La danza dei dervisci giranti (il Semà dei Mevlevi)
Comune di Pistoia, Sala Sinodale - martedì 6
luglio 1999, ore 18.00
Conferenza del prof dott Gabriele Mandel:
Il Semà (o danza mistica dei dervisci
giranti) è il dhikr rituale dei Mevlevi, i sufi della Confraternita fondata da Jalâl
âlDîn Rûmî, detto Mevlana (nostro Maestro). I sufi, o dervisci, sono i mistici
dellÎslâm. Trovo quindi necessario citare alcuni versetti del Corano per chiarire,
in breve, i caratteri dellÎslâm; e aggiungerò naturalmente alcuni cenni sui sufi
e su Rûmî, per poter infine parlare dei significati essoterici ed esoterici del Semà.
LÎslâm è contenuto nel Corano, e tutto ciò che non è coranico o è contrario al
Corano non è Îslâm. Dice il Corano: (2ª177) La religiosità non consiste nel volgere
il vostro volto verso oriente o verso occidente. La religiosità consiste [...] nel dare
dei propri beni ai parenti, agli orfani, agli indigenti, ai viaggiatori, ai mendicanti, e
per la liberazione degli schiavi; nellosservare la preghiera, nel versare
lelemosina legale. Sono caritatevoli quelli che rimangono fedeli agli impegni
assunti, che sono perseveranti nelle avversità, nel dolore e nel momento del pericolo.
Ecco le genti sincere.
(25ª63-76) Ecco come sono i servi del Misericordioso: camminano sulla terra con umiltà;
quando gli ignari si rivolgono loro, dicono loro: «Pace». Passano le notti pregando il
Signore [...]. Quando dispensano, non sono né prodighi né avari, poiché il giusto sta
nel mezzo; e non invocano altra divinità accanto a Dio; e non uccidono anima alcuna se
non secondo diritto [di legittima difesa], perché Dio lha proibito; e non compiono
atti osceni; chiunque lo fa incorre nel peccato, avrà un castigo doppio il giorno della
resurrezione, e rimarrà oppresso dallignominia, a meno che non si penta, creda e
compia opera buona; perché a quelli Dio muterà il male in bene - poiché Dio è
perdonatore, compassionevole. E non testimoniano falsamente, e passano nobilmente
attraverso le vanità; e quando i versetti di Dio sono recitati non rimangono sordi e
ciechi. E dicono: Signore, da a noi, alle nostre mogli, ai nostri discendenti, la
serenità; e fa di noi un esempio ai fedeli».
E quale deve essere latteggiamento del musulmano nei confronti delle altre
religioni? Dice il Corano:
(2º 62) Sì, i musulmani, gli ebrei, i Cristiani e i Sabei, chiunque ha creduto in Dio e
nel Giorno ultimo e compiuto opera buona, per costoro la loro ricompensa presso il
Signore. Su di essi nessun timore, e non verranno afflitti.
(2ª136) Dì: noi crediamo in Dio, in quel che ci ha rivelato, e in quello che ha rivelato
ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, alle Tribù, in quel che è stato dato a Mosè
e a Gesù, e in quel che è stato dato ai profeti dal loro Signore: noi non facciamo
differenza alcuna con nessuno di loro. E a Lui noi siamo sottomessi.
(5º 68-69) Dì: Genti del Libro, sarete sul nulla fintanto che non seguirete la Thora, il
Vangelo e ciò che vi è stato rivelato dal vostro Signore [...]. Sì, i musulmani, gli
Ebrei, i Sabei, i Cristiani - chiunque crede in Dio e nel Giorno ultimo e compie opera
buona - nessun timore per loro e non verranno afflitti.
In effetti il Corano dice chiaramente: (45ª27-28) La signoria del cielo e della terra
appartiene a Dio. E quando giungerà lora ultima, allora i facitori di vanità si
perderanno. E vedrai inginocchiata ogni comunità; e ogni comunità sarà chiamata davanti
al suo Libro. [E sarà detto loro:] Ecco, ora verrete retribuiti secondo ciò che avete
fatto.
Ed ancora: (5ª48) Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità
religiosa; non è così, per provarvi in ciò che vi dà. Gareggiate dunque fra di voi
nelle buone opere; poi tornerete tutti a Dio, ed Egli vi informerà su ciò in cui voi
divergete.
