IL NUDO E IL CRUDO

di Bruno Corzino

 

 

Pornocrazia

 

È una parola greca, pornocrazia.  Letteralmente indica un governo (kratos) retto dalle prostitute (pornoi).

Come spesso accade, la storia è più curiosa e complicata di quanto ci si possa aspettare.

Il termine, infatti, non è stato inventato per indicare l’antica Roma o qualche harem della Cina imperiale, ma piuttosto per il papato del decimo secolo, dove lo scambio di favori sessuali si sostituiva e costituiva l'ossatura stessa del potere.

Oggigiorno la parola è stata presa in prestito dalla filosofia e dalla critica in un senso decisamente più ampio, volendo significare la dittatura della pornografia.

In altri termini una crescente presenza di modi di agire, di pensare e di presentarsi tipici della rappresentazione pornografica all'interno della vita quotidiana e in particolare nei mass media.

Argomentazione cardine alla base della tesi secondo la quale ci troviamo in una pornocrazia sono i punti in comune tra l'apparizione mediatica (e sempre più parte degli atteggiamenti e costumi quotidiani, in barba al femminismo) di elementi pornografici, quali:

1) la donna come oggetto, il cui valore è dato dalla sola bellezza.

2) la chiara disponibilità sessuale (anche maschile) dietro pagamento (in maniera diretta o indiretta).

3) la depersonalizzazione derivante dall'esibizione del corpo nudo o seminudo (il corpo è una giustapposizione di elementi caricati sessualmente, come seno e cosce, per cui ogni donna -o uomo- è interscambiabile con un altro).

Il fenomeno viene considerato una deriva della la liberazione sessuale del '68 e il consumo di massa della pornografia (in Italia resa legale nel 1962).

Quello che a noi interessa è l’ultimo punto, ovvero la componente corporea, il venire alla ribalta della nudità come costume sociale. 

Costume sociale significa che la nudità è ammessa e associata a situazioni che hanno un simbolismo e convogliano valori precisi (come la morale sessuale e lo status sociale - la donna magra e abbronzata non è solo attrattiva da un punto di vista sessuale, ma richiama anche un partner economicamente e socialmente altolocato).

Un altro filone della nudità, parallelo a quello della “liberazione sessuale” è quello del bodybuilding, che costituisce per così dire la controparte maschile dell'esibizione corporale femminile.

Bisogna tenere conto che la prima premiazione ufficiale per Mister Universo si tenne nel 1947 a Philadelphia, ma è solo con i film degli anni '80 che il fenomeno divenne di massa, anche in Europa.

Anche nel bodybuilding il corpo è reificato e deve per forza di cose apparire nudo o seminudo; l'aspetto sessuale rimane tuttavia di cornice (come aumento dell'attrattività verso l'altro sesso), mentre è assente il punto due, riguardante la prestazione sessuale è sostituito dall'aspetto atletico-economico.

Ci si può rendere conto di quanto anche questo aspetto sia paradossale e spinto agli estremi dando un'occhiata al documentario “Bodybuilding in Afganistan” di Andreas M. Dalsgaard.

Grazie alla “liberazione democratica” per mano delle armate statunitensi e alla conseguente colonizzazione culturale, ora nel settimo paese più povero del mondo giovani rampolli sono mantenuti dalla tribù di appartenenza nell'acquisto degli attrezzi e delle sostanze di sintesi di contrabbando per poter gonfiare i loro muscoli e portare così onore al clan. In un paese dove si muore letteralmente di fame i campioni del clan mangiano, da soli, fino a 20 uova al giorno.

Questo, mentre il mondo occidentale vive immerso nelle diete, temendo la “prova costume” e inseguendo per tutta la vita un ideale di perfezione fisica inventato dai mass media grazie alla manipolazione, oltre che del corpo tramite sostanze ed esercizi artificiali, anche digitale di video e immagini che ritraggono tale corpo (rendendo tale ideale del tutto incompatibile col corpo fisico normale).

