Integralismo e intolleranza nell'Islam

 

Una breve premessa chiarificatrice, anzitutto.
Il verbo dell'Islam è contenuto nel Corano, e tutto ciò che non è coranico nulla ha a che vedere con l'Islam. Ciononostante, le divergenze tra speculazione teologica e sentito religioso, e soprattutto l'attuale ricerca di una identità religiosa nei paesi che hanno subìto la frattura del colonialismo, permette ancora a politici interessati e individualmente prevaricatori di utilizzare la religione per scopi anche del tutto in contrasto con i princìpi religiosi stessi. In definitiva, se l'Islam come religione non ha difetti (e nessuna religione veramente tale ne ha) le varie correnti teologiche che da secoli applicano e impongono le loro interpretazioni hanno molti difetti, proporzionalmente maggiori quanto più si allontanano dalla corretta lettura del Corano. Ciò ha permesso perfino che si stabilisse un integralismo addirittura definito islamico, anche se per molti aspetti è del tutto in antagonismo con i precetti enunciati dal Corano e dagli Ahàdìth, e pur se in effetti ogni religione, ogni corrente politica ha il suo integralismo.
Giustamente Roger Garaudy, eminente filosofo musulmano, osservava: «Gli integralismi, tutti gli integralismi, siano essi tecnocratici, staliniani, cristiani, ebrei o islamici, costituiscono oggi il pericolo più grande per l' avvenire. La loro vittoria, in un'epoca in cui abbiamo solo la scelta fra la reciproca distruzione certa e il dialogo, ghettizzerebbe tutte le comunità umane in sette fanatiche chiuse in se stesse e quindi votate all'affrontamento... L'integralismo è il più grande pericolo della nostra epoca, epoca in cui nessun problema può essere risolto a partire da una comunità parziale e dai suoi dogmi».
Integralismo e fondamentalismo si trovano gomito a gomito, ma rimangono slogan vaghi, correntemente usati per descrivere ideologie militanti, ma quasi sempre senza approfondimenti e conoscenze di sorta. Delucidiamone i significati: l'integralismo pretende un sistema unitario abolendo pluralità di concetti e di programmi; il fondamentalismo pretende l'applicazione rigorosa dei principi d'origine senza concessioni evoluzionistiche né adattamenti alle circostanze mutate. Questi due termini furono coniati all