(9ª6) Se un idolatra ti chiede asilo, concedigli asilo. Ascolterà la Parola di Dio. Poi
fallo giungere in un luogo per lui sicuro. Ciò perché in verità è gente ignara.
(2ª256) Nessuna costrizione in fatto di religione: la giusta direzione si distingue
dallerrore, e chiunque rinnega il Ribelle e crede in Dio ha afferrato lansa
più solida, che non si spezza. Dio sente e sa.
(18ª29) La verità emana dal Signore. Creda chi vuole, non creda chi non vuole. (23ª62)
Noi non costringiamo nessuno, se non secondo le sue capacità. E nessuno verrà leso,
poiché è presso di Noi il Libro che dice la verità.
Junaid - Maestro sufi del IX° secolo - disse: «Il colore dellacqua è il colore
del suo recipiente», intendendo che tutte le religioni sono eguali; differiscono per
ambiente, nome e ritualistica, ma non possono differire nella sostanza. La divinità,
assoluta, non può essere contenuta in una cosa perché è lorigine - e
lessenza - di tutte le cose, e quindi anche di tutte le religioni. Più ci si
avvicina a Dio, e più si capisce che tutte le religioni sono tentativi per avvicinarLo».
Ecco quindi il concetto Îslâmico:
lEBRAISMO è la religione della speranza;
il CRISTIANESIMO è la religione dellamore;
lÎslâm è la religione della fede.
Cominciamo ora a introdurci nellaspetto
gestuale delle manifestazioni religiose Îslâmiche, con un accenno alla preghiera.Nel suo
svolgersi la preghiera islamica ha varie posizioni susseguentisi, che alternano armonia,
ritmo e simmetria: posizione ritta, inchino, inginocchiamenti, prosternazioni; ciascuna
accompagnata da versetti coranici e da formule determinate.
L'accompagnare le parole specifiche della preghiera con i gesti, mantenendo così la
mente impegnata sia nei testi recitati sia nei movimenti, fa sì che l'orante non si
distragga e non divaghi.
Dice inoltre il Corano: (2°62; 5°69, ecc.)
Chiunque crede in Dio... e compie opere buone. Credere in Dio non basta, la vita
contemplativa non è sufficiente: occorre anche operare il bene. Ecco: la preghiera
musulmana si compone di fede in Dio e di Azione, per ricordare che la religione impone la
meditazione del Corano ma anche il ben operare.
Ma ancor più: noi siamo un "riflesso" di Dio. Dio nella sua qualità di
Creatore (e solo Dio) crea. Usando termini che siano comprensibili
alla mente umana anche se enormemente restrittivi per la Realtà divina, possiamo dire che
con l'azione Dio crea l'energia e con il pensiero crea le leggi che la regolano.
Coordinando lenergia, le leggi le permettono di costituirsi nel mondo fenomenico,
che noi erratamente riteniamo materia (sia chiaro: il mondo fenomenico è formato da
atomi, che a loro volta sono formati da quanta di energia, non di materia. Latomo
non è materia, per cui la materia è illusione umana). La preghiera Îslâmica, unendo il
pensiero (i testi) e lazione (i movimenti), rammemora e onora questa realtà,
origine di tutto il nostro essere e di ogni essere, in questo mondo fenomenico che è solo
riflesso dellunico sussistente, Dio.
Veniamo ora al sufismo, l'aspetto più mistico
dell'Îslâm. I Sufi sono organizzati in confraternite (si possono definire l'equivalente
dei frati della religione cattolica) e costituiscono tutta una serie di consorterie di
pensiero che sono state alla base di scienze e speculazioni metafisiche anche dell'Europa.
E' quindi auspicabile che i valori del sufismo vengano conosciuti anche dai non musulmani,
se è tempo che siano conosciuti da quanti seguono etiche che hanno lo scopo comune di
elevare l'umanità, di creare un mondo di pace, di tolleranza, di fratellanza illuminata
universale. I Sufi infatti, partendo - come ogni musulmano veramente tale - da una lettura
corretta del Corano, dall'applicazione totale dei concetti coranici in fatto di tolleranza
interreligiosa, di comportamento etico corretto, di consapevolezza dell'unicità assoluta
di Dio, seguono poi un cammino di ricerca mistica sempre più approfondita, di ricerca
costante del divino, consapevoli anzitutto del fatto che Dio solo sussiste, mentre noi
siamo soltanto un riflesso della Sua qualità di Creatore; essi superano il contingente
del rituale religioso comune, per giungere ad un annientamento estatico in Dio attraverso
un lungo cammino di perfezionamento interiore. Ecco allora il dhikr, rito con modalità
differenti secondo le varie confraternite, costituito da pensiero, ritmo, simbolo e
movimento, canto, danza e parola, nei sette gradi dell'evoluzione mistica.
