Intervista a Gabriele Mandel

 

1-      Professor Mandel, cosa significa per lei, oggi, essere un maestro sufi? Quali problemi le si possono presentare in una società non-musulmana come la nostra?

Che significa e che problemi? Esattamente ciò che ha sempre significato lungo i secoli, mentre i problemi sussistono solo per colui che se li crea. E allora: che significava un tempo essere un maestro sufi? Ecco che cosa rispose  a questa domanda il Maestro Muhammad Sâlih Kanbû nel XVII° secolo: «Quando lo incontrerai, agirà su di te, che tu lo sappia o no. Quello che dice o fa può sembrarti incoerente o incomprensibile; ma ha un suo significato e un suo compito. La sua intuizione è quella di colui che conosce la strada che sta percorrendo; e che percorre la strada giusta. Potrà frustrarti, ma perché ciò è necessario. Potrà sembrare che restituisca male per bene, o bene per male; ma egli sa quel che è veramente necessario e ciò che è veramente bene e male. Può darsi che tu senta parlar male di lui da quelli che lo combattono o lo temono, ma fanno ciò solo perché hanno paura di se stessi. Può sembrarti inadeguato, ma egli sa scoprire quanto c'è da scoprire, e consente anche a te di scoprirlo, lentamente, pur se tu non te ne accorgi. Quando lo incontrerai per la prima volta ti sembrerà molto diverso da te: non lo è. Potrà poi sembrarti molto simile a te: non lo è.» Le rispondo anche io con queste parole.

 

2-      La Tariqa Jerrahi-Halveti è un tradizionale ordine sufi di origine turca; Quali sono i rapporti fra la sua confraternita e la Casa madre di Istanbul?

R. – Rapporti diretti. Anzitutto: non si può essere sufi se non si è musulmani; non si può essere sufi se non si è iniziati in una Confraternita (Tarîqa) regolare e tradizionale. Sono stato iniziato naqshibendi mujaddidin nel 1938 a Kabul dallo zio di mio padre, Yusuf Kashgarî, che era capo della Naqshibendiyya Mujaddidita per Afghànistan e Iràn. 24 anni or sono, iniziato da Muzafer Ozak, passai alla Jerrahiyya-Khalwatiyya (turco: Jerrahi-Halveti). Ogni iniziazione è registrata nella Taryqa così come ogni battesimo è registrato nella Chiesa in cui esso ha luogo. I registri sopravvivono per secoli.

Inoltre: ogni grado in seno alla Confraternita dipende dal capo della medesima. Anche la mia nomina a khalyfa per l’Italia ha avuto luogo a Istanbul, e solo per mano del capo assoluto, lo shaykh âlShuyukh dell’Ordine.

Nella nostra Confraternita, sezione italiana, solo io ho la possibilità di iniziare, in Italia; ma di preferenza quanti possono permettersi il viaggio a Istanbul che compiamo regolarmente ogni anno preferiscono che vengano iniziati dallo shaykh âlShuyukh dell’Ordine, a Istànbul.

 

3-      Negli ultimi anni, numerose comunità islamiche italiane hanno cercato di dialogare con lo Stato italiano avanzando svariate bozze d'intesa; Qual'è la sua posizione in merito e come si colloca la confraternita dei sufi Jerrahi?

Le sole Comunità islamiche in grado di dialogare sono (a mio parere) o la formazione diretta dall’ambasciatore Mario Scialoja, responsabile della Moschea di Roma e presidente della Sezione italiana dell’Internazionale musulmana, o l’UCOII.

La prima, appoggiata dal ministro Pisanu, ha già espresso un suo proclama, pubblicato dal “Corriere della Sera”, e i relativi firmatari sono le persone che potrebbero far parte della Consulta islamica. Vi troverà al terzo posto il mio nome. Oltre a queste due formazioni, non vi sono in modo assoluto altri organismi islamici all’altezza di questo compito.

La mia presenza nella prima di queste due formazioni è dovuta (ritengo) appunto al mio grado di khalyfa per l’Italia della Confraternita sufi Jerrahi-Halveti, che è tradizionalmente autentica, e la più regolare, la più organizzata, la più numerosa in Italia.

