Vita oltre la vita nella visione mistica dei
Sufi
VITA (hayât), termine citato nel Corano
(esplicitamente o implicitamente) 190 volte.
Anzitutto: per l'Îslâm Dio stesso è vita. Uno dei suoi ineffabili Nomi lo designa
appunto come "il Vivente" (Hayyu), ed è uno dei termini con cui viene
rammemorato dai Sufi nel loro rito particolare, il dhikr (Hayyu, Kayyum, Âllâh).
Pertanto Dio - e solo Dio - crea e dispensa la vita. Mi affido al Corano, base essenziale
e assoluta dell'Îslâm. In 2ª28 dice: Come non credere in Dio, che ha dato
vita a voi quando eravate morti? Poi Lui vi darà la morte; poi Lui vi darà
la vita; e poi a Lui sarete ricondotti. In 7ª158 Egli dà la vita, Egli dà la morte. In
9ª116: Certo, a Dio appartiene il regno dei cieli e della terra. Egli dà la vita, Egli
dà la morte.
Pertanto, seguendo il Corano, ogni musulmano deve affermare (6ª162): la mia vita e la mia
morte sono di Dio, Signore dei mondi. Ne segue una prima attestazione incontrovertibile:
per l'Îslâm (correttamente inteso come religione e non come pretesto per avvalorare
propri interessi materiali) il suicidio consapevolmente voluto è uno dei peccati più
gravi. Su questo punto il Corano è ben chiaro (ad esempio in 56°60), e ben chiari sono
gli Âhâdîth (i Detti del Profeta Maometto). Il suicidio, una volta compiuto, non è
più remissibile, e il suicida - se non ha avuto il tempo di pentirsene - va direttamente
all'inferno senza possibilità alcuna di perdono, qualsiasi siano le cause tragiche
dell'atto (ripeto: se consapevolmente voluto).
Per il Corano ogni vita umana è sacra. Esso dice (5ª32): abbiamo prescritto [...] che
chiunque ucciderà una persona non colpevole dassas-sinio o di una corruzione sulla
terra, è come se avesse ucciso tutta lumani-tà. E chiunque fa vivere qualcuno è
come se avesse fatto vivere tutta luman-ità. E in 6ª151: uccidete la vita solo
secondo il diritto [di legittima difesa], poiché Dio l'ha resa sacra. Ecco ciò che Egli
vi ha raccomandato di fare.
Questo dal punto di vista etico. Sul piano trascendente invece, per il Corano la vita
terrena è transitoria e futile. Dice in 3ª185: la vita presente è solo oggetto di
godimento ingannevole. E ancora; in 29ª64: La vita presente è solo lahw wa lacib, mentre
la dimora ultima è la vera vita (lahw wa lacib: sciocchezze, cose inconsistenti,
futilità); in 40ª39 dice: La vita presente è solo un appagamento. La vita futura è il
luogo della stabilità (dâr âlQarâr).
E per concludere questo aspetto sul senso della vita terrena, ecco ciò che dice il Corano
in 10ª24: Certo: l'esempio della vita presente è come l'esempio dell'acqua che Noi
facciamo scendere dal cielo; grazie ad essa i vegetali della terra si mescolano, ed esseri
umani e animali se ne nutrono. Quando la terra prende il suo ornamento e si abbellisce ed
i suoi abitanti pensano di avere su di essa potere, giunge il Nostro ordine di notte o di
giorno, e la rendiamo come mietuta, come se alla veglia non fosse stata rigogliosa. Così
Noi mostriamo i nostri Segni a coloro che riflettono.
Va tenuto comunque presente che il disprezzo per la vita terrena non è islamico: essa è
un dono di Dio, e ci permette di acquisire conoscenze e meriti per ottenere la vita
futura. Essa elargisce inoltre piaceri sicuri e legittimi - ad esempio anche il piacere
sessuale che traggono dal loro amore due coniugi (Corano, 2ª223 e 2ª187) -, ed anche
questi doni vengono da Dio. Ne parlò esaurientemente âlGhazâlî nella IIIª parte del
suo Îhyâ' culûm âlDîn.
Origine della vita sulla Terra
Dice il Corano, in 21ª30: I miscredenti non sanno che i cieli e la Terra formavano una
massa compatta? Poi Noi li abbiamo separati e tratto dall'acqua ogni cosa vivente.