Sorte dalla lettura culturalmente progredita del Corano precipua degli
Iraniani, in unione con tecniche filosofico-sciamaniche dei Turchi, le correnti sufiche
nacquero nell'Asia centrale e dai Turchi vennero diffuse in tutto il mondo islamico.
Emersero Ordini che promossero correnti ricche di pensatori eminenti; ma in Arabia e
presso alcune popolazioni arabofone certe confraternite dei Sufi degenerarono in correnti
politiche integraliste o di bassa spettacolarità a carattere pseudo-magico.
Ma letica dei Sufi (come giustamente osserva il giudice
Said âlÂshmawì, grande giurista Îslâmico contemporaneo) afferma che la religione non
può essere utilizzata come politica poiché la religione eleva mentre invece la politica
corrompe, limita, divide, uccide. Né si può accettare una formula religiosa spinti
dallignoranza, dalla paura o dal preconcetto. La vera religione - in questo caso il
vero Îslâm - si basa su due principi: fede in Dio e rettitudine nel comportamento.
Letica del Sufismo è da secoli impegnata in questo conseguimento, e si propone come
risoluzione della ricerca di identità dellÎslâm che nelle plurime e a volte
perfino aberranti o inquinate manifestazioni oggi rischia di allontanarsi dai precetti
coranici così come ne sono lontani (pur proclamandosi invece musulmani) vari capi di
Stato del periodo attuale. Il sufismo, appunto seguendo alla lettera i dettami del Corano,
avvicina luomo a Dio attraverso lavvicinamento delluomo a tutti gli
altri uomini, grazie alla tolleranza per ogni pensiero differente dal proprio, al rispetto
per lindividuo ma anche per i suoi diritti e per il suo ambiente. Sin dal XII°
secolo i Sufi hanno propagandato il motto «libertà, eguaglianza, fratellanza». Questo
nonostante le persecuzioni da parte di dittatori, di ulema corrotti, di teologi limitati.
Persecuzioni che sono state esemplate dalla figura di âlHallj (858-922), uno dei poeti
mistici più eminenti dellumanità tutta.
Personaggio di spicco per la comprensione delletica sufica è proprio Jalâl âlDîn
Rûmî, il Dante Alighieri della gente turca, uno dei più grandi mistici
dellumanità e fondatore, come già ho detto, della confraternita dei Mevlevi. Nato
a Balkh (Âfghânistân) nel 1207, morì a Konya (Turchia) il 17 dicembre del 1273. Di lui
il professor Halil Cin, rettore dellUniversità Selciukide di Konya, ha scritto:
«Rûmî, superando le frontiere religiose del pensiero turco e dellÎslâm, è
simbolo di un amore, di una tolleranza e di una pace indirizzati a tutta lumanità.
Trova la fonte dellispirazione nellÎslâm e nella cultura turca; li esprime
ed amplifica, e li offre a tutti senza distinzione alcuna, mentre la maggior parte dei
conflitti fra gli uomini deriva appunto dalla mancanza damore, dallegoismo,
dal fatto che non è dato alla persona umana il valore che merita».
Il messaggio di Rûmî trova veramente lambito universale nella quartina che
leggiamo allingresso della Mevleviyya di Konya:
«Vieni, vieni, chiunque tu sia vieni.
Sei un ateo, un idolatra, un pagano? Vieni.
