La Futuwwa, o “Cavalleria islamica”.

Relazione del prof dott Gabriele Mandel Khân, Vicario generale

per l’Italia della Confraternita sufi Jerrahi-Halveti, al Congresso

sulla Milizia  sacra e Terzo millennio, organizzata a Imperia

dall’Accademia dei Filaleti

il 25 aprile 2005.

 

(Nel Nome di Dio, Misericordioso, Misericorde)

Un bicchiere d’acqua di mare. Chi non conosce il mare, se beve un sorso da quel bicchiere ne conosce il sapore. Ma non conosce il mare: infatti sul mare facciamo navigare le navi, ma sull’acqua di mare contenuta in un bicchiere nemmeno una barchetta a remi. E questa è la mia situazione oggi: vi darò un sorso di quell’oceano che è la Cavalleria nell’Îslâm, ma non vi potrò porre davanti a quell’oceano.

Il Corano, libro sacro dell’Îslâm, insegna a ogni musulmano quattro valori fondamentali: rispetto per la persona, rispetto per le religioni, senso e valore della pace, comportamento corretto. Naturalmente non tutti i musulmani seguono il verbo del Corano. Già Dante scrisse: “Le Leggi son, ma chi pon mano ad elle?”. Rimane il fatto che il Corano afferma:

(2ª177) La religiosità non consiste nel volgere il vostro volto verso oriente o verso occidente. La religiosità consiste [...] nel dare per amor Suo dei propri beni ai parenti, agli orfani, agli indigenti, ai viaggiatori, ai mendicanti, e per la liberazione degli schiavi; nell'osservare la preghiera, nel versare l'elemosina. Sono veri credenti quelli che rimangono fedeli agli impegni assunti, che sono perseveranti nelle avversità, nel dolore e nel momento del pericolo. Ecco le genti sincere.  E ancora (25ª63-76): Ecco come sono i servi del Misericordioso: camminano sulla terra con umiltà; quando gli ignari si rivolgono loro, dicono loro: «Pace» [...]. Quando dispensano, non sono né prodighi né avari, poiché il giusto sta nel mezzo; e non invocano altra divinità accanto a Dio; e non uccidono anima alcuna se non secondo diritto, perché Dio l'ha proibito; e non compiono atti osceni; chiunque lo fa incorre nel peccato, avrà un castigo doppio il giorno della resurrezione, e rimarrà oppresso dall'ignominia, a meno che non si penta, creda e compia opera buona; perché a quelli Dio muterà il male in bene - perché Dio è perdonatore, compassionevole. E non testimoniano falsamente, e passano nobilmente attraverso la vanità; e quando i versetti di Dio sono recitati non rimangono sordi e ciechi. E dicono: Signore, da' a noi, alle nostre mogli, ai nostri discendenti, la serenità; e fa' di noi un esempio ai fedeli».

Inoltre il Profeta stesso (ss) affermò: «L’eccellenza consiste nel fatto che tu perdoni a colui che è stato ingiusto nei tuoi riguardi; nel donare a colui che rifiuta il tuo dono; che tu faccia visita a colui che si è allontanato da te; che tu ti allontani da colui che non ti capisce; e che tu pratichi il bene nei riguardi di colui che a te ha fato del male.» Gli Âhâdîth del Profeta sono riportati nella raccolta del turco Bukharî, la migliore di tutte. In questa, al capitolo 78, ben 128 âhâdîth, indicano il giusto comportamento etico del musulmano.

Su questa base si andarono definendo nel mondo islamico associazioni di genti che, nei rispettivi gradi di attività e di religiosità, intesero anzitutto adeguarsi a questi comportamenti etici: le Corporazioni artigianali, le istituzioni di guardia alla frontiera, detti  Murâbitûn; le Confraternite della Futuwwa;  e infine le Confraternite dei Sufi, secondo una varietà di pratiche e di valori che avevano una conseguenza comune: l’etica cavalleresca.