Tutto questo, con le conseguenze che facilmente si possono osservare nella vita di tutti i giorni (e il business delle diete è solo la punta dell'iceberg: si pensi a come il canone della bellezza fisica determini i comportamenti sociali, fino a patologie psicologiche e alimentari), è in definitiva collegato e derivante dalla nostra concezione del corpo. Del corpo esposto e nudo.

Perché altrimenti gli addominali “a tartaruga” del palestrato o lo stacco tra le cosce della modella non sono visibili, quindi non esistono (socialmente parlando).

Vale allora la pena, per capire il senso e le conseguenze di questa idea del corpo, prendere le distanze e chiedersi da dove viene, come è venuta a formarsi e quindi quale sia il suo contenuto.

La “liberazione sessuale” nella versione che è venuta assumendo, cosi come il culto del corpo atletico, presuppongono infatti la nudità come condizione non solo accettabile, ma anche culturalmente caricata di senso (la “prova costume”, l'esibizione nei concorsi di bellezza, ecc.).

Ora, vale la pena di notare che questo concetto della nudità è proprio solo dell'Occidente moderno. Ancora agli inizi del secolo passato i cinesi che venivano a contatto con i colonizzatori occidentali facevano notare che le statue di ispirazione greco-romana con le quali adornavano le loro ville non erano affatto scontate, come questi tendevano a pensare, ma erano invece giudicate dal senso del pudore locale come oscene e scandalose.

Lo stesso discorso per il mondo islamico.

Allora, per comprendere questa cultura del corpo, con tutti i suoi corollari (le psicosi alimentari, il business delle diete, la “liberazione sessuale”, la pornografia di massa ecc.) conviene fare un salto indietro e andare a investigare da dove viene questo costume e come ha assunto le valenze attuali.

Facciamo quindi un salto nell'antica Grecia.

 

 

Perché i greci se ne andavano in giro nudi?

 

Innanzi tutto non ci andavano, in giro nudi. La nudità, genitali compresi, è infatti una caratteristica tipica dell'arte greca classica e ellenistica, non un costume quotidiano.

Una rappresentazione simbolica che tuttavia troviamo solo qui; nelle altre culture esistono infatti solo rappresentazioni di nudità parziale, dove i genitali risultano perlopiù coperti, fosse anche solo da un lembo di lino messo sui fianchi, come nelle pitture egizie.

Certo, esistono casi ben attestati di nudità rituale e religiosa: la prostituzione sacra, alcuni riti di fertilità, alcune divinità tra cui la più antica e la più nota è la Dea Madre le cui prime immagini risalgono addirittura al paleolitico.

Tuttavia la scultura greca ci pone davanti il soggetto del maschio adulto, allenato e con i genitali esposti con una tale frequenza da dare l’impressione di un rapporto ossessivo con questa immagine.

Eppure, come detto, la nudità completa (ovviamente maschile) non era presso i greci dell’epoca classica un uso quotidiano, ma era prevista solo in particolari e limitate situazioni.

Lo testimonia il termine “aidoia”, letteralmente “parti di cui ci si vergogna” per indicare i genitali.

Anche un’osservazione attenta delle rappresentazioni porta inevitabilmente alla conclusione che si tratti di una “nudità ideale” piuttosto che la resa realistica di una situazione quotidiana. E questo non solo per lo stato di assoluta perfezione fisica in cui questi efebi ci vengono presentati, ma anche per le situazioni in cui dovrebbero essere inseriti. Abbiamo ad esempio scene di guerra in cui la nudità genitale era più che improbabile, come anche corridori che si presentano privi di kynodesme, il laccio che serviva per tenere fermo il pene ed impedire l’esposizione del glande (si immagini soltanto quanto sia scomodo correre col pene sballonzolante per rendersi conto l'impossibilità di una resa realistica).

Risulta quindi evidente che la nudità espressa dall’arte greca è completamente diversa da quella parziale, vissuta in ambiti limitati, come le gare atletiche o l’allenamento ginnico. Per Platone e Tucidide la nudità è ancora una novità, ma una novità importante, perché ci dicono, è uno dei punti fondamentali, se non il punto centrale, attraverso il quale i greci si differenziano dai barbari. La nudità, il suo impiego ritualizzato e la sua rappresentazione erano quini evidentemente il centro della costruzione ideologica e identitaria della grecità.