Il nostro non è un luogo di disperazione,
e anche se hai violato cento volte una promessa... vieni»
Ebbi a dire in altra sede che Rûmî ci insegnò "a
superare il preconcetto limitante, il condizionamento restrittivo, il ricatto morale ed
ogni sentimento egoistico che acidamente semina nelle coscienze terrene limposizione
violenta di una ideologia, sia essa politica o religiosa che non sia a dimensione umana
valida per tutta lumanità, in grado di insegnare la pace, la tolleranza, il
rispetto reciproco. Oggi tutti invocano la pace, ma secondo i concetti del filosofo
iraniano Seyyd Hossein Nasr il massimo esperto di Sufismo, oggi docente
allUniversità di New York - «essa non è mai raggiunta proprio perché dal punto
di vista metafisico è assurdo aspettarsi che una cultura consumistica ed egoistica,
dimentica di Dio e dei valori dello spirito, possa darsi la pace. La pace fra gli esseri
umani è il risultato della pace con se stessi, con Dio, con la natura, secondo una
componente etica che abbia superato false morali, preconcetti, interessi unilaterali e
presuntuose ignoranze. Essa è il risultato dellequilibrio e dellarmonia che
si possono realizzare soltanto aderendo agli ideali precipui delle società esoteriche. In
questo contesto è di vitale importanza la pace fra le religioni.
«In tema di pace va detto qualcosa a proposito della pace interiore che oggi gli esseri
umani cercano disperatamente tanto da aver favorito linsediamento in Occidente di
pseudo-yoghi e di falsi guaritori spirituali. In realtà si avverte per istinto
limportanza dellascesa mistica ed etica, ma ben pochi accettano di sottoporsi
alla disciplina di una tradizione autentica, la sola che possa produrre effetti
positivi». Allora, quando si è atei, quando mancano ideali religiosi o etici o morali,
molti si volgono alla droga, che è violenza su se stessi e fuga, oppure alla violenza
sugli altri giungendo anche al massacro sistematico di popolazioni inermi o di gruppi
etnici diversi dal proprio.
Rûmî scrisse: «Le vie sono diverse, la meta è unica. Non sai che molte vie conducono a
una sola meta? La meta non appartiene né alla miscredenza né alla fede; lì non sussiste
contraddizione alcuna. Quando la gente vi giunge, le dispute e le controversie che sorsero
durante il cammino si appianano; e chi si diceva lun laltro durante la strada
"tu sei un empio" dimentica allora il litigio, poiché la meta è unica».
Rûmî prediligeva la musica e la danza. Traspare dallinsieme delle sue opere
poetiche, e volle anzi che si suonasse e si danzasse anche al suo funerale. Fu anche
lideatore di uno strumento a corde, il rebâb a sei angoli. Da principio il semà
chegli istituì era piuttosto informale, e si danzava in ogni luogo, qualsiasi ne
fosse lispirazione. Somigliava piuttosto ad uno di quei momenti estatici
caratteristici della trascendenza mistica dei sufi, detti âhwal (singolare hâl). Solo
negli ultimi anni della sua vita Rûmî diede al semà (turco; in arabo: samâc) una
struttura fissa, che dopo la morte di Rûmî stesso - dal figlio di questi, Sultân
Walad, venne infine organizzata nei modi attuati ancor oggi.
Daltro canto va considerato che Rûmî prediligeva anche i simboli della teoria
pitagorica relativa alla musica e alle sfere celesti, per cui, con il semà, egli
coniugava luna e le altre. Per questo motivo il semà è pervaso anche da un
simbolismo cosmico, facilmente identificabile; i movimenti degli atomi o il movimento del
sistema solare. Questa è lipotesi della più grande studiosa occidentale di Rûmî,
Eva de Vitray Meyerovic, ma non è condivisa dallattuale discendente diretto di
Rûmî, il professor Celaleddin B. Çelebi.
E veniamo finalmente alla cerimonia cui assisteremo questa
sera, il Samâc (in turco, Semà), detto anche "la danza dell'estasi.
Premetto alcune brevissime note introduttive sulla musica turca
classica. Le tipiche forme strumentali base sono tre: taksim, pesrev, saz-semaî.
Il taksim è una introduzione (ouverture): uno strumento che fa parte dellinsieme
(usualmente il ney) introduce i temi musicali e con una improvvisazione prepara
luditorio al contenuto espressivo del makam scelto. Il makam è il modo melodico, o
scala modale. Il taksim non ha regole fisse, se non quella di seguire strettamente il
makam. Generalmente è diviso in tre parti. Può anche essere collocato in un momento di
transizione. (bas taksim: dapertura; ara taksim: intermedio; ulama taksim: finale).