I Murâbitûn, che per libera scelta si raggruppavano in un castelluccio ( che per libera scelta si raggruppavano in un castelluccio (ribât) posto lungo i confini del territorio islamico, erano “cavalieri in armi”; pertanto non rientrano in modo specifico nel novero della Cavalleria quale comportamento etico nel contesto urbano, e non attengono quindi al tema di questo Congresso.

Le Corporazioni artigianali si rifacevano ad un patrono comune, Noè, inteso come carpentiere avendo costruito l’Arca. Di conseguenza esse tenevano presente il comportamento di Noè, descritto nei relativi Versetti del Corano. I tipi di Corporazioni artigianali, o Mestieri, erano numerosi: sinf, kâr, hanta, hirfa. La loro storia è comunque strettamente legata alle vicende socio-economico-politiche del mondo islamico, e soprattutto ebbe vita lunga. Persino l’assetto urbano si conformò alle Corporazioni artigianali, evidenziate in quartieri distinti e ben organizzate. Durante il periodo ottomano le Corporazioni godettero di grande importanza, e ne è rimasta memoria nel Surnameh di Murad III (il Libro delle feste di Murad III°, conservato alla Biblioteca del Topkapi Sarayi Muzesi), in cui molte grandi miniature - illustrando le feste che per quaranta giorni ebbero luogo a Istanbul nel 1583 (ma la cui preparazione durò due anni) – mostrano le sfilate delle Corporazioni, ciascuna con suoi grandi emblemi di papier maché, legno e gesso sfarzosamente coloriti .

I Sufi. Dice Si Hamza Boubakeur (che fu rettore dell'Università islamica di Parigi, rettore della Moschea di Parigi, discendente diretto del primo "califfo" Âbû Bakr, nonché mio venerato maestro) «il Sufismo in se stesso non è né una Scuola teologico-giuridica, né uno scisma, né una setta, anche se si pone di sopra da ogni obbedienza. E' innanzi tutto un metodo islamico di perfezionamento interiore, d'equilibrio, una fonte di fervore profondamente vissuto e gradualmente ascendente. Lungi dall'essere una innovazione o una via divergente parallela alle pratiche canoniche, è anzitutto una marcia risoluta d'una categoria di anime privilegiate, prese, assetate di Dio mosse dalla scossa della Sua grazia per vivere solo per Lui e grazie a Lui nel quadro della Sua legge meditata, interiorizzata, sperimentata». (fine citazione)

I Sufi si dividono in Confraternite, a un dipresso come Le Confraternite dei frati e delle suore nel Cristianesimo, con la sola differenza che i sufi e le sufi si sposano e vivono nel mondo. «Nel mondo, ma non del mondo» come essi dicono. Le Confraternite dei Sufi si sono sgranate lungo il corso dei secoli, e in tutta la storia della cultura islamica, se si cita un grande scienziato, un grande poeta, un grande musicista, o architetto, o pittore, si cita sicuramente un maestro sufi.

Ma torniamo al Corano. Vi è narrata una vicenda emblematica. In 18ª9-13 Esso dice: Pensi che la gente della Caverna e di âlRaqîm siano stati un fatto straordinario fra i Nostri segni? Quando i giovani si furono rifugiati nella caverna, dissero: «Signore, dacci un segno della Tua misericordia, e concedici la correttezza in tutto ciò che ci riguarda.»   Allora gravammo le loro orecchie, nella caverna, per numerosi anni. Poi li abbiamo resuscitati per conoscere quale dei due gruppi avrebbe meglio calcolato la durata del tempo che avevano passato.  Ti racconteremo la storia in tutta verità. Erano dei giovani che credevano nel Signore, e Noi concedemmo loro la Guida.