Ma come si è arrivati a tale nudità e cosa significava?

 

Vedere e non vedere

 

Il prototipo di quella che in epoca classica diventerà la nudità ideale è il kouros, il “ragazzo”, o meglio l’iniziato ai misteri. L’accenno alla gioventù è tutto simbolico: anche Parmenide nel suo poema si fa chiamare dalla Verità “fanciullo”, quando all’epoca doveva già essere decisamente avanti con gli anni. Un termine formulare quindi, che vuole piuttosto accennare al fatto che l’iniziato, attraverso i misteri è rinato, quindi si trova ringiovanito, purificato, e la rappresentazione ieratica del kouros è tutta concentrata a rendere proprio questo aspetto.

Nella statuaria greca la rappresentazione del kouros appare già in epoca arcaica con forti connotazioni votive, ovvero utilizzata come guardiano di templi e sepolcri, più tardi riprodotto anche in scala ridotta attraverso modellini di bronzo. La posizione del kouros, rappresentato con lo sguardo fisso verso lo spettatore ed una gamba in avanti, nel gesto stilizzato di avanzare, ha fatto pensare ad un forte influsso egizio, che si concretizzerebbe in epoca arcaica nelle proporzioni delle statue, corrispondenti al canone egizio che divideva la figura in una griglia rigida di 21 quadrati dagli occhi ai piedi. Ma c’è un’importante differenza con tutti i modelli orientali: il kouros è infatti sempre nudo, con i genitali scoperti.

Evidentemente il fatto di avere i genitali scoperti aveva per i greci antichi un significato religioso del tutto particolare, come dimostra una rappresentazione del Sesto secolo in cui un ragazzino porta sulle spalle un agnello per il sacrificio e porta un mantello sulle spalle, che lascia però i genitali in bella vista.

Per capire cosa potesse significare questo portare alla vista ciò che normalmente rimane coperto, occorre dare uno sguardo al fenomeno che più di ogni altro ha plasmato la cultura greca a partire dalle sue origini, ovvero l’istituzione dei Misteri.

Come dice Kàroly Kerényi: “Ciò che vi resta segreto non è occultato o nascosto con l’intenzione di nasconderlo effettivamente e di occultarlo sul serio. […]

Ciò che era tenuto segreto nel culto greco era sicuramente ben noto a tutti coloro che abitavano nella ziona di quel determinato luogo di culto: era però una cosa che non si doveva pronunciare. Esso serbava questo carattere -il carattere dell’arreton- indipendentemente dall’arbitrio dei partecipanti al culto. Infatti, nel profondo – in quella profondità in cui esso poteva essere oggetto di culto- esso era appunto indicibille: un autentico mistero.”

Risulta chiaro il parallelismo con il tabù culturale che vieta di nominare e mostrare apertamente le parti genitali, presupponendo un’inevitabile intima conoscenza delle stesse. Si aggiunga l’indicibilità del mistero della riproduzione e dell’esperienza sessuale per chi non la viva in prima persona.

Ma ancora, sul senso del velamento e dello svelamento contenuti nei misteri: “Il nucleo-base del termine Mysteria- come pure dei termini mystes e mystikos- è costituito da un verbo, il cui significato rituale, «iniziare» (mueìn) è un’ulteriore formazione da «chiudere gli occhi o la bocca» (mùein). I monumenti – due repliche di una raffigurazione dell’iniziazione di Herakles nei Mysteria- ci mostrano che a questo proposito non dobbiamo pensare a un ammutolimento di fronte all’arreton, bensì ad una cerimonia del chiudere gli occhi. Vi vediamo un Herakles seduto con la testa completamente velata: i Mysteria cominciano per il mystes nel momento che egli, quale partecipe passivo all’evento (muùmenos) chiude gli occhi per ricadere quasi nella propria oscurità, per entrare nel buio”.

