Tutto il saggio introduttivo (qui  sono solo riportate le prime pagine) è presente nel libro "Federico II, il sufismo e la massoneria" edito da Tipheret (click sulla copertina). Nel testo pubblicato i saggi che seguono l'introduzione, riguardanti la Massoneria e il sufismo, sono di Gabriele Mandel)  ©

 

 

Introduzione di Nazzareno Venturi

Federico II e il Sufismo

 

 

“Il più musulmano dei re cattolici, il più cattolico dei re musulmani” così era nominato Federico II di Svevia. In un periodo come il nostro che fa risaltare le differenze e gli antagonismi sotto lo squallido vessillo del “dividi ed impera” un simile epiteto può risultare almeno bizzarro. Strano non è, allora come oggi, per chi cerca l’essenziale, il valore delle cose e dei pensieri oltre le etichette.

Se attraverso la distinzione si possono evitare confusioni e vaghe approssimazioni  la stessa di per se non é motivo di  contrapposizione. Uno stato mentale guidato dalla ragione,  cerca serenamente la verità, non è inficiato da interessi materiali che spingono ad alterare le cose a proprio vantaggio, né da pregiudizi legati al senso di appartenenza in un vacuo senso di identità particolare. In mezzo ad una storia umana che vale quanto la cronaca delle baruffe dei formicai in una foresta, c’è chi si eleva e guarda e agisce oltre. Federico II di Svevia ha cercato ed è riuscito in diverse occasioni a superare la misera litigiosità umana, la letargica ignoranza del ripetere e tramandarsi le cose senza chiedersi perché, al di là dei pregiudizi e dei condizionamenti. Il salto di qualità sta proprio nel trovare il senso della vita non “nell’arrivare primo”, nell’essere il più grande e il più forte o nell’avere di più (istinto peraltro comune a tutti gli  animali), ma nel recepire il valore del sapere e della qualità dei sentimenti verso gli assoluti quali la bellezza e la giustizia. In uno dei suoi componimenti poetici pervenutici, in genere belle esercitazioni letterarie, è  presente il tema dell’amor cortese e degli ideali della cavalleria, tipico dei troubadours (invitati e rifugiati nella sua corte dalla Provenza, terra di confine con l’islam spagnolo). Quei motivi poetici riportano l’eco di una basilare riflessione sufi: se non si coltiva l’arte e la fede (intese come pulsioni verso la bellezza e il divino) e il civismo (senso di giustizia, nobiltà d’animo, senso del bene comune) la vita avvizzisce nel nulla. (Il legame tra sufismo e  dolce stil novo è stato ben approfondito da Idries Shah nel testo “I Sufi, ed. Mediterranee).

Scrive lo stesso Federico

 

Misura, providentia e meritanza

Misura, providentia e meritanza

 fa l’uomo esser sagio e conoscente;

 e ogni nobiltà com si n’avanza!

e ciascuna richeza fa prudente.

 Né di richeze aver grande abundanza

faria l’uomo chè vile esser valente,

 ma de perordinata costumanza

 discende gentileza fra la gente.

 Homo ch’è posto in alto signoragio

 e in richeze abunda, tosto scende,

 credendo fermo stare in signoria.

 Unde non salti troppo, homo chè sagio,

 per grande alteze che ventura prende.

ma tutora mantegna cortesia.

 

Federico II ha rappresentato un anello di congiunzione tra l’Islam e il Cristianesimo, favorendo quel fecondo rapportarsi di culture diverse dalle quali la civiltà evolve.  A tal proposito Gabriele Mandel scriveva:

 