Al taksim segue il pesrev (preludio): forma tipicamente turca, per solito (dal 1830) in
quattro parti (hane), ciascuna seguita da un ritornello, o intermezzo (teslim o
mülâzine), che aggiunto allultimo hane forma il finale del pesrev.
Per ultimo viene il saz-semaî, simile al pesrev, ma nel ruolo di finale. In
entrambi possono venir adottati vari makam.
Nel suo insieme, tutto il semà rituale ha plurime valenze.
Anzitutto: i Mevlevi danzano a Konya un Semà rituale completo la seconda settimana di
dicembre per celebrare la morte di Jalâl âlDîn Rûmî. Altamente emblematica, altamente
spirituale, questa danza è lespressione stessa della realtà divina e della realtà
fenomenica, in un mondo in cui tutto, per sussistere, deve ruotare come gli atomi, come i
pianeti, come il pensiero. Il Semà simbolizza lascesa spirituale - viaggio mistico
dallessere a Dio - in cui lessere si dissolve ritornando poi sulla terra
(«prima di compiere il viaggio credevo che le montagne fossero montagne e i mari fossero
mari; durante il viaggio scoprii che le montagne non sono montagne e i mari non sono mari;
ed ora che sono giunto so che le montagne sono montagne, e i mari sono mari» disse il
grande maestro sufi del IX secolo Dhu âl Nûn âlMisrî).
Partecipano al rito da un lato un gruppo di musici e cantanti (mëtrëp), dallaltro
il Maestro (shaykh della Mevlevihane, in funzione di qutub, polo), il capo dei
danzatori (semazen basë) e i danzatori, che nel rito completo del 17 dicembre a Konya
sono diciotto.
La cerimonia è divisa in varie fasi. Il rito inizia con un nait (o naat, Naat âlSherìf,
inno di lode al Profeta), o con la recitazione del wird che comprende i dieci passi più
importanti del Corano (Âshr âlSherîf). Questa eulogia è in pari tempo una lode a
tutti i Profeti e a Dio che li ha creati. Segue una introduzione (taksim) con
improvvisazione di flauto (ney). Un suono di tamburi - seconda fase - simbolizza la
creazione del mondo (Corano, 36ª81-82); e poi - terza fase - la dolce melodia di un ney,
col suo suono sensibile e delicato rappresenta il soffio divino da cui tutte le creature
traggono vita.
Terminato questo concerto, comincia il semà vero e proprio con un inno mevlevi. Mentre il
coro accompagnato dall'orchestra inizia a cantarlo, entrano in fila il Maestro, il capo
dei danzatori, e i danzatori, coperti da un mantello nero, simbolo dellignoranza e
della materia, sotto il quale indossano un abito bianco che rappresenta, come lenzuolo
mortuario, la luce e il distacco dallEgo. Il Maestro ha un caratteristico copricapo
nero avvolto dal turbante nero, simbolo del suo grado, e prende posto su una pelle di
montone tinta di rosso; i dervisci hanno un alto cappello di feltro marrone, che
simboleggia la loro pietra tombale. A passi lenti, i dervisci percorrono in senso
antiorario (così come si svolge la circumambulazione della Ka`ba) tutto il perimetro per
tre volte. E' il devr-i Veledî: il circolo del Sultano Veled, e rappresenta il cîlm
âlYaqîn, cayn âlYakîn e haqq âlYaqîn («conoscendo la Certezza, vedendo la Certezza,
sapendo la Certezza»). Poi si fermano su un lato lungo e ha luogo, con un
lieve inchino, lo scambio reciproco di saluti. Ciò simboleggia il saluto che tutte le
anime nascoste nelle forme e nei corpi si scambiano in segno di mutua fratellanza. Se a
questo momento i danzatori si siedono, prima di rialzarsi battono allunisono le
palme delle mani sul pavimento. Alla fine i danzatori depongono il mantello nero e, in
piedi (simbolo dellalef, prima lettera dellalfabeto arabo) rimangono un attimo
con le braccia incrociate e le mani sulle spalle (nellatteggiamento che aveva
l'angelo Gabriele quando si rivolgeva al Profeta Muhammad prima di ogni discesa del
Corano, e simbolo dellUnità divina).