Che il velamento e lo svelamento che accadevano presso i Misteri riguardassero proprio la dimensione cosmica dell’evento della riproduzione e dell’unione sessuale ce lo conferma Pindaro: “Beato colui, che, dopo aver visto simile cosa, arriva sotto terra: egli sa della fine della vita e del suo inizio, dato da Zeus”.

Bisogna ricordare, per poter comprendere questa prospettiva che la vita umana, come quella degli altri animali, è incentrata sulla riproduzione e cercare di figurarsi la tempesta di emozioni che comporta la “scoperta” del sesso nell'adolescenza, con tutte le domande correlate riguardo al ruolo della coscienza o quello che gli antichi chiamavano “anima”.

 

Velare, rivelare, svelare

 

Gli indumenti servono a due cose: proteggere il corpo dagli agenti esterni e nasconderlo dallo sguardo altrui. Esiste però un capo di abbigliamento che possiede e sottolinea solo il secondo aspetto: il velo. Come abbiamo visto, il velo era un elemento fondamentale nei Misteri, dove l’iniziato era posto di fronte a un oggetto, solitamente un simbolo della fertilità, come una spiga o un fallo rituale, il quale era nascosto da un velo e veniva svelato. Ma nell’atto dello svelamento l’iniziato si trovava spesso ad avere gli occhi chiusi o bendati o a dover guardare in un’altra direzione. Quando poteva finalmente girarsi, l’oggetto era già stato rivelato. La parola “rivelazione” contiene ancora oggi una traccia di questo significato, di qualcosa che viene mostrato ma il cui significato profondo rimane comunque nascosto in quanto indicibile.

Un'altra tessera del mosaico è aggiunta dal fatto che il velo fosse un elemento essenziale dei matrimoni nell’antica Grecia, a cui la sposa si presentava velata, si svelava durante la cerimonia per poi tornare alla vita segregata e segreta del gineceo.

Quindi velata, svelata e rivelata.

Il legame con l’aspetto segreto, possiamo forse dire inquietante dell’unione dei sessi, e in particolare dell’unione col sesso femminile.

Ma cosa ha a che fare tutto questo col canone della nudità idealizzata?

In greco la parola per verità è “aleteia” che etimologicamente significa “svelamento” ovvero il mostrarsi di una cosa che prima era nascosta, velata.

Il kouros nudo, con i genitali scoperti è completamente svelato, si mostra nella sua interezza.

 

Bello e buono

 

L’ideale dell’aristocrazia greca era d’altronde “kalos kai agatos” ovvero “bello e buono”, nel senso che era dato per scontato che le virtù morali fossero evidenti nella conformazione corporea e vi si rispecchiassero completamente.

Possiamo vedere questo ideale classico come lo sviluppo di quella che era la società omerica, basata sui concetti di “vergogna” e “onore”.

L’eroe omerico è ossessionato dal suo apparire sociale, la sua figura dipende totalmente dal riconoscimento che gli viene conferito dai suoi pari, quindi dal suo onore.

Qualora un fatto porti al dissolversi di questa relazione sociale subentra la vergogna, che equivale per l’uomo omerico ad una perdita di riconoscimento e al bando sociale.

Se sei un guerriero in una banda il rispetto è tutto; perdere il rispetto significa che gli altri smettono di aver paura di te e possono derubarti, attaccarti, lasciarti indietro ecc.

La Grecia classica coniuga questa concezione con la nudità: le virtù del cittadino, come la morigeratezza, la giustizia ecc., sono direttamente visibili nella sua complessione fisica e nel controllo assoluto dei genitali.

La nudità controllata è un evoluzione della concezione del rispetto guerriero omerico all'interno della società inurbata.

Il cittadino espone il suo pene per rendere visibile la sua capacità di autocontrollo, che lo distingue dallo schiavo, dal barbaro e dalla donna.

È proprio questa sua capacità di auto controllarsi, di interagire coi suoi pari per dare vita alla polis, che lo rende unico e superiore a questi altri soggetti.