 

4-      Come sono i rapporti fra la confraternita sufi Jerrahi-Halveti e le altre comunità islamiche presenti in Italia?

Con le Comunità regolari, autentiche, sono rapporti regolari e di fratellanza autentica.

 

5-      Esiste, in Italia, un dualismo fra musulmani "progressisti" e musulmani "conservatori" e all'interno di quale dei due gruppi si situa la confraternita da lei diretta? Come si pone la confraternita al riguardo di questioni dibattute recentemente come il velo femminile, i simboli religiosi in ambienti pubblici ecc. ecc.?

Questo tipo di “dualismo”, come lo chiama lei, sussiste in ogni religione, in ogni comunità (sia religiosa che laica). Dividerei piuttosto l’umanità tutta - a prescindere da religione o coloritura politica - in “persone di buona volontà” e “persone di pessima condotta”. Tutti gli esseri umani di buona volontà si ritrovano fratelli nel bene e nel buon comportamento etico a prescindere dalle loro religioni o coloriture politiche. È chiaro che siamo con gli esseri umani di buona volontà, e rifuggiamo dagli altri.

 

6-      Da sempre il sufismo  ha incarnato la tensione mistica, spirituale dell'Islam; oggi, in Italia, quali sono i rapporti fra l'Islam "spirituale" e l'Islam "pragmatico"? Cosa ne pensa lei dell'Islam cosiddetto "politico" di cui il massimo ideologo fu Sayyid Qutb?

Valgono le risposte ai quesiti numero 4 e numero 5. Rimane il fatto che il sufi ha come motto: «Nel mondo ma non del mondo, nulla possedendo e da nulla essendo posseduti.» Ci occupiamo di una evoluzione spirituale (quella di noi stressi singolarmente), e quindi abbiamo ben poco tempo per occuparci d’altro. Rammenti che per il Sufismo vale la definizione che ne diede il mio compianto Maestro Si Hamza Boubakeur (al quale ho dedicato la mia versione con apparati del Santo Corano – Edizione DeAgostini ed Edizione UTET -), già rettore della Moschea di Parigi, dell’Università islamica di Parigi, e discendente diretto del primo califfo Abu Bakr: «Il Sufismo in se stesso non è né una Scuola teologico-giuridica, né uno scisma, né una setta, anche se si pone di sopra da ogni obbedienza. E' innanzi tutto un metodo islamico di perfezionamento interiore, d'equilibrio, una fonte di fervore profondamente vissuto e gradualmente ascendente. Lungi dall'essere una innovazione o una via divergente parallela alle pratiche canoniche, è anzitutto una marcia risoluta d'una categoria di anime privilegiate, prese, assetate di Dio mosse dalla scossa della Sua grazia per vivere solo per Lui e grazie a Lui nel quadro della Sua legge meditata, interiorizzata, sperimentata».

Sempre secondo Si Hamza Boubakeur, «le componenti della dottrina sufi sono l'amore totale per DIO; la gnosi che superando la conoscenza intellettuale imperfetta e incompleta unisce direttamente il sufi al divino, da cui la certezza della Sua esistenza e dell'impossibilità di capirLo con le sole forze umane; il raggiungimento della conoscenza intuitiva; l'ascesa mistica attraverso una serie di stati e di stazioni, integrati dalla rammemorazione (dhikr) e dall'estasi.»

 

7-      Anche se ufficialmente in Italia non esiste una religione di stato, praticamente, la Chiesa Cattolica ha da sempre il "monopolio" della spiritualità; Quali sono i rapporti fra la vostra confraternita e la Chiesa Cattolica appunto?