<< Quanto all’origine della poesia italiana — in Sicilia, alla Corte di Federico II — è fin troppo noto l’ascendente islamico sull’isola (Regno arabo dall’827 al 1091), e sulla Corte normanna. Ruggero I (che su invito del Vaticano aveva restituito l’isola alla Cristianità), Ruggero II e Federico II vennero soprannominati, a seconda dei vari punti di vista, « i sultani cristiani », « i re semipagani », e « i musulmani battezzati ». Alla loro Corte operavano dotti, studiosi e ministri islamici. Ruggero II ospitò al-Idrisi († 1166) che fu il maggior geografo e cartografo di tutto il Medio Evo. Federico II (1194-1250) ebbe a corte numerosi maestri sufi, e con altri tenne contatti epistolari, fra cui Avicenna, Mawsil, e in particolare Ibn Sa ‘in di Murcia. Questi scrisse uno dei più importanti testi sufici dell’epoca, il alAgwiba ‘an alAslla asSiqilliyya  (Risposte alle domande siciliane) per rispondere a una serie di domande poste da Federico II. Prendendo ad esempio le Madrase islamiche questo re fondò — con uno Statuto tipicamente sufico — l’Università di Napoli (1224), la prima in Europa con datazione sicura. Poeta egli stesso, Federico II amò circondarsi di letterati e di musicisti, ospitandone di provenzali e di arabi. Prese esempio dalle riunioni sufiche dell’Andalusia, e tenne alla sua corte vere e proprie tenzoni poetiche alla moda araba. Ebbe così origine la letteratura di lingua italiana, e perfino le tecniche di composizione poetica ed i termini specifici risentono dell’influsso islamico. Stanza ad esempio è evidentemente la traduzione dell’arabo bayt, che significa tanto casa quanto strofa. >> ( "Il sufismo vertice della Piramide Esoterica", SugarCo, 1977, pag. 168 )

 

Federico II amava la poesia quanto la scienza. Le domande che rivolgeva ai sufi e ai dotti dell’epoca possono sembrare infantili (Quanto è alto il cielo? Cosa regge la terra?) ma sono le stesse che ogni uomo d’ingegno si chiedeva in base alle conoscenze approssimative e talvolta del tutto inadeguate del suo tempo, un’epoca, quella medievale, in cui la realtà naturale doveva apparire assai misteriosa non disponendo di misurazioni oggettive come le attuali. Non c’erano satelliti capaci di evidenziare la posizione della terra nello spazio e dei suoi luoghi ma in compenso tanta immaginazione ed elucubrazioni sui vari sistemi del mondo (tra cui quello aristotelico del filosofo sufi Averroè, un pensiero che affascinava Federico II).

Non mancava allora, comunque, un criterio di osservazione che oggi chiameremmo scientifica. Ne dà prova lo stesso Federico. Egli intuiva che c’era una interdipendenza tra gli esseri, un rapporto empatico anche tra specie diverse. Nel suo trattato sulla falconeria,  diventato un classico per secoli, basato su osservazioni meticolose e corrette, parla di questo legame invisibile tra falcone e falconiere dandone anche una ragione scientifica in base  ai riflessi condizionati (una scoperta che precede di secoli le osservazioni analoghe di Pavlov): se si canta sempre una canzone mentre si offre il cibo al falcone questi ritornerà quando la si intonerà, indipendentemente dal cibo. (La caccia al falcone era  per Federico pure un buon motivo per “staccare” dagli impegni politici e ritrovarsi nella natura, godere l’aria buona degli alberi, i vasti orizzonti, osservare la vita degli animali e meditare).

Ma i misteri rimangono in chiave soprannaturale. Si chiedeva Federico: l’amore e l’odio possono ricollegare alla vita  un’anima trapassata ? (Come vuole la credenza popolare  sull’intervento e sulla protezione dei santi, mossi da compassione per gli esseri umani). La risposta di un sufi sarebbe stata che il legame può essere anche mediato ed indiretto, chi ha fatto opere buone e belle nella sua vita lascia in esse la sua barakha (grazia): quando si attiva il loro ricordo o il loro apprezzamento (nel caso di un oggetto) si verifica una comunicazione ultraterrena, o meglio, una sintonia spirituale. In altre parole si rivive quel sentimento originario che ha fatto nascere l’opera. Succede così anche nel male. Questi concetti possono richiamare la vasta letteratura sulle reliquie, dall’uso apotropaico degli oggetti alle superstizioni magiche, insomma il mondo di suggestioni e di meraviglioso di cui è fatto l’io bambino.

 La curiosità spingeva Federico all’indagine naturale, dalla fisica alla vita degli animali, alla speculazione filosofica. Ci troviamo di fronte quell’eclettismo tipico dei sufi ed anche se non abbiamo alcuna prova di una sua affiliazione cerimoniale al sufismo, ne rimane evidente l’impronta, la quale può anche imprimersi attraverso lo studio delle opere dei sufi o dall’intrattenersi con loro.