Il “costume della nudità” come lo chiama la studiosa di antichità classiche Larissa Bonfante, è ben distinto dalla nudità, che indica tradizionalmente povertà, vulnerabilità ed asservimento.

Nel costume della nudità lo shock di mostrare apertamente i genitali è un atto di spavalderia: il cittadino è talmente padrone di sé da poter mostrare apertamente ciò che gli altri nascondono per far vedere come è giusto e bene condurre la propria vita. Qualcosa che oggi potremmo definire un concetto di assoluta trasparenza, sociale, morale e fisica.

 

La donna e l’atleta

 

Naturalmente le considerazioni fatte sinora valgono soltanto per l’adulto, maschio e greco. La rappresentazione della donna continua di contro a mantenersi in uno stretto pudore. Soltanto le divinità vengono rappresentate parzialmente o totalmente nude. Ma queste rappresentazioni sono spesso destinate a case private o comunque a luoghi non accessibili al vasto pubblico.

Solo in epoca ellenistica ritroviamo la rappresentazione anche di donne comuni nude, nel solco però di quella glorificazione che è poi tipica dell’arte romana, non più portatrice dei valori etico-religiosi, ma puro encomio retorico.

Anche così, tuttavia, la nudità femminile rappresentata deve essere giustificata da una situazione plausibile (ad esempio il bagno) e la rappresentazione dei genitali femminili, a contrario di quella dell’onnipresente pene, rimane tabù.

Esistono eccezioni a tale regola, prima tra tutte Sparta, che permetteva alle donne di allenarsi nude, insieme agli uomini.

Ed è probabilmente su tale modello che Platone dice che anche le compagne dei guardiani devono svolgere gli esercizi ginnici, “indossando invece che il mantello la virtù - aretè - (Repubblica 457a).

Ma in entrambi i casi si tratta di una nudità ben diversa, puramente volta allo scopo riproduttivo e di controllo sociale, non certo portatrice di quei valori di cui il costume della nudità maschile è invece simbolo incarnato.

Alcuni storici dell’arte hanno notato questo curioso fatto per cui nell’arte greca, al contrario di tutta l’arte occidentale seguente, è l’uomo ad essere svestito e la donna, vestita, lo guarda, e non il contrario.

Ma nel caso della nudità greca è chiaramente allo sguardo degli altri maschi e cittadini che è rivolto lo spettacolo dello svelamento della nudità e della virtù morale e guerriera che è incaricata di esprimere. Lo sguardo della donna, segregata nel gineceo è infatti privo di importanza, inesistente. Non partecipa a quell’interazione di mutuo riconoscimento (e sorveglianza) del proprio autocontrollo, che costituisce la base della comunità maschile della polis.

Il corpo corrispondente ai canoni della bellezza della palestra incarna i valori della virtù: morigeratezza nel cibo (e quindi nelle ricchezze), volontà di essere allenati per difendere la propria patria, controllo dei genitali (quindi dei desideri sessuali in senso ampio). Il possedere un tale corpo è garanzia evidente che non si è crapuloni, pigri o sfrenatamente lussuriosi, ma padroni di se stessi, quindi membri affidabili e rispettabili della comunità.

Platone è chiaro al riguardo, quando ipotizza la presenza di vecchie e vecchi in palestra (Repubblica 452a-e): sarebbero brutti e ridicoli e non bisogna assolutamente mostrare il brutto, ovvero il cattivo.

Quello che si mostra nella palestra è esclusivamente il corpo giovane e bello e come tale va rappresentato, perché è l’unico ad esprimere quelle virtù di autocontrollo e autonomia che sono alla base della polis.

 

Corpo sacro e corpo politico

 

Concludendo l’idea religiosa di nudità ad un certo punto si lega con il concetto omerico di onore e vergogna per dare vita al costume della nudità nella Grecia classica.

Il pene nella nudità religiosa è spesso eretto ed evidenziato, per sottolinearne le capacità riproduttive, mentre nella nudità classica il fallo è in distensione ridotta a sottolineare il controllo degli appetiti corporei. Il simbolismo legato alle dimensioni del pene (che devono essere ridotte) porterà addirittura all'esecuzione di pericolosi e dolorosi interventi chirurgici di riduzione a cui i cittadini si sottoponevano pur di acquistare questo importante status symbol.