Ho superato già gli ottant’anni, quindi ho una esperienza di vita abbastanza lunga. Ho passato la gioventù soprattutto a Parigi, e dal 1954 eccomi in Italia, dove per altro venivo anche prima a passare qualche vacanza estiva. Non ho mai riscontrato che la Chiesa avesse il monopolio della religione e delle anime. Incontrai sempre in Italia, anche prima della Seconda Guerra Mondiale, componenti di altre religioni che seguivano la precipua via mistica (hindù, buddhisti, ebrei, qualche musulmano). Per cui dissento dalla sua affermazione. Nello specifico comunque: il cardinale Carlo Maria Martini anni or sono scrisse la presentazione in catalogo per una mia mostra a Milano sul Misticismo islamico nelle mie opere di pittura, incisione e ceramica. La mostra ebbe luogo in un centro cattolico: il San Fedele. Sono stato trent’anni or sono per parecchio tempo il responsabile nella Redazione (per la parte islamica) di “Jesus” (Famiglia Cristiana) diretto da don Antonio Tarzia; partecipiamo a tutte le manifestazioni del CADR, e anche al relativo “Religions for Pace”; da trent’ani ho tenuto conferenze sul Sufismo e sull’Islam anche in Chiese e altri luoghi religiosi cattolici, ed anche all’Università Pontificia di Roma. Di recente, alla nota manifestazione “Curia Romana/Sant’Egidio”, il cardinale Tettamanti stesso mi ha donato una sua targa a fine del pranzo cui ero invitato con il nostro imam e il nostro gran muftì. I rapporti tra la nostra Confraternita e la Chiesa Cattolica, come vede, sono dei migliori.

 

8-      Dopo i fatti dell'11 settembre, i media e gli intellettuali hanno speso molte parole in merito all'Islam; a prescindere dalle posizioni di ognuno, come considera questa mondializzazione della religione islamica?

Grave errore considerare che quanto accade oggi non sia mai accaduto. Lo storico francese Paul Roux scrisse che nel corso dei secoli, dal Quattrocento a oggi, sono stati pubblicati più libri sull’islamismo della Turchia che sulla storia degli Stati Uniti d’America; ed è vero.

 

9-       L'antropologo Arjun Appadurai, nel suo "Modernità in polvere" (Meltemi, Roma, 2001), sostiene che fra gli effetti della globalizzazione ci sarebbe quello di fornire ai singoli individui una quantità infinta di " mondi immaginati"; Cosa ne pensa in relazione al crescente interesse del " mondo occidentale" verso quelle forme di spiritualità che, come il sufismo, si stanno affermando sempre di più nella nostra società?

A prescindere dal fatto che non è affatto così: ma non avete mai sentito parlare di “Monte Verità” in Svizzera? Chi non ne sa niente farebbe bene a informarsi, per avere una visione chiara di ciò che è contenuto in questa domanda. Giovane, conobbi di persona Aurobindo, Yogananda, Ramakishna... Ci siamo dimenticati di loro?

Antropologia? La mia prima figlia ha fondato all’Università di Milano l’Istituto di Paletnologia (ci insegna anche mio figlio archeologo). Essi hanno una visione “antropologica” ben differente e a prescindere dal fatto che io amo molto e ammiro moltissimo i miei figli, preferisco comunque la loro visione “universitaria”. Che sia perché ho passato tutta la vita come docente universitario? Sarà una deformazione professionale.

Comunque, in relazione al “crescente interesse”, due risposte. Una è la nostra: gli esseri umani hanno bisogno di spiritualità, perché la spiritualità è la massima luce che può illuminare l’anima. L’altra ce la fornisce l’amico Sayyed Husei Nasr con le sue parole: «In tema di pace va poi detto qualcosa a proposito della “pace interiore”, che oggi gli esseri umani cercano disperatamente tanto da aver favorito l’insediamento in Occidente di pseudo-yoghi e di falsi guaritori spirituali. In realtà si avverte per istinto l’importanza dell’ascesa mistica ed etica, ma ben pochi accettano di sottoporsi alla disciplina di una tradizione autentica, la sola che possa produrre effetti positivi». 

 

10-  Qual'è il ruolo delle donne nel sufismo in generale, e nella confraternita Jerrahi-Halveti in particolare?

