grado di accogliere 3.500 persone.

La sala di lettura della biblioteca ha un centinaio di colonne alte sino a 16 metri, del diametro di 70 cm, di cemento bianco con capitelli lotiformi di stile egizio. È la più grande al mondo, con 3.000 posti di lettura e 600 con computers.

Direttore del complesso è l’eminente studioso Îsmacil Serag âlDîn, laureato ad Harward, già vicepresidente della Banca Mondiale.

Per concludere. L’Îslâm si è da sempre posto come un ponte fra Oriente e Occidente. Ha portato all’Europa, dalla Cina, la bussola, la carta, la stampa; ha portato dall’India i numeri, la matematica l’algebra. Le ha trasmesso la medicina con l’opera di Avicenna, che per secoli fu il libro di testo nelle Università europee; e così molte e molte conocenze scientifiche, come lo testimoniano i termini arabi beuta, catrame, alcale, alcool, nadir, zenit, e i nomi di molte stelle, come Betelgeuse ed Algol. Le ha trasmesso la chitarra, il violino, il liuto, ma anche i primi trattati di musica, pur questi dall’India. Ha trasmesso nuove tecniche per il vetro, compreso lo specchio di vetro e foglia d’argento, le tecniche per la ceramica a smalti colorati, e molti tipi di tessuti, tra cui la cotonina, la mussolina (da Mossul, in Iraq), il damasco (da Damasco, appunto), il satin (dall’arabo zaytun), il tessuto detto in inglese atlas (dall’arabo atlas) e il velluto.  

E ancora l'Îslâm portò in Europa il cotone, il riso, gli spinaci, i limoni, le arance, le pesche, i carciofi, il taràssaco, gli albicocchi  (e le relative tecniche di coltivazione), lo ZUCCHERO, il caffé.

Questa grande biblioteca multiculturale e multietnica, oggi ci insegna di là dagli angusti confini del razzismo, dell’odio, delle guerre e dei preconcetti, la convivenza fra culture diverse, l’amore per l’Arte e per il sapere, per lo studio e per la realizzazione del sé; questi grandi valori che fanno dell’umanità tutta la parte più bella della creazione di Dio, pur che dei valori dell’arte, della cultura e della fede si vogliano intendere e seguire i valori e la voce.

Dice un hadîth del Profeta: Înna  Âllâh jamîl, yuhibbu âlJamâ (Certo, Dio è bello e ama la bellezza). Qui c’è tutto ciò che occorre ad ogni essere umano: Dio, amore, bellezza. Se tutti fossimo consapevoli che ogni nostra azione è compiuta al cospetto di Dio, e che a Dio ne dovremo rendere conto dopo la nostra morte; e se compissimo ogni nostra aziona amando: amando noi stessi e gli altri; e compissimo azioni belle – sia creando opere d’arte e di cultura, sia non potendole compiere fruendone e apprezzandole, certo il mondo sarebbe veramente un mondo di serenità e di pace. Quella serenità e quella pace cui tutti gli esseri umani di buona volontà aspirano, di là dalle religioni, di là dalle divisioni etniche, superati egoismi guerre e ogni altro suggerimento diabolico. La serenità e la pace che l’arte e la cultura, sanno dare ad ogni essere umano, così come si prefiggono di fare e fanno oggi, in modo impeccabile, La Biblioteca d’Alessandria d’Egitto, il Piccolo di Milano e il Touring Club, cui va tutto il nostro appassionato ringraziamento.

Milano 2004 teatro Giorgio Strehler

Gabriele Mandel Khân