All’inizio del quinto secolo la fusione non è ancora compiuta, e troviamo infatti rappresentazioni di atleti pesanti e di barbari dalla corporatura decisamente massiccia (e con peni grossi).

Durante il sesto secolo questi tipi spariscono per lasciare pieno campo ai soli efebi. Anche gli eroi vengono rappresentati ringiovaniti e nella vasistica con un colorito più chiaro (ovvero meno mascolini, dal momento che secondo la medicina antica gli uomini sono più caldi, secchi e scuri, mentre le donne fredde, umide e chiare).

Quella dell'efebo è quindi un’astrazione, la rappresentazione di un ideale fuori dal tempo, come a fissare un attimo in cui viene raggiunto il pieno splendore, prima che cominci l’inevitabile sfioritura.

Il filologo inglese K. J. Dover sottolinea il legame essenziale con riti iniziazione dei giovani: la bellezza dei giovani era tra l’altro legata alle dimensioni ridotte del pene.

Questa predilezione per gli efebi sembra sottolineare una ossessione per la giovinezza e il periodo di massimo splendore dell’oplite (16-18 anni) diventa la divisione d’età centrale nelle Olimpiadi.

L'efebo è l'ideale del cittadino della polis. Viene dai misteri dove il sesso è svelato e rivelato ma ha gettato via il suo velo per mostrare a tutti il controllo che la sua ragione ha sul corpo. Non ha vergogna di mostrarsi perché il suo stesso corpo è garanzia delle sue virtù politiche e gli rende possibile godere di quel rispetto che deriva dalla sorveglianza rispettiva (un po' paranoica – si pensi alla declinazione Platonica della Repubblica) della loro persona.

La potenza non è più quella biologica del pene enorme ed eretto dei barbari col corpo in carne e pieno di vita, il seno prorompente e le anche della donna sessualmente attrattiva e feconda.

Potenza è la postura algida e azzimata dell'efebo col pene piccolo e il fisico magro, la cui perfezione sfiorisce in pochi anni. Potenza è controllo della ragione sugli istinti. Controllo sul corpo.

 

Ma fare sport è sano?

 

Non si creda che questo ideale, con le conseguenze fisiche collegate, fosse però condiviso da tutti. Tutti quelli che oggi definiremmo “intellettuali” erano infatti molto critici e non perdevano occasione per criticare e stigmatizzare l'atletismo professionale. Primi tra tutti Platone e Aristotele che sottolineano come l'atletismo professionale sia dannoso non solo per la salute, che distrugge, ma anche per la società dal momento che non è altro che uno squilibrio corporeo (troppo allenamento) che quindi porta a uno squilibrio mentale e politico.

Stessa cosa per i medici. Nel Corpus Hippocraticum leggiamo continuamente come l'atletismo professionale sia totalmente dannoso, fino ad affermare che la corporatura sana (con grasso e riposata) e quella atletica sono agli opposti. Gli atleti sono massimamente deboli e malaticci perché hanno troppo poco grasso corporeo, non hanno flessibilità nel regime alimentare e a causa degli esercizi i loro pori corporei sono allargati, dando accesso immediato a tutte le malattie.

In Galeno troviamo una netta distinzione tra gli atleti antichi (idealizzata – Galeno scrive nel mondo romano del Secondo secolo dopo Cristo) che erano degli amatori come diremmo oggi, che si allenavano ogni tanto e non per gareggiare e gli atleti professionisti dei suoi tempi. I primi erano in grande salute e forti, l'allenamento gli serviva per combattere. I secondi sono insani perché sottoposti a esercizi e dieta smodati. Bisogna ricordare che ai tempi non esistevano ad esempio categorie di peso nel pugilato, il che significa che all'atleta conveniva mangiare il più possibile (il pluricampione Mirone mangiava 8 chili di carne e beveva 5 litri di vino al giorno, ci dice Plutarco).