Senza Khadija non ci sarebbe stato Îslâm. La Maestra di uno dei massimi Maestri sufi dell’antichità, Dhu âlNûn Misrî (771-861), era la turca Fatima di Nishapur. Una delle più grandi donne sufi fu Rabi’a (VIII° secolo). Nelle nostre Confraternite sussistono sufi uomini e sufi donne. La nostra Tekké della Sicilia è diretta da una donna, ‘Aishé (la mia terza figlia). Tutta la nostra Confraternita nel Cile è diretta da una donna. E così via. Per noi l’uomo è la mente, la donna è il cuore: quale organismo umano sopravvive senza l’uno o senza l’altro? Il Corano ci insegna il massimo rispetto per la donna, e così i Detti del Profeta Muhammad. Chi non rispetta la donna è musulmano in superficie: scorza brillante ma polpa marcia.

 

11-  Fra gli iniziati alla confraternita figurano molti italiani convertiti; rileva qualche specificità nell'affiliato italiano rispetto all'affiliato di famiglia islamica?

Abbiamo una specificità generale e uniforme: uno dei nostri dieci obblighi è “studiare” (un altro è: “viaggiare”). Per cui molti tra i nostri 1.086 sufi Jerrahi-Halveti in Italia sono laureati, musicisti, scrittori, pittori, medici, docenti universitari. Giusto il detto del Profeta: «Seguite la via di una scienza, doveste per questo andare sino in Cina», e: «A colui che segue la via di una scienza, Dio apre più grandi le porte del Paradiso.» Per il resto siamo tutti fratelli e sorelle, e formiamo una grande famiglia in cui tutti si aiutano e si vogliono bene. Abbiamo avuto anche noi quattro rami secchi: li abbiamo potati. Succede in tutte le famiglie.

 

12-  Crede che il cosiddetto "fenomeno del convertitismo" possa apportare nuove energie al dialogo interreligioso, di cui il sufismo si è da sempre fatto portavoce?

Non siamo di questa opinione: la “conversione” è spesso dovuta all’ignoranza dei valori della propria religione e alla mancanza di insegnamenti adeguati di livello spirituale. Poi: il 40 per cento dei sufi crede nella reincarnazione, e per questi la conversione riporta nella Via chi la seguiva già in una vita precedente. Poi: come detto prima “Seguite la via di una scienza, doveste per questo andare sino in Cina”. Qualcuno deve andare in Cina per trovare quello che “lui” cerca. Non è una ricerca generalizzata, ma altamente specifica. Il dialogo interreligioso invece ha luogo fra persone che si sono istruite nella propria e nell’altrui religione. Ogni dialogo presuppone la conoscenza. Solo l’ignoranza non permette il dialogo; e d’altronde il “male” (e la malattia, e la sofferenza) è solamente “ignoranza.

 

13-  E veniamo ora ad un aspetto a lei molto caro: l'arte. Quale posizione occupa l'espressione artistica nell'Islam in generale e nel sufismo in particolare? La sua attenzione all'arte deve intendersi come sua personale o come un'attitudine della sua confraternita, sorretta da una precisa dottrina?

Una attitudine di tutto il Sufismo. Noi sufi predilegiamo un Detto del Profeta: «Certo, Dio è bello e ama la bellezza.» Per questo coltiviamo le arti, e in particolare la musica, che di tutte le arti è la più prossima alla spiritualità. Qualsiasi grande poeta, grande miniaturista, grande calligrafo, grande architetto sufi lei citi lungo il corso dei secoli, sicuramente lei cita un sufi.