Ha inizio allora la fase più suggestiva, divisa in quattro parti, dette
"saluti" (salâm). A uno a uno i danzatori si dirigono verso il maestro, gli
baciano la mano, vengono da lui baciati sul bordo del copricapo di feltro, cominciano a
roteare su se stessi e - dopo aver allargato le braccia sempre roteando su se
stessi iniziano a girare attorno alla sala (devri veledi), la mano destra volta al cielo
per ricevere i doni di Dio, la mano sinistra volta alla terra per dispensare a tutti i
doni ricevuti da Dio. Così girano tutti da destra a sinistra, in unampia vorticosa
immagine dellEssere, mentre il capo dei danzatori passa lentamente fra loro.
Questa cerimonia è ripetuta integralmente quattro volte, ossia per quattro
saluti, interrotti ciascuno da un arresto della musica. Sul finire
dellultimo saluto, il Maestro, "polo celeste" (qutb), compie a
piccoli e lenti passi un breve percorso davanti a sé, girando su se stesso e tenendo
tirato con la mano destra il bavero del mantello.
Il primo "saluto" simboleggia la nascita dellessere umano alla verità,
cui giunge grazie al ragionamento in una formale presa di coscienza che lo rende
consapevole dellesistenza di Dio. Il secondo saluto simbolizza il raggiungimento
d'una consapevolezza superiore, in cui lessere umano sente la Potenza di Dio
attraverso lo splendore della Sua creazione. Nel terzo saluto lessere umano giunge a
Dio eliminandosi in Lui (fanâ), ed è lestasi ed il superamento d'ogni
transitorietà fenomenica. Il quarto "saluto" simboleggia il ritorno sulla terra
dallo stato di estasi, e laccettazione della materia dopo lebbrezza della luce
divina. Il viaggio mistico è così finito e il sufi, «morto prima di morire»,
illustrando i versetti 27-30 della 89ª sura del Corano, ha testimoniato materia e
spirito, essenza reale e transitorietà fenomenica.
La fase finale (Segan taksimler ve ilâhiler) è agita dai musici e dai cantori che
recitano versetti del Corano, in particolare 2ª115. E composta da son pesrev,
yürük-semaî, asir, dalla Fatiha e da unultima preghiera (Mevlevi Gülbank)
cantata per tutti i profeti e per tutte le anime dei credenti, e che si conclude con le
parole dello Shaykh: «Hu diyelim (Noi Lo vediamo).» Infine tutti esclamano Hu (Egli; e
cioè Dio, in assoluto), chiudendo il rito con questa affermazione che trascende il
vocabolo Dio quasi a significare il superamento dogni descrizione
possibile della divinità da parte dellessere umano.
Il sufi, a qualsiasi Confraternita appartenga, compie un cammino evolutivo declinato in
sette tappe; ognuna rappresentata da un profeta. Per lelaborazione dogni tappa
abbiamo sette simboli, la cui penetrazione aiuta il cammino. Essi sono: suono, luce,
numero, lettera, parola, simbolo, ritmo e armonia. Nel semà, in cui si uniscono musica,
canto, poesia, pensiero, movimento, luce e colore, troviamo così espressi e presenti
tutti e sette questi simboli, in una completezza che trasupera il solo pensiero-azione
della preghiera musulmana, e rende così altamente suggestivo e globale questo particolare
dhikr dei sufi mevlevi.
Concluderò con quanto Rùmì stesso scrisse del Semà, nel suo Dìvàn-e Shams-e
Tabrizî:
Il semà è la pace per l'anima dei vivi,
e chi conosce ciò raggiunge la pace dell'anima.
Colui che desidera il proprio risveglio,
è quello che già dorme in un giardino.
Ma per chi dorme dentro a una prigione
il risveglio è soltanto un dispiacere.
Assisti al semà là dove si celebra un matrimonio,
non quando c'è un funerale, o in un luogo di dolore.
Chi non conosce la propria essenza,
colui ai cui occhi è nascosta questa bellezza lunare,
che se ne fa della danza e del tamburo?
Il semà è fatto per l'unione con l'Amato;
e per quelli che hanno il viso rivolto alla qibla
ecco, il semà rappresenta questo mondo e quellaltro.
E più ancora: il cerchio dei danzatori di semà
che dolcemente volteggiano ha nel suo centro la Ka`ba.
Se desideri la miniera della dolcezza, ecco, essa è là,
e se ti accontenti duna briciola di zucchero, ecco: questo dono è
gratuito.
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