Eutanasia e suicidio assistito nel concetto dell'Îslâm e del Sufismo


Oggi non sono qui nella mia qualità di medico o di psicoterapeuta. Sono qui come sufi (i sufi sono i mistici dell’Îslâm, organizzati in Confraternite, o Ordini, a un dipresso come i frati e le suore nella religione cattolica); e sono qui per esporre la posizione della religione islamica sul tema di questo Convegno. Le culture infatti sono complessi polimorfi, in cui la religione è spesso elemento imprescindibile
Veniamo dunque al tema. Ritardare la morte? Anticipare la morte? Le sofferenze giustificano il suicidio o l’eutanasia?
La religione islamica (come le altre religioni monoteiste) risponde NO. Perché la religione ha un concetto della morte e della sofferenza che non è quello del materialista.
Atteso che la scienza non è una religione, in generale dobbiamo ammettere che nella scienza non v’è una cultura della morte. Se ne è perduto il senso escatologico. Inoltre, nel mondo attuale - non parlo del mondo scientifico, naturalmente -, al libero arbitrio (per noi sufi dono divino) si è sostituita l’arbitrarietà. Il desiderio dei beni materiali ha sovvertito l’etica che dovrebbe essere la scorta di ogni azione umana: essa chiede che ognuno agisca in perfetta armonia con la propria coscienza, purché abbia consapevolezza esatta di ciò che noi siamo. Il Sufismo dice: «Chi conosce se stesso conosce Dio, e chi conosce Dio conosce se stesso.»
Ciò non pone la scienza e i suoi progressi in antitesi con la religione e in particolare con la parte più autentica e libera della religione: il misticismo. Tuttavia un coltello può essere usato per tagliare il pane o invece per uccidere: la Scienza non può giustificare ogni impiego delle sue conoscenze: occorre il sale del discernimento.
D’altra parte proprio quando l’Europa era ancora avvolta nelle tenebre dell’alto medioevo l’Îslâm le portò Avicenna, âlBitruji, Razî, il concetto della sfericità della terra, i numeri, l’algebra, la botanica, la chimica, e altro ancora. Dice il Profeta Maometto: «Seguite la via di una scienza, doveste per questo andare fino in Cina.» E ancora: «A chi segue la via di una scienza Dio apre più grandi le porte del Paradiso.» E ancora: «Il sangue di coloro che hanno studiato è superiore al sangue dei martiri.» Quindi per l'Îslâm anche la Medicina (e ciò è dimostrato da tutta la sua storia) ha l'obbligo di continuare nella ricerca migliorando sempre più i suoi metodi.
Ma nel Corano leggiamo anche (3ª145): Ognuno muore, nel momento fissato, col permesso di Dio. E ancora (3ª156): E’ Dio che dà la vita e la morte (concetto sul quale il Corano insiste a lungo, 7ª158, et passim). Infine ogni buon musulmano recita il versetto 6ª162: Di': «Certo la mia preghiera, i miei atti di devozione, la mia vita e la mia morte sono di Dio, Signore dei mondi.
Per l'Islam infatti due sono i peccati che non trovano il perdono di Dio: l'idolatria  e il suicidio consapevolmente voluto (ossia non determinato da una devianza psichica che impedisca il corretto ragionamento e la piena consapevolezza).  L'idolatria può trovare remissione se il peccatore si pente e torna sinceramente pentito a Dio. Quanto al suicidio il Corano è rigoroso (ad esempio in 56ª60: La morte di ognuno di voi l’abbiamo predeterminata Noi, e Noi non dobbiamo essere anticipati); il suicidio non è remissibile, salvo che la morte non sia immediata e il suicida in tal caso abbia il tempo di pentirsi sinceramente. Dio sa!
Certo, sembra a volte che l'estrema sofferenza , sia essa fisica oppure psichica, possa giustificare almeno in parte il suicidio o l'eutanasia. Per la religione islamica il dolore fornisce la misura della nostra condizione umana, ma non serve di per sé a redimere la condizione umana. Il dolore fisico è utile per comunicarci lo stato di una malattia; il dolore psichico è utile per temprare lo spirito; affrontandoli consapevolmente potremmo migliorare la nostra visione della vita, soprattutto dal punto di vista etico-spirituale. Il Corano afferma (3ª185; 21ª35; 29ª57): Ogni anima sperimenterà la morte; siamo costretti a sperimentare anche il dolore, sia fisico sia psichico, così come siamo incentivati a sopportare il digiuno nel mese di Ramadhan. La medicina islamica ha insegnato lungo i secoli molti metodi per alleviare il dolore, sia fisico sia psichico: il Corano dice (6ª80; 2ª255): Dio detiene tutta la scienza. E della Sua scienza essi abbracciano solo ciò che Egli vuole. Il bene che ci viene dalla scienza ci è concesso dunque da Dio; siamo liberi sia di ricercarlo istruendoci, sia di applicarlo convenientemente: la scelta giusta sta a noi.