E' la "leggenda dei sette dormienti" di ambiente cristiano bizantino. Ai tempi dell'imperatore pagano Decio (248-251), che nel 250 decretò la prima persecuzione generale contro i cristiani, sette giovani (Massimiliano, Giamblico, Marte, Cassio, Piramo, Didimo, Giano) con il loro cane Calòs, per fuggire alla persecuzioni si rifugiarono in una caverna sulle pendici del monte Pion, a Efeso (Turchia). Li colse un sonno e profondo, e si risvegliarono al tempo dell' imperatore Teodosio II° (408-450) o forse più avanti, ma per morire subito dopo. La grotta, non molto lontano dalla Casa in cui morì la Vergine Maria, divenne luogo di venerazione, con doppia chiesa e numerosi sepolcri, rimessi in luce da scavi fra il 1927 e il 1928. La Leggenda si presta a interpretazioni simbologiche, esoteriche e mistiche, ed in particolare quella che si riferisce alla resurrezione.

Sette giovani, quindi. In arabo: sabcat fityân.

Il termine fatâ (il giovane, plurale fityân) è alla base del termine Futuwwa.

Per gli adepti delle Futuwwa il modello iniziale fu il principe Hâtim âlTâ’î, poeta e nobile cavaliere vissuto nella seconda metà del VI° secolo, al quale poi fu in seguito preferito il genero del Profeta, cAlî. Altri invece dichiararono di volersi conformare ai comportamenti di quei “Compagni del Profeta” (forse 400), gli Âhl âlSuffa,che si riunivano attorno a Muhammad sotto il portico della moschea di Medina.  

I fitiyân erano in origine giovanotti di varie estrazioni sociali, che vivevano in piccole collettività in un clima di fratellanza e di mutua solidarietà (casabiyyât) in opposizione ai costumi corrotti del loro tempo. Qualcuna di queste aggregazioni si oppose anche in modo robusto alle autorità debosciate del loro paese, e i loro membri assunsero piuttosto il nome di  cAyyârûn.

Per puntualizzare la situazione – quanto mai variegata e di coloritura individualistica (come è precipuo delle cose dell’Îslâm, che lascia ampia libertà di scelta ad ogni individuo essendo il singolo individuo responsabile in assoluto delle sue azioni) - citerò qui una aggregazione ismailita di gente di cultura e di valore etico, da accostarsi alle Futuwwa, e che emerse nella metà del X° secolo, gli Îkhwân âlSafâ’, i Fratelli della Purezza. Essi pubblicarono una “Enciclopedia Universale” (Rasâ’il Îkhwân âlSafâ’ wa khillân âlWafâ’) in 52 volumetti, nella quale per la prima volta si legge il motto «Libertà, Eguaglianza, Fratellanza.» Essi infatti prediligevano la lealtà reciproca fra tutti gli esseri umani senza distinzione di religioni, e la devozione al Maestro. Un riecheggiamento di questi Fratelli della Purezza lo si può rintracciare a partire dal XVIII° secolo nella setta para-sufica degli Âhl âlHaqq in Iràn.

Le Confraternite della Futuwwa furono un fenomeno preminentemente urbano, e da qui una certa vicinanza, sino al XIII° secolo, con le Corporazioni. Il novizio, presentato da un padrino, veniva iniziato con la consegna dei pantaloni – segno distintivo –; era nominato figlio (o apprendista), vi erano poi i padri (o compagni) e gli anziani (o maestri). Con il califfo âlNâsir (1181-1223), entrato anch’egli in una Congregazione, la Futuwwa divenne elitaria, e vi furono affiliati molti principi e governanti. Oltre alla Confraternita di âlNâsir ne sussistettero allora altre cinque, le più importanti delle quali furono la Nabawiyya (tra le più antiche, tradizionale ed elitaria) e la Rahhâsiyya (meno aristocratica).  A partire da questo periodo l’organizzazione delle Futuwwa divenne sempre strutturata.