Normale che i medici fossero fortemente contrari a questo “doping” di carne e vino rosso (e sono riportati “doping” ben peggiori, a suon di sperma di toro, erbe rinvigorenti e intrugli a dir poco fantasiosi).

Chiaramente gli effetti di questo tipo di “dieta” non poteva che essere un corpo enorme e flaccido, ben lontano non solo dall'efebo, ma anche dall'ideale di moderatezza e forza contenuta della teoria greca.

D'altra parte l'atleta non professionista puntava invece al canone (oramai diventato davvero un canone come per i modelli dei nostri media) dell'atleta efebo, con quella che oggi viene definita “tartaruga” e un tempo veniva chiamata “grembiule” ovvero lo sviluppo artificiale dei muscoli addominale per fini meramente estetici. Anche questo non viene risparmiato da Galeno e dagli altri medici greci: storpiature di quella dieta e quel regime atletico moderato e equilibrato che era invece il canone per la salute.

 

L'equivoco da cui nasce l'ideale occidentale moderno

 

L’equivoco sorge quando questa bellezza idealizzata finisce per venire presa come un segno non più di canone etico-estetico ma come segno di effettiva forza fisica.

Si racconta che il re di Sparta Agesilao durante una delle sue campagne fa spogliare i barbari e vedendoli bianchi perché non si spogliavano mai e inoltre grassi e flaccidi perché si spostavano in carri, conclude che la guerra sarà come combattere contro delle donne.

Quei barbari che in pochi secoli avrebbero conquistato l’Europa spazzando via la civiltà greco-romana.

L’ideale del cittadino democratico abbronzato perché si esercita nudo sotto il sole diventa simbolo di potenza fisica a militare, per non dire potenza tout court.

Un equivoco che arriva dritto dritto nei film di Leni Riefenstein, che presentano quelle Olimpiadi moderne che già si allontanavano dagli ideali di De Coubertain (che proponeva un atletismo dilettantistico in linea con gli “intellettuali” greci, oltre che sovranazionale), per divenire campo dei professionisti e della competizione dopata, economica e nazionalista.

Proprio come nelle Olimpiadi antiche, quelle vere.

Proprio quello che criticavano medici e filosofi antichi.

Comunque sia, l'equivoco rinasce e si espande, il corpo allenato del professionista è uno status symbol che esprime forza e benessere economico, anche quando i mezzi e i risultati per ottenerlo sono in verità l'esatto contrario.

Anche il corpo femminile è parte del nuovo equivoco, come oggetto sessuale plasmato dai canoni della nudità. Anche qui il costume della nudità attuale presuppone un ideale contrario alla salute e alla forza (anche riproduttiva): la magrezza artificiale è direttamente opposta all'opulenza delle cosce e dei fianchi dei tempi “barbarici” ovvero di crisi, come il nostro Medioevo e l'antico Medio Oriente.

È dimostrato, infatti, che nei tempi di instabilità sociale ed economica (percepita o reale) l'ideale estetico tende alla ciccia e ai costumi castigati, mentre in quelli di disponibilità anche il corpo diventa disponibile, ma deve essere magro per distinguersi e quindi assumere valore.

Entrambe le tendenze, quando vengono perseguite in modo sconsiderato, come ideali, diventano stili di vita sbilanciati. Insalubri, sarebbe da dire da un punto di vista medico.

Se la medicina, come ogni cosa, non fosse influenzata a sua volta dagli ideali di una società: anche nell'antichità, come oggi, schiere di medici elaboravano diete e sessioni di esercizi per gli aspiranti uomini di successo o rispettabili cittadini.

Ogni società ha un suo ideale corporeo, più o meno in linea con la costituzione fisica e con la situazione sociale ed economica nella quale nasce. A noi premeva dare un'occhiata sulle origini dell'ideale corporeo occidentale moderno, per cercare di capirlo meglio e forse essere meno schiavi delle sue conseguenze negative.

 

 

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http://space.tin.it/io/nventur

 

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