Il sufismo, per lo meno a uno sguardo immediato, può dare l’impressione di una visione panteistica (in realtà il principio è che Dio sta in tutto ma non è  nessuna cosa). Da qui l’empatia verso la natura. Ecco, Francesco d’Assisi (esaurienti a tal proposito sono gli studi su di lui di Idries Shah, op.cit. e di G.Mandel in questo libro) ha portato in occidente la stessa sensibilità panica dei sufi. Ma la Ragione per il sufi viaggia parallelamente al Sentimento. Essi indagheranno anche sulla continuità fisica e psicologica degli animali con gli esseri umani. Era facile allora accusare di blasfemia o ateismo chi, come Federico II, faceva paragoni di somiglianza tra animali e umani. Eppure la collera di un uomo é così diversa da quella di un orso? La fame che si prova e la voglia di sesso è cosa diversa da quella  di qualsiasi animale? E la paura ? No, le aree cerebrali interessate sono identiche. I gesti di tracotanza di un dittatore sono così diversi da quelli di un gorilla borioso di affermarsi sul branco? Ma anche la tenerezza di un' alce madre col piccolo, il bisogno di dare e ricevere protezione non sono le stesse tra le specie, compreso quella umana? Il tenue pigolio di un piccolo solo nel nido o di un micetto che cerca cibo e protezione non sta forse alla base delle invocazioni di preghiera? (Su ben altro piano è quella consapevole e meditativa), e i gorgheggi degli uccelli e le loro danze amorose sono così diversi dalle canzoni umane e dai corteggiamenti? E i giochi dei cuccioli non sono come quelli dei bambini che si rincorrono? Per carità, roba da anticristo! Scomunica garantita! In realtà i veri motivi delle due scomuniche a Federico II erano economici, egli era reo di aver confiscato beni alla chiesa e di aver concesso a suo figlio la corona di re di Sardegna che il papa voleva per sé. Bisognava però trovare delle accuse teologiche e morali e per questo c’era sempre qualche zelante burocrate disposto a testimoniare che aveva sentito dire che si diceva  che qualcuno aveva detto  che l’imperatore …

L’importanza di Federico II nella prospettiva di questo libro, sta nell’aver rappresentato un trait d’union tra Islam e Cristianesimo in nome della civiltà la quale va oltre le differenze di qualsiasi genere. Una cosa è bella, buona e giusta indipendentemente dall’etnia o dall’ideologia di chi la fa.

Per capire il filo conduttore tra l’Islam (e precipuamente il sufismo che ne caratterizza l’aspetto mistico ed esoterico) e i normanni e quindi con Federico II, dobbiamo rivisitare alcuni momenti storici. Fino all’anno 827, data della prima invasione musulmana ( in genere nei libri di storia si parla di conquiste arabe, in realtà gli arabi sono uno dei tanti popoli in cui si è diffuso l’Islam) la Sicilia era governata dai bizantini. Tutto cominciò quando un suo importante funzionario Eufemio, appoggiato da altri nobili, si rivoltò contro il governatore bizantino dell’isola e dopo diversi successi militari, si insediò a Siracusa dove si proclamò imperatore dell’Isola. Una rivolta interna presto lo costrinse a fuggire e a chiedere aiuto ai tunisini aglabiti che partendo con 700 navi sbarcarono a Mazara del Vallo nei pressi dell’odierna Marsala. Iniziò così la dominazione islamica destinata a durare oltre due secoli. La Sicilia divenne un emirato autonomo sotto la dinastia tunisina dei Kalbiti. I musulmani  si spinsero in altre terre del meridione e nell’841 anche Bari fu conquistata. Ma la frammentazione dei territori, sulla falsariga di quanto succederà in Spagna, causò la fine di un periodo non privo, comunque, della pace necessaria per il fiorire delle arti e nelle scienze. L’Islam portò innanzitutto quelle tecniche agricole e quella voglia di trasformare la terra in uno specchio di paradiso, cosi come è allegoricamente dipinto dal Corano, dove la natura e la bellezza, anche nella sua sensualità, assurge al suo splendore assoluto.