In 24ª45: Dio ha creato dall'acqua ogni animale. Vi è di essi chi cammina sul ventre,
altri che camminano su due zampe e altri che camminano su quattro. Dio crea ciò che Egli
vuole. Certo Dio su tutto è Potente [`alâ kulli shaîin Qadîrun].
In 25ª54: E' Lui che di acqua ha creato l'essere umano, e lo unisce con legami di
parentela e alleanza. Il Signore è Potente [âlQâdîru].
In senso biologico infine il Corano è esplicito in vari passi, parlando di una
embriologia che anticipa le conoscenze attuali. In particolare in 23ª14: poi abbiamo
fatto dello sperma una aderenza e dell'aderenza un embrione, poi in questo embrione Noi
abbiamo creato le ossa e abbiamo rivestito le ossa di carne. In seguito lo abbiamo
trasformato in un'altra creatura. Sia benedetto Dio, il migliore dei creatori! Qui e in
altri passi del Corano sono tracciati correttamente i quattro stadi dello sviluppo, detti:
nutfah (goccia di sperma e ovulo), âlaqa (attacco, sospensione), mudgha (masticato), e
infine la gestazione. La scienza moderna ha svelato oggi il procedimento
dell'embriogenesi, o ontogenesi, durante il quale abbiamo una morula, una blastula e una
gastrula, ed infine da questa la definizione dei tre foglietti (o epiteli) embrionali:
l'ectoderma, il mesoderma, e l'endoderma.1 Da notare che nel Corano abbiamo proprio il
termine "attacco, sospensione": susseguentemente al concepimento si ha un vero e
proprio "impianto", precedente la placentazione e l'embriologia (che il Corano
chiama frammentazione o "masticazione"). 2 Gli studiosi occidentali si
meravigliano davanti a un disegno di Leonardo Da Vinci raffigurante un feto nella matrice
in un'epoca in cui, in Occidente, non eran possibili le ricognizioni sul cadavere. Nessuna
meraviglia: egli aveva copiato la miniatura di un codice musulmano di Îbn Nafîs
(1203-1288): Lettera sul trattato di ginecologia di `Arîb bn Sa`d âlKâtib. D'altronde
musulmani sono anche gli "arabeschi" da cui Leonardo trasse i suoi famosi
«nodi».
*
Dunque: Dio, nella sua qualità assoluta e solo sua di Creatore, crea la vita in tutti i
suoi aspetti, nonché il mondo fenomenico che la contiene. Crea col pensiero e con
l'azione, termini questi non relativi a Dio ma unicamente utili a noi per farci capire un
assoluto che altrimenti è per noi incomprensibile. Con lazione Dio crea
lenergia, che non è materia, e con il pensiero crea le infinite Leggi che
coordinano lenergia nei vari elementi di cui si fa il mondo fenomenico. E crea
l'essere umano, che è dotato di una vita fisica e di una vita mentale
Perché una vita mentale? Per i pensatori musulmani l'essere umano è composto
di quattro parti distinte e strettamente unite in una interdipendenza che è precipua
della vita terrena. Due parti sono materiali, una è spirituale, la quarta è globale. La
parte spirituale è l'anima, goccia di quell'oceano infinito che è Dio, al quale tende ed
al quale ambisce tornare. Le due parti materiali sono il corpo e la psiche. Il corpo,
compresi il SNC e le sue valenze apoproteiche che ne determinano pulsioni e reazioni; e la
psiche, sorta di ponte fra anima e corpo, che permette al corpo di attingere a valori
spirituali e all'anima di manifestarsi nella materia. Se questo ponte è stretto,
ostacola-to, crollante, caduto, il passaggio diventa difficile o addirittura impossibile.
La quarta parte, globale, è l'ambiente, che incide considerevolmente nella formazione
dell'individuo, come dice il Corano stesso.
Queste quattro parti sono simbolizzate dai numeri 1, 2, 3, 4, che danno punto, linea,
superficie, volume. Il punto, che ipotizziamo ma non possiamo tracciare (ogni punto
tracciato su una superficie con una matita è una massa a tre dimensioni) rappresenta
l'anima (spirituale). Due punti su una superficie, collegati fra loro danno la linea, che
rappresenta il ponte, la psiche (materiale). Tre punti su una superficie collegati tra
loro danno il triangolo, che rappresenta il corpo (materiale). Quattro punti nello spazio,
collegati tra loro, danno una figura geometrica, il tetraedro, simbolo dell'ambiente
(globale). In questa sequenza simbologica Dio è raffigurato dallo zero, centro da cui
partono le sequenze dei numeri sia positivi che negativi, l'inizio, il tutto, âlSamadu
(l'Inconoscibile, l'Assoluto, l'Impenetrabile).