Tutte ebbero un Gran Maestro, assistito da un naqîb, vari sottogruppi (hizb), e molte buyût (caselle, famiglie), oltre a una giurisdizione interna, regole fisse, giuramenti d’onore e riti. Ci fu allora una certa convergenza nei riti, nelle istruzioni e nelle finalità con il Sufismo, dal quale in ogni modo la Futuwwa fu sempre del tutto ben distinta. Vi fu comunque, soprattutto in Turchia, una Futuwwa a carattere popolare, la âkhiliq, più legata questa al Corporativismo dei Mestieri, che probabilmente per questo motivo ebbe grande diffusione e considerevole importanza in tutto l’Impero Ottomano. In queste Confraternite o Corporazioni della Futuwwa l’apprendista (nâzil), votato ad una assoluta obbedienza al Maestro, sceglieva due fratelli per percorrere la strada (yol kardesleri), modalità questa molto vicina a quella dei Templari. Il citato termine turco, âkhiliq, è comunque da mettere in stretto rapporto con l’arabo âkhlâq (plurale di khuluq), che significa etica, buona disposizione innata. Va notato, en passant, che tutte le Corporazioni della Futuwwa oppure di Sufi di cui ho accennato prediligevano l’etica piuttosto che la morale, considerando che l’etica è universale ed eterna, valida per tutti gli esseri umani e per tutte le religioni, mentre la morale è spesso preconcettuata, condizionante, e varia nel tempo e a seconda delle società, e soprattutto non sempre tutela gli interessi di ogni individuo. Questi concetti misero in contrasto varie forme di pensiero islamico (ad esempio il Qadar dei Muctaziliti e il Kalâm dei filosofi; la stretta ortodossia degli ulema integralisti e la solare libertà di pensiero dei Sufi; gli assertori della predestinazione (qadr) e quelli del libero arbitrio (îkhtiyâr). In una parola: gli imbecilli ignoranti in opposizione ai saggi illuminati.

Chiave di volta, crinale della distinzione tra Futuwwa e Sufismo è una figura di grandezza eccezionale, uno dei primi grandi maestri sufi: Dhû âlNûn âlMisrî (771-861). Era allievo di una grande donna sufi, la turca Fatima di Nîshâpûr, che gli aveva insegnato: «Persisti nella sincerità e combatti l’anima carnale nelle tue azioni. Così avrai compiuto interamente l’opera alkemica.»

Egli fondò una Confraternita sufi, stabilendone il tempio a simiglianza della Mecca, con un altare al centro, sul quale era posto il Corano con sopra squadra e compasso, simboli del Grande Architetto. All’ingresso vi erano le due colonne Yakim o Boaz. Egli, come Maestro, sedeva su un   tronetto a Oriente, e lo coadiuvavano agli angoli opposti una  prima luce e una seconda luce. Chi ha orecchie da intendere intenda.

Resta da dire che una abbondante bibliografia sia iraqena, sia egiziana, sia soprattutto turca e iraniana ci ha fornito correttamente – lungo i secoli - la storia e le organizzazioni di queste Congregazioni della Futuwwa, e vi si leggono i princìpi e gli scopi, per solito non conosciuti o mal conosciuti da quei pochi che ne hanno parlato, in Italia, ai giorni nostri. Sono soprattutto i due testi turchi Fütüvvetnâme di Sayyd Mehmet cAlâ’, del XVI° secolo, e Fütüvvetnâme degli Akhîs di Sayyid Burghâzî (entrambi turchi); e l’iraniano Futuwwatnâmah-i sultânî di Kamaâl âlDîn Kâshifî (?-1505). In Occidente il testo migliore rimane quello del mio amico e collega Tosun Bayrak, Vicario generale (khalyfa) della Confraternita sufi Jerrahi-Halveti per Stati Uniti d’America.

Per concludere: il senso nobile di comportamento etico nell'ambito della ricerca mistica ha dato all'Islam il Sufismo; e il senso nobile nell'ambito dei valori sociali ha dato all'Islam la Futuwwa. Entrambi hanno privilegiato l'iniziazione, l'obbedienza al Maestro, l'istruzione profonda, il comportamento etico , la fratellanza, e soprattutto la dipendenza da Dio, grande Architetto dell'Universo. E così sia, nel nome di Dio, Misericordioso e Misericorde, vi saluto.

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