I normanni ereditarono e mantennero tali valori pratici e spirituali.  Ruggero I d’Altavilla sfruttando le contese tra i signorotti musulmani, riuscì nel 1072 a conquistare Palermo e con essa la Sicilia iniziando il regno normanno. La mescolanza di etnie determinatasi tra le genti more del sud e i biondi del nord (da cui il termine normanno) fu pari a quella culturale, un arricchimento vitale che traspariva ovunque, nelle botteghe d’arte, negli edifici (i musulmani avevano eretto 300 moschee in Sicilia e pervaso l’isola dello stile moresco ) e  nelle strade.

Qui, a Palermo, secondo un racconto tramandato ricco di suggestioni (cfr. Wil Duran “L’epoca della fede”, Mondadori, pag 796)  Federico II da ragazzo scorrazzava liberamente come un figlio di nessuno (pur essendo figlio blasonato di un re, incoronato egli stesso re di Sicilia a quattro anni e  avendo come tutore il papa). Il padre Enrico IV di Svevia era morto prima che lui nascesse (1124), mentre la madre ( Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II) morirà un anno dopo, affidando al papa Innocenzo III la tutela del figlio e concedendogli la sovranità papale sull'isola oltre a un lauto stipendio per l'educazione di Federico. Questo ragazzino dai capelli rossi  e ricci visse senza alcun rigoroso controllo da parte dei suoi tutori,  fino al punto di girovagare dappertutto e  ritrovarsi talvolta affamato e lontano dalla reggia. Per pietà c’era sempre  qualcuno che gli dava qualcosa da mangiare. Sia o non sia una leggenda è certo che, nelle contraddizioni dell’epoca, potrebbe starci anche questo, ma sono solo supposizioni. Probabilmente non è anche vero che il fanciullo fosse stato segregato dal papa nella reggia di Palermo. E’ verosimile invece che vivesse abbastanza sguinzagliato come voleva la tradizione normanna, fin a girare nei bassifondi di Palermo.

Aveva avuto buoni maestri come l’arcivescovo Nicola di Taranto e il notaio Giacomo da Traietto ma non ignorava l’università della strada. Un’apertura mentale come la sua, la curiosità verso ogni forma del sapere, il senso della libertà di pensiero non si sviluppa dentro quattro mura tra apatici servitori, ma in una fecondità di stimoli intellettuali ed affettivi.   La sua curiosità e l’intelligenza fuori dal comune stupirono tutti. Quando a 14 anni, secondo l’uso normanno, fu sciolto dal legame col suo tutore, gli fu riconosciuta una maturità che andava ben oltre quella cronologica. Un ragazzino poliglotta, capace di districarsi in diverse lingue, tra cui il latino, il greco, il tedesco, il francese, l’ebraico e l’arabo, appassionato di arti e soprattutto di poesia, non era comune. Oggi verrebbe definito un bambino prodigio. Spesso gli psicologi hanno osservato come certi orfani siano particolarmente dotati e capaci: “bambini indistruttibili”. Certamente qualcuno, sin dalla più tenera età, li ha spontaneamente amati fuori dai legami di sangue e loro stessi si sono fatti amare, richiamando una energia che li ha portati all’eccellenza nei campi dove si sono espressi. Inoltre, in queste figure eccezionali,  orfani oppure no, spicca quell’intelligenza che va di pari passo con la libertà dai condizionamenti, nel saper individuare sempre più scelte e saperle percorrere.

L’amore per la verità rende veramente liberi. In una sua lettera Federico ricorda il proprio sforzo interiore (ossia il vero significato del termine arabo jiad)  di non si lasciarsi mai andare nell’ozio ma di approfittare di ogni momento per studiare e fortificare l’intelletto, di cercare la scienza perché solo “sapendo” si può essere liberi.