*
Per il Corano la vita mentale va coltivata e la vita spirituale va realizzata. A
quest'ultimo compito nell'Îslâm provvede il Sufismo, con il suo insegnamento e i suoi
riti.
Così ne parla Sayed Husein Nasr, eminente filosofo iraniano contemporaneo: «Come il
respiro che anima il corpo, il Sufismo ha infuso il suo spirito in tutta la struttura
dell'Îslâm, sia nelle manifestazioni sociali, sia in quelle intellettuali. Le
Confraternite dei sufi (Turuq, singolare Tarîqa), ampia matrice della società islamica,
hanno esercitato il loro influsso durevole e profondo su tutta la struttura della
società. Nel settore delle scienze e delle arti l'influsso del Sufismo fu enorme.
Nell'Îslâm la tradizione del Sufismo è strettamente connessa allo sviluppo delle
scienze, ivi comprese le scienze naturali. In quasi tutte le forme d'arte, dalla poesia
all'architettura, l'affinità con il Sufismo è particolarmente marcata. Per l'Îslâm
stesso la Divinità è bellezza, e per il Sufismo, che costituisce il midollo dell'Îslâm
e ne contiene tutta l'essenza, questa peculiarità appare particolarmente accentuata. Non
è fortuito che i testi di più elevata qualità e bellezza siano quelli scritti dai
sufi.»
Ebbene, i sufi hanno elaborato da oltre mille anni due complesse ed articolate forme di
elevazione: la Via dell'ascesi (taryqa), e un particolare rito sia collettivo sia
individuale: il dhikr. Nell'una e nell'altro sono costantemente evocate, simbolizzate e
presenti la vita e la morte.
a) L'ascesi.
Il cammino dei sufi, come ogni cosa del mondo fenomenico, ha due aspetti: uno essoterico,
uno esoterico. Per la maggior parte, ciò che abbiamo visto sino ad ora leggendo alcuni
passi del Corano riguarda l'aspetto essoterico. Vediamo alcuni punti essenziali per
l'inizio del cammino esoterico.
La Via si divide nei sette gradi dell'essere, compiutamente descritti già dal Maestro
sufi cAlâ âlDawlah Simnânî (1261-1336); sette gradi che in senso ascendente
simbolizzano le tappe percorrendo le quali lessere umano giunge alla comprensione di
Dio (cioè alla reintegrazione della consapevolezza della propria anima); e in senso
discendente simbolizzano la creazione dell'essere umano da parte di Dio e l'immanenza di
Dio nel mondo fenomenico.
Nell'arco di discesa, dal macrocosmo al microcosmo, dal divino all'anima, i sette gradi
sono: l'essenza divina, la natura divina, il mondo dell'informale, il mondo
dell'immaginale, il mondo della percezione spirituale, il mondo delle forme, il mondo
della natura e dell'essere umano.
Nell'arco di ascesa il primo grado corrisponde alla matrice del corpo, avendo ogni essere
umano vivente acquisito una matrice embrionale in cui sussiste una forma nuova non fisica;
ed è simbolizzato da Adamo.
Il secondo grado (senso vitale) corrisponde all'anima animale, o psiche, terreno di lotte
quali provò Noè nei confronti del suo popolo.
Il terzo grado (il cuore) è quello del cuore spirituale, perla all'interno della
conchiglia, comprensione del sé autentico allo stato embrionale. Questo sé spirituale è
simbolizzato da Abramo, poiché Abramo era l'intimo di Dio.
Il quarto grado (il limite del sovracconscio, o superamento dello stato di consapevolezza
usuale e raggiungimento della appercezione, o intuizione) è il Segreto, il punto del
sovracconscio, dei monologhi spirituali quali quelli di Mosé.
Il quinto grado (lo spirito) è un raggiungimento nobile della spiritualità, quale
alterità divina, ed è il Davide dell'essere.