Entro i limiti di un giusto equilibrio, quindi. Gli eccessi dell’accanimento terapeutico, l’eutanasia, o il suicidio non son dovuti forse a paura, a presunzione e ad orgoglio? Disse il maestro sufi Jâmî (1414-1492): «E' più facile svellere una montagna con la punta di uno spillo che strappare l'orgoglio dal cuore del presuntuoso.» D’altronde anche il Corano dice, in 12ª76: Al di sopra di ogni uomo che possiede la scienza ce n’è uno più istruito di lui.
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L’evento malattia, con i concetti conseguenti di lesione, di dolore, e con la corrispondente paura di perdita della vita terrena, può essere uno squilibrio di per sé, ma non per quell’essere umano che realmente conosce se stesso, e che è giunto a conoscere se stesso attraverso la consapevolezza.
Conoscere compiutamente se stesso significa avere una visione non solo limitatamente accademica, non solo limitatamente materialistica. Si tratta di rispettare la “gerarchia della creazione”, la collocazione temporale, e saper leggere i segni della natura, principio base dei segni di Dio; ma soprattutto giungere a quella conquista possibile per la nostra condizione umana e per la nostra sete di perfezionamento: l’equilibrio. Infatti l’intero universo fenomenico, infinito essendo infinito il suo Creatore, sottostà alle leggi del ritmo e della simmetria; dunque la consapevolezza completa del sé, la padronanza dell’equilibrio con la conoscenza del ritmo e della simmetria ci potranno porre in quello stato ottimale di “salute”, transitorio, e riequilibrabile ad ogni istante del nostro viaggio dalla nascita alla morte.
Vediamo allora, per una maggior chiarezza sulle modalità di comprensione e di accettazione della morte alcuni passi di maestri sufi che inducono a escludere per ragioni ideali ed etiche l'eutanasia, il suicidio, l'accanimento terapeutico.
Sanâ`î nell’XI secolo affermava: «L'empietà e la fede corrono entrambe sul cammino di Dio. Ma la fede ci fa accettare il dolore e la morte, l'empietà fa di tutto per allontanarli.»
Il grande matematico, medico e poeta Omar Khayyam (1048-1131) scrisse una delle sue bellissime quartine:
La distanza che separa l'incredulità dalla fede è un soffio;
quella che separa il dubbio dalla certezza è del pari un soffio;
passiamo dunque serenamente questo prezioso spazio di un soffio
perché anche la nostra vita è separata dalla morte da un soffio.
Abû Hamid âlGhazalî (1058-1111), grande maestro sufi ed eminente filosofo islamico disse: «La malattia è una delle forme di esperienza tramite le quali gli uomini giungono alla consapevolezza di Dio. Dio stesso, infatti, ci dice: Tutte le malattie sono i Miei assistenti che Io dispenso ai Miei amici prescelti. Ed allora accettiamo la malattia perché forse è benedizione, e di certo insegnamento proficuo»
Muhammad Iqbal (1877-1938): «In verità, i processi religiosi e i processi scientifici, anche se applicano metodi differenti, sono identici nello scopo finale. Entrambi si propongono di raggiungere la realtà. In effetti la religione è ancor più desiderosa di raggiungere la realtà ultima di quanto non lo sia la scienza. Per entrambe la via verso l'obiettività pura passa per quel che si può definire "la purificazione dell'esperienza".
Sono comunque punti fermi il concetto che origina da un detto del Profeta Maometto per il quale «se una parte del corpo è colpita da una malattia, tutte le altre parti del corpo sono mobilitate a venire in sua difesa.» Per la medicina prettamente islamica, che tiene conto di una realtà olistica corpo-spirito, nei riguardi del paziente (e in particolare quindi del paziente terminale) sussiste il dovere di mantenimento dell'idratazione, della nutrizione, della cura e della limitazione del dolore; con esclusione formale degli interventi inutili, soprattutto se invasivi e dolorosi. Sono ammesse le cure palliative solo ove possibile. Per la legge islamica un essere umano dispone di sé esclusivamente se è libero, pubere, sano di corpo e di mente e di vita incensurabile. Solo il pieno possesso di questi requisiti conferisce una piena capacità giuridica. Ciò quindi limita molte possibilità di disposizioni autonome da parte del malato terminale; mentre sussiste per contro la beneficialità", ossia la responsabilità della famiglia di cui il malato terminale è membro. Ecco quindi ulteriori ragioni per cui nell'Îslâm vigono alcune restrizioni al cosiddetto paternalismo medico, al trapianto-espianto generalizzati, e in generale ad un atteggiamento protettivo che non sia giustificato da una adeguata e ben stabilita cultura scientifica e religiosa.
Naturalmente tutto ciò ha dato origine ad un'ampia casistica legale e medica. Le attuali Scuole di Giurisprudenza e Mediche del mondo islamico studiano e trattano collegialmente i vari temi specifici, ed emanano disposizioni globali con valore attuale ma nel pieno rispetto dei valori religiosi, etici, umani.   
 Rimane il fatto che saper morire e saper lasciar morire sono realtà che occorre imparare, altrimenti ne derivano due grandi disconferme: non si dice ai malati che cosa hanno, non si dice loro che cosa possono fare. In definitiva i Sufi misero a punto mille anni or sono un “protocollo della Morte” semplice e pratico, che ora vi espongo e che a me sembra esemplificare compiutamente l’argomento odierno.
In linea di massima, molti di coloro che stanno per morire passano attraverso vari stadi:
RIFIUTO - Perché io? (Non sono pronto! Non è giusto!).
RABBIA - Soprattutto in ospedale tutto sembra valido e utilizzabile per esprimere la rabbia.
Di conseguenza:
CONTRATTAZIONE -  «Sarò buono (se mi lasci andare a casa).»
DEPRESSIONE - «E’ immondo quello che sto vivendo (Ho vergogna della morte).» E' il momento in cui si cerca di assumere misure eroiche.
Il passo successivo è l'ACCETTAZIONE, ossia la concessione di "Permessi" (in particolare il permesso ai sopravviventi di vivere senza sensi di colpa; senza paura).
Va tenuto presente che chi sta morendo ha gli stessi bisogni dei momenti ordinari: senso di dignità, valore come individuo, rispetto di sé.
Ne consegue la necessità di: 1) Comunicazioni dirette; 2) Protezione attorno al corpo; 3) Senso di sicurezza; 4) Informazioni giuste e dirette (NON assicurazioni  false, bensì: tutte le assicurazioni su cose effettivamente possibili).
E' un processo adulto imparare a dare qualche tipo di speranza in modo attendibile al malato; è un processo adulto aiutare con intelligenza a morire il malato condannato. Non dirgli: «Sii forte!» Egli ha il diritto di essere umano, e quindi triste o spaventato e così via.
Occorre capire che cosa fare o dire prima che la persona muoia, per non sentirsi poi in colpa; e soprattutto: "Decidere come dirgli addio".
Concludo allora dal punto di partenza, dal testo che per l'Îslâm è parola di Dio, ed al quale tutto ciò che è musulmano si rifà. Concludo cioè con alcuni versetti del Corano, fra i molti che parlano della Morte:
Dio dà la vita e la morte (3ª156.)
Ogni anima sperimenterà la morte (3ª185; 21ª35 29ª57.)
Di': «Certo la mia preghiera, i miei atti di devozione, la mia vita e la mia morte sono di Dio, Signore dei mondi (6ª162.)
Egli da la vita, Egli da la morte (7ª158, et passim.)
Ma se avremo ben operato, dopo la morte Dio ci dirà: Entrate nel Paradiso. Vi sarete al riparo da ogni timore, e non sarete afflitti (7ª49), beninteso tenendo presente anche che - lo leggiamo nel Versetto coranico 2ª25-26 - il Paradiso lì descritto non è un luogo reale, bensì una parabola: il vero Paradiso consiste nel ritorno in Dio (Corano, 9ª72). Comunque il Corano dice, in 4ª40: Certo, Dio non lede, fosse solo per il peso di una nugella. Se vi è una buona azione, la moltiplica e accorda da parte Sua  una grande ricompensa.  
E in definitiva "solo Dio è Colui che sa". ÂlSalâm âleikum, wa ramatÂllâh wa barakatu.


prof dott Gabriel Mandel khân
 


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