Ad un’attenta osservazione della natura si evidenzia come l’evoluzione degli esseri, dai più semplici batteri ai primati, sia caratterizzata da un minor o maggior grado di libertà davanti alle situazioni. La reazione automatica, istintiva, quasi un meccanismo fisso di azione e reazione degli esseri viventi  (come il fuggire davanti al pericolo o cercare il cibo) lascia il posto alla decisione della scelta più utile davanti alla situazione nuova. Così anche tra gli esseri umani c’è chi ripete quasi ossessivamente pensieri e comportamenti, sottomesso ciecamente alle formalità del suo ambiente e chi evolve liberamente trovando la soluzione più giusta per sé e per gli altri. La libertà (parola abusata fino alla nausea dalle falsificazioni politiche ) non è solo un fatto di intelligenza ma anche di sentimento, un senso di esistere che permette di non essere incastrati nei meccanismi sociali basati sulla competizione sleale, sull’arrivismo, sulla lotta di predomino, sulla prevaricazione e il parassitismo,  tutte cose appartenenti allo stato animale di natura.

 La storia umana di guerre fratricide tra i popoli  continua biologicamente quella che esiste tra i batteri o tra i primati nella giungla. Civismo è realizzazione del bene comune, nulla si fa di quanto può essere dannoso per qualcuno e per l’ambiente, umano e  naturale.  Anche Federico II  comprese quanto secoli dopo Francesco Bacone  (un altro personaggio capace di attingere a piene mani dal sufismo) ben espresse: libertà dello spirito significa libertà dagli “idola”, da quel tramandato che ci ha intrappolati fin dall’infanzia, dai condizionamenti dell’autorità formale (il vestito non fa il monaco). Dalla più nera e cieca necessità alla più luminosa libertà. L’assoluta libertà è Dio.

Il fatto di essere orfano può accelerare il bisogno di farsi da sé, di scegliere, in quanto l’ambiente familiare  è meno coinvolgente ( per quanto ci sia sempre qualcuno che si prende cura dell’infante in assenza dei genitori naturali). Grazie a ciò, avendo avuto diversi modelli ed essendosi affezionato a persone diverse  di tutte le condizioni sociali, Federico ha facilmente superato le differenze sociali valutando le persone a prescindere dai titoli e dai poteri. Mentre un nobile gradasso finiva per annoiarlo, un poeta valido ma squattrinato lo poteva stupire e diventava suo amico. Nel corso della sua vita non ebbe mai soggezione davanti a qualsiasi potente del tempo, né le scomuniche lo turbarono. Ma senso di libertà non significa ribellione e sfrontatezza: in modo avveduto lui sapeva tener conto della realtà e fare scelte opportune, rimediare agli inconvenienti privilegiando la diplomazia all’uso della forza.

Il senso pratico gli permetteva di tenere insieme situazioni contrastanti. Per prima cosa organizzò in modo rigorosamente laico il suo impero, cominciando a coniare monete senza simboli cristiani, in un secondo tempo negli uffici di stato sostituì gli ecclesiastici coi giuristi. Nello stesso tempo cercò di  mantenere l’immagine di monarca cristiano (per non creare inimicizia col papato, fin quando ci è riuscito). Si mostrò paladino della cristianità dicendo di combattere le eresie ma fondò l’università statale a Napoli, la prima senza ingerenza ecclesiastica. Nella scuola medica di Salerno si poteva esercitare una libera ricerca, compresa quella sull’anatomia umana con la dissezione dei cadaveri, allora tabù nella cristianità. Il libero pensiero poteva essere esercitato pienamente a corte dove l’intellighenzia islamica ed ebraica  potevano esprimersi liberamente. E i legami culturali superavano le distanze: tra la sua corte e quella del sultano d’Egitto c’era uno scambio continuo  non solo diplomatico ma di informazioni e conoscenze. Il matematico pisano Fibonacci, dell’entourage di Federico, seppe  farne tesoro portando in Europa lo zero con un enorme vantaggio nella velocità dei calcoli. 

Insomma Federico doveva aver appreso bene la lezione sufi sul regolare i contrari (come i caratteri opposti che si compensano e si stimolano, ma ognuno...stia al suo posto) sintetizzata dall’antico indovinello del contadino intento a portare  sull’altra sponda del fiume un lupo, un grosso cavolo e una pecora. Come avrebbe potuto traghettarli sani e salvi dall’altra parte, uno alla volta, come consentiva la sua piccola barca?  Se portava per primo il cavolo, il lupo avrebbe mangiato la pecora, se portava il lupo, la pecora avrebbe mangiato il cavolo, eccetera, eccetera. E non è poi  così difficile risolvere l’enigma.

Nonostante fosse stata edificata una sola chiesa durante il suo regno, quando fu eletto imperatore in Germania volle mostrarsi difensore della cristianità (tutta propaganda politica, fatta com’è di promesse per ingraziarsi potenti e popolo) promettendo di partire per una crociata volta a liberare la terra santa dai mori (in realtà i pellegrini cristiani potevano andare e venire come volevano, protetti dalle stesse autorità musulmane), ma per una ragione o per l’altra rimandò l’impegno tanto da subire la scomunica. Del resto il suo esercito era composto da molti musulmani che lo amavano; la maggior parte di essi erano soldati sconfitti  ma ben contenti di essere passati dalla sua parte, con un capo che non solo parlava disinvoltamente l’arabo ma apprezzava la loro cultura ed era amico dei personaggi musulmani più illustri dell’epoca. Addirittura le sue fedelissime guardie personali provenivano da Lucera, in Puglia, una roccaforte musulmana lasciata sotto il loro controllo (cosa che irritava alquanto il papa). Con questo non  dobbiamo credere che l'imperatore avesse una predilezione per i musulmani a svantaggio dei cristiani. In quel tempo ci si massacrava tra cristiani e tra musulmani per i soliti motivi economici e per il dominio delle terre. Quando Federico ritornò dalla Germania e  trovò la Sicilia in parte controllata dai musulmani, capeggiati da Mohammed ibn Abbad, non esitò a ripristinare l'assetto precedente con l'uso della forza. Il capo fu impiccato. Chi non si arrendeva faceva una brutta fine. Non si trattò di pulizia etnica ma di sterminio dei nemici, non importa sotto quale bandiera combattessero. Federico, esattamente come non aveva pregiudizi nel rapportarsi con l'intellighenzia del tempo, musulmani, ebrei o cristiani che fossero, così  non ne aveva in campo militare. L'importante è potersi fidare della persona in sè, non in quanto appartenente a questa o quella credenza, di questo o quel colore. E questo è sufico.

Ma procediamo con ordine. Sei mesi dopo la scomunica, Federico II partì per suo conto per la terra santa (ritenuta allora il centro del mondo) senza idee bellicose contro i mori ma mettendo in atto una strategia diplomatica. Dopo aver sposato la quattordicenne  Isabella di Brienne, legittima erede al trono del regno di Gerusalemme ( un matrimonio ovviamente politico), si accordò col sultano d’Egitto alKamil, suo amico del resto, stipulando un trattato in cui per 10 anni il sultano gli concedeva la reggenza di quelle terre ( a patto che proteggesse sia il pellegrinaggio dei cristiani al Santo Sepolcro, sia il pellegrinaggio dei musulmani alla moschea o cupola della Roccia, l’ottagonale edificio a ricordo del luogo d'arrivo del viaggio celeste di Maometto).   Per impedire che venisse consacrato re,  il patriarca di Gerusalemme proibì a tutti gli ecclesiastici di incoronare uno “scomunicato” e fece chiudere tutte le chiese in terra santa(Sotto  la dominazione islamica i  cristiani potevano non solo compiere liberamente il pellegrinaggio, ma anche acquistare beni e possedimenti, tanto che nelle altre crociate per appropriarsene i crociati massacrarono gli stessi cristiani del luogo ). Federico II allora si incoronò da sè suscitando sdegno in tutta la cristianità. La Chiesa aveva paura del suo senso d'indipendenza più ancora che dell'islam, basti pensare che i templari inviarono una missiva ad alKamil in cui era spiegato il modo di disfarsi di Federico. Su quella carta  era segnalato  il momento e il luogo in cui si sarebbe potuto facilmente catturare  mentre si recava al Santo Sepolcro, ma alKamil la fece reindirizzare a Federico, come gesto di fiducia e lealtà nei suoi confronti.

 

 (Continua ... )

 

© Nazzareno Venturi

 

(ogni trascrizione completa o parziale dei saggi presenti sul caravanserraglio, essendo provenienti da pubblicazioni copyright, può essere fatta solo tramite autorizzazione )