Ecco che ne disse Sayyed Husein Nasr: «Già in questa vita i sufi vivono come in un pronao del Paradiso, e quindi respirano un clima di splendore spirituale la cui bellezza è riflessa in tutto ciò che dicono o fanno. Per l'Islâm stesso la Divinità è bellezza, e per il Sufismo, che costituisce il midollo dell'Îslâm e ne contiene tutta l'essenza, questa peculiarità appare particolarmente accentuata. Non è fortuito che i testi di più elevata qualità e bellezza siano quelli scritti dai sufi. Nel campo della letteratura islamica tutto ciò che vi è di più universale appartiene al Sufismo. Lo spirito del Sufismo innalzò le letterature araba e persiana da lirica locale o tuttalpiù epica ai vertici sublimi della letteratura didattica e mistica di portata universale, arricchendo più d'ogni altro l'arabo e il turco nella loro prosa e il persiano nella sua poesia. Inoltre molte lingue del mondo islamico strettamente locali raggiunsero l'apogeo in mano ai sufi, e debbono il loro sviluppo e la loro persistenza al genio di poeti sufi.  La stessa situazione è analogamente riscontrabile nel campo della musica, dell'architettura, della calligrafia, della miniatura. Molti dei principali architetti musulmani sono collegati al Sufismo tramite la simbologia e la Sezione aurea; molti maestri calligrafi e molti miniatori lo furono appartenendo a una Confraternita sufica. Per ciò che riguarda la musica, nell'Îslâm essa è legittimata e permessa solo sotto forma di concerto spirituale (samâ`) precipuo del Sufismo, sicché la tradizione della musica classica araba, iraniana e turca è stata coltivata attraverso i secoli soprattutto dai sufi. Certi sviluppi della grande musica indiana sono direttamente connessi alla pratica del Sufismo. Insomma: i sufi sono "la gente del sapere sapienziale" e "della visione" (dhawq). Non a caso questo termine indica, in arabo e in persiano, anche buon gusto e senso artistico. I sufi sono stati cultori delle Arti non perché ciò costituisce uno scopo del sentiero sufi, ma perché seguire il Sufismo significa diventare più consapevoli della bellezza divina che si manifesta dovunque, e alla luce della quale i sufi, conformemente alla bellezza della propria natura e secondo le norme artistiche della tradizione, creano capolavori che riflettono la bellezza dell'Artefice Supremo».

 

14-  Concludendo, una domanda d'obbligo riguarda il suo personale cammino lungo la Tariqa; quali sono state le tappe fondamentali e quali gli incontri che l'hanno segnata più profondamente nella sua vita di sufi?

Mio padre, Yusuf Roberto Mandel, era un sufi. Pubblicò il primo poema sufico in Italia (1938): Il Cantico dei cieli. Era docente universitario di Fisica (Padova e Parigi), oratore all’Università della Radio Nazionale Francese; è sepolto nel Famedio (il Cimitero degli uomini illustri) di Napoli e il suo monumento è fra quello a Benedetto Croce e quello a Vincenzo Gemito. Come scrittore pubblicò 124 libri in varie lingue.

Poi lo zio di mio padre, in Afghànistàn, capo per l’Afghànistàn e per l’Iràn dei Sufi Naqshibendy Mugiaddidit. Poi Muzaffer Ozaq a Istànbul, capo dei Jerrahi. Anche Si Hamza Boubakeur, che mi formò al punto che in Turchia ebbi una Laurea Honoris Causa in Scienze islamiche dalla più importante Università statale, quella di Konya. Poi l’incontro con i grandi Maestri sufi dell’antichità, in particolare Jalâl âlDîn Rûmî (1207-1273) di cui ho appena terminato di tradurre dal pharsì (o persiano) il vasto poema Mathnawî, il più importante poema mistico al mondo. Ma soprattutto due incontri con il Khidr (in turco Kizr: il profeta Elia), la settimana prima di entrare nella Jerrahiyya e la settimana prima di essere nominato Vicario generale per l’Italia. Il primo incontro ai confini tra Turchia e Siria, in compagnia della mia famiglia; ed il secondo a Konya, in compagnia di alcuni miei sufi.

Ma fu importante anche trovare nel cimitero di Üsküdar (Istanbul), quarant’anni or sono, le tre tombe dei miei antenati che, venuti dall’Afghanistàn, dal 1700 al 1730 ivi erano sufi. Alla loro scoperta mi ci condusse un cane che aveva le sembianze di mio padre appena morto.  Come vede ognuno ha la propria forma di follia e se la gestisce come meglio crede. Appunto per questo sono un  reputato medico-psicoanalista: proprio per capire bene ciò che è reale, ciò che è Realtà, e ciò che è illusione. E in definitiva tutto è illusione, tranne Dio. Per questo ho scelto come amico Dio.

2004

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