Il sesto grado (l'ispirazione) è appunto l'accoglimento in sé dell'ispirazione, ed è
simbolizzato da Gesù (che per l'Îslâm è un profeta), poiché fu Gesù che annunciò il
Nome.
Il settimo grado (la Verità), quello dell'ultimo organo sottile attivato alla fine di
questo percorso, corrisponde al centro divino dell'essere, al Sigillo eterno, alla realtà
trascendente e immanente di ogni essere umano, ed è simbolizzato dal Profeta Maometto,
poiché egli fu il Sigillo della Profezia.
Ognuna di queste sette tappe del viaggio ha il suo relativo colore, corrispondente al
colore della luce che durante il dhikr il sufi a volte vede. Questi sette colori sono, a
partire dalla base: nero grigio, azzurro, rosso, bianco, giallo, nero luce, verde smeraldo
(da non confondere con i sette colori dellarcobaleno, visualizzati
nellesercizio evolutivo che comunemente vien detto in Occidente dinamica
mentale: rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco, viola).
I sette gradi si ritrovano, o hanno riscontro, anche in altre vie spirituali o mistiche, e
va rammentato il parallelo con i sette çakra - serie di centri attivi nel corpo sottile
meditativo - precipui dellhinduismo (o più specificatamente del Tantrismo):
Muladhara, Svadhishthana, Manipura, Anahata, Vishuddha, Ajna e Sahsrara.
I sette gradi hanno relativi SIMBOLI, il cui studio e la cui elaborazione nel corso delle
sedute ne aiuta la comprensione. Essi sono:
suono (che è vita; mentre il suo contrario, silenzio, è morte);
luce (pur essa vita; mentre il suo contrario, il buio, è morte);
numero (che comprende geometria, costruzione, sezione aurea);
lettera (che comprende i significati segreti dei nomi);
parola (dhikr, Nomi di Dio, Corano, tutti i Testi sacri);
simbolo (partendo dal triangolo col vertice in basso: vita, e col vertice in alto: morte);
ritmo e simmetria (il ritmo cardiaco, la vita e la morte).
* Si inseriscono qui i numerosi passi dei Maestri sufi sui valori della vita e
della morte, sulla vera vita e sulla vera morte, corroborati sempre da Versetti coranici.
A solo titolo di esempio ne cito quattro .
âlHallâj (857-922), detto per antonomasia "il martire" del Sufismo. Fu il
primo a predicare il motto "Libertà, eguaglianza, fratellanza". Messo a morte
da giudici corrotti e da teologi limitati gridò: «Uccidetemi dunque, miei leali amici,
poiché la mia vita è nella mia morte. La mia morte è vivere e la mia Vita è morire.
Sento che l'abolizione del mio essere è il dono più nobile che possa essermi fatto, e
vivere come vivo il peggiore dei torti. La mia vita ha disgustato la mia anima, fra queste
rovine crollanti; uccidetemi dunque e bruciate queste mie ossa deperibili.» (Diwân,
qasîda 26).
Shihâboddîn Sohrawardî (1155-1191), il grande maestro iraniano della visione angelica
scrisse: «La vita del tuo corpo di carne consuma la tua stessa morte; la morte del tuo
corpo di carne è l'esaltazione della tua stessa vita.» (Quindicesimo libro, Wâridât wa
Taqdîsât).
Jalâl âlDîn Rûmî (1207-1273), detto il san Francesco dell'Îslâm, massimo poeta
mistico dell'umanità, fondatore a Konya della Confraternita dei Mevlevi, detti in
Italia "i dervisci roteanti", scrisse: «Un pugno di polvere dice: «Ero una
chioma»; e un altro pugno di polvere dice: "Ero delle ossa"; un altro pugno
dice: "Ero un vecchio"; ed un altro ancora: "Ero un giovane". Un pugno
di polvere ti dirà: "Fermati: io fui qualcuno, e fui a mia volta figlio di
qualcuno". Sei scosso, e all'improvviso giunge l'amore, che ti dice: "Avvicinati
a Me: sono Io il Vivente, l'Eterno".»
E infine: esprime chiaramente che la vera vita è Dio una quartina di Omar Khayyâm
(1048-1131), insigne poeta e matematico iraniano: «O Tu che nell'universo sei il
preferito dal mio cuore; / o Tu che mi sei più caro dell'anima, più caro dei mie stessi
occhi, / se non vi è nulla , Dio mio,/ di più prezioso della vita / allora Tu mi sei
prezioso cento volte più di essa.»
Concluderò questa serie di citazioni facendovi sentire nella lingua originale
türk-âfghân una poesia popolare dell'Afghanistàn (cassetta con musica e testo), di cui
vi leggerò poi la traduzione.
«La vita non è un problema da risolvere:
la vita è uno spazio di tempo da vivere.
Certo, Dio è bello e ama la bellezza,
certo, Dio è Vita, e perciò ama ogni essere vivente.
Dal momento che noi tutti viviamo
abbiamo tutti il diritto di vivere nel modo più conveniente.»
b) E veniamo ora al dhikr. Così ne parlò Muhammad Îqbal (1877-1938): «Il dhikr
trasupera lumano; trasupera il limite umano nellestasi; per cui, mentre il
sogno è libera attività cerebrale specificabile scientificamente, l'estasi non è
quantificabile scientificamente. Trasuperando la natura umana è forse, allora,
espressione dell'anima e prova della sua esistenza.»
Varie ragioni conferiscono effettivamente al dhikr l'importanza che vi danno tutte le
Confraternite sufi. Anzitutto le illuminazioni che si hanno durante il rito, la presenza
sensibile del divino, la "compagnia" avvertibile ma spesso anche udibile di
entità superiori. Per gli psicologi e per gli studiosi del sistema nervoso centrale tutto
ciò è, tuttavia , un effetto puramente fisiologico, dipendente dal fatto che il
dhikr iperventila i ventricoli cerebrali.
Comunque il dhikr ingloba in sé i sette temi che aiutano la comprensione dei sette gradi
evolutivi: suono, luce, numero, lettera, parola, simbolo, ritmo e simmetria. Possiamo
capirlo leggendo questo antico testo di cAbd âlRazzâq âlQâshânî (?-1329):
«Prendiamo una metafora. Il terreno che viene urtato dal suono è esso stesso movimento
ondulatorio. L'onda è il metro, il ritmo nasce dalla combinazione dei toni su questa onda
[...]. I toni si ripartiscono sulla misura, regolare o non regolare; possono riempirla
succedendosi con rapidità, o al contrario lasciare vuoti vasti intervalli. A volte si
affastellano, a volte si distanziano [...]. In ragione di questa libertà di ripartizione
e di innescamento, i toni possono dare alla forma di base, costantemente sinuosa, un
profilo nobile, sempre differente [...]. Questi giochi del tono sull'onda sonora, questo
modellarsi della sostanza dell'onda, la coincidenza e l'opposizione delle due componenti,
la loro tensione reciproca e l'adattamento continuo degli uni negli altri, ecco ciò che
chiamiamo, in musica, il ritmo. Ora, che cosa ho detto?: ho semplicemente descritto
la vita come altrimenti non si può disvelare in un modo più completo. Ecco, ecco che
cosa è la vita. » Fine citazione
âlÎnsân âlKâmil, L'uomo realizzato, l'uomo perfetto è così, per l'Islam,
l'essere umano che vive nel mondo ma non è del mondo, unendo una vita terrena impeccabile
nell'ambito dell'etica ad una vita spirituale sempre più tesa alla comprensione della
identità divina.
Unione che tuttavia nel mondo presente non è limitata all'integrazione della vita terrena
con l'afflato spirituale ma prosegue ancora, unendo - per quanto riguarda la vita d'ogni
essere umano - la vita terrena alla vita ultraterrena o, se vogliamo, la vita e la morte.
Una realtà terrena che giunge a non aver paura della morte sapendo che la prima è
transitoria e la seconda è l'inizio della vita spirituale completa.
Si realizza così il detto muhammadico: «Morire prima di morire» e si giunge a capire il
concetto del: «Così in alto così in basso», ossia che il microcosmo è specularmente
simile al macrocosmo. La Via seguita dal sufi nei sette gradi dell'essere ha un valore
ascendente ed uno discendente, come abbiamo visto prima. Nell'arco di discesa è il divino
che penetra nel mondo fenomenico, e nell'arco di ascesa è il fenomenico che ascende al
divino, ossia l'essere umano che percorre la strada della vita terrena per giungere alla
visione della sua vera Vita spirituale.
Il concetto del settimo grado di questa via di ascesa (ritmo e simmetria) si ritrova così
maggiormente ampliato. Vita e morte sono simmetrici, entro un contesto ritmico. E' ciò
che il Sufismo ha adombrato con il simbolo dello specchio.
Mahmûd Shabestarî (?-1320 ) disse al proposito: «Sappi che il mondo intero è uno
specchio, e in ogni atomo si trovano cento soli fiammeggianti. Se tu fendi il cuore d'una
sola goccia d'acqua ne emergono cento oceani puri. Se esamini ogni granello di polvere vi
potrai scoprire mille Adami. Un universo è nascosto in un granello di miglio, e tutto è
radunato sulla punta del presente. Da ogni punto di questo cerchio sorgono migliaia di
forme; ed ogni punto, ruotando in cerchio è a volte un cerchio ed a volte una
circonferenza che gira.»
Plotino scrisse: «Mai un occhio vedrebbe il sole senza esser divenuto simile al sole, né
un'anima vedrebbe il bello senza essere bella.» E' una verità che i sufi ripetono
continuamente e in definitiva è la ragion d'essere e la fine dell'ascesa. L'uomo,
ontologicamente "contenente" Dio, per la sua natura originaria (fitra), avendo
risposto all'appello che gli è rivolto da tutta l'eternità ed essendosi reso atto alla
visione, scoprirà - come dice Sanâ'î (XI° ecolo)- che «vi sono cieli nel regno
dell'anima che governano i cieli di questo mondo»; in altri termini, l'uomo è un
microcosmo che, se divenuto specchio, può riflettere il divino come il macrocosmo
riflette Dio; e «tutte le cose celebrano la Sua lode». Esiste una sola Realtà,
l'unicità divina (tawhîd) : rendersene conto è vivere. Vivere il tawhîd, in senso
obbiettivo, ossia giungere all'unione. Ed ecco: questa è finalmente la vera vita.
Îbn âlcArabî (1165-1240), nella Saggezza dei profeti, scrisse: « L'Essenza si rivela
soltanto sotto la "forma" della predisposizione dell'individuo che riceve questa
rivelazione; e non si produce mai altra cosa. Pertanto, il soggetto che riceve la
rivelazione dell'Essenza vedrà soltanto la propria "forma" nello specchio di
Dio (è impossibile che veda Lui), pur sapendo che vede la propria "forma" solo
grazie a quello specchio divino. Ciò è del tutto analogo a quanto succede in uno
specchio del corpo: contemplandovi delle forme, tu non vedi lo specchio, pur sapendo che
vedi quelle forme (o la tua propria) soltanto grazie a quello specchio. Questo fenomeno,
Dio l'ha manifestato come simbolo particolarmente appropriato alla Sua rivelazione
dell'Essenza, affinché colui al quale Egli si rivela sappia che non Lo vede; non esiste
simbolo più diretto e più conforme alla contemplazione e alla rivelazione di cui si
tratta (...). Orbene, la sola, la vera, l'unica vita di ogni essere umano è questa, è
solo questa, e poiché Dio infinito ha creato l'universo mondo, ecco che gli infiniti si
specchiano nella Creazione che è specchio di Dio.»
Lo specchio posto davanti a un altro specchio quale infinito crea? Siamo di nuovo
nell'infinitezza della vita umana - nell'immaginifico che solo il poeta o il mistico
percepiscono - nell'infinitezza che esula dalla realtà limitata per spaziare nelle
fantasie dell'Arte, che infine si riducono tutte «all'Arte del vivere». Ed ecco: è
l'arte del vivere che ci ripropone il concetto di infinito (Dio) rendendocelo percepibile.
*
Dice il Corano in 29ª64 (recitazione del Corano in arabo): La vita presente è solo lahw
wa lacib, mentre la dimora ultima è la vera vita. Quando le genti salgono su una
nave invocano Dio, offrendoGli un culto sincero; ma quando li ha riportati in salvo a
terra, ecco che essi adorano molte altre cose. In definitiva: i Sufi, mistici
dell'Îslâm, considerano la vita terrena come tempo di educazione e di elevazione
spirituale che ci conduce alla comprensione di Dio, fonte vera d'ogni concetto di vita.
Così facendo tendono a giungere anche al loro vero essere (âlÎnsan âlKâmil),
realizzando in sé l'unitarietà e la pienezza della perfezione umana cui ogni essere
dovrebbe tendere. Un aforisma sufi recita: «Chi conosce se stesso conosce Dio, chi
conosce Dio conosce se stesso.» Ciò attraverso l'autentico vissuto della Fede e
della Religione, ruscelli di vita in questo basso mondo fenomenico.
Per i Sufi realizzati la Fede è una pulsione naturale, connaturata all'essere umano; la
Religione è la burocratizzazione della Fede, stabilita sulla base di usi, costumi,
abitudini, condizioni ambientali e temporali. Essa organizza le pulsioni della Fede
coordinandone i moti e regolandone le espressioni soprattutto per coloro che non
posseggono capacità di autocoordinamento e creatività d'espressione.
La Fede è dunque di gran lunga superiore alla Religione. La Fede senza Religione è
salvifica e illuminante comunque, la Religione senza Fede è solo un vuoto coacervo di
pratiche ripetitive senza valore alcuno. Pregare senza Fede è solo una perdita di tempo
ipocrita e deviante, ben lungi dalla possibilità di un dialogo diretto con Dio; pregare
perché spinti dalla Fede sia pur con forme spontanee e non religiosamente coordinate è
comunque parlare direttamente a Dio, e Dio accoglie con benevolenza estrema anche questa
preghiera. Dio capisce tutte le lingue del mondo, e quindi accoglie tutte le forme
religiose con cui lo si prega.
*
Liberàti allora dai preconcetti coercitivi e dalle false ipocrisie terrene capiamo infine
che - come affermava Îbn âlcArabî - l'intero Corano è in questa Parola di Dio: «Né i
cieli né la terra Mi contengono, ma Mi contiene il cuore del Mio fedele.» Il cuore, non
il cervello: e quindi non possiamo definire Dio con il cervello, ossia con il
ragionamento, ma possiamo sentire Dio con il cuore, ossia con il sentimento. E questa,
questa è la vera vita.
Quando l'essere umano giunge ad esprimersi attraverso emozioni che trasuperano i limiti
della materia finita, s'illumina di una luce divina per cui le sue azioni, le sue opere,
le sue "arti" vanno oltre i limiti del contingente; e di là dal bene e dal male
(limiti finiti di una realtà finita) attingono a quella intuizione del divino che ci
rischiara la vita. Allora l'essere umano si trova in un pronao del mondo a venire,
minuscolo granello di sabbia nel deserto vasto dell'essere, e goccia dell'Oceano infinito
che è Dio, al quale Oceano tende, al quale Oceano ritorna. Ciò è ben avvertibile nel
Dhikr, grazie al quale il sufi attinge per un attimo alla Vita eterna, che è infinita.
Ma contro questi momenti estatici s'erge quaggiù tutto un mondo di orrori, di guerre, di
egoismi e di corruzioni..., ciò che chiamiamo la vita civile in questo basso mondo. Ecco
ciò che è finito, in contrasto con ciò che nella stessa natura divina di noi esseri
umani creati è infinito quando ci volgiamo alle bellezze della natura rispettandole,
quando aiutiamo il nostro prossimo che soffre, di qualsiasi etnìa e di qualsiasi
religione esso sia, quando gustiamo l'arte, nelle sue varie espressioni sublimi e finite
-, musica, poesia, pittura, teatro... -. Comportamenti che in definitiva sono tutti
aspetti tangibili DELLA ADORAZIONE per quell'infinito unico che è Dio, il Vivente, il
Sussistente.
Però ci si può chiedere: sussistente davvero dal momento che gli atei lo negano? E i
molti valori della vita quali Democrazia, Giustizia, Arte, Rispetto per la vita stessa...,
valori pur così reali, sussistono davvero, dal momento che molti li negano con le loro
azioni? Ecco: sembra che gli esseri umani nella loro globalità non abbiano verità
assolute, ferme, eterne in cui tutti credano. Una sì, invece è una verità comune: la
vita. Noi tutti siamo consapevoli che stiamo vivendo, anche se oggi tuttavia viviamo in un
mondo di squilibri, di odio e di precipitoso consumismo, mentre la Vita eterna non è
consumismo.
* Ecco perché è una bella cosa che si sia fatto un Congresso tendente a recuperare oggi,
subito, il valore precipuo della Vita.
prof. dott. Gabriele Mandel Khân, vicario generale per l'Italia della
Confraternita sufi Jerrahi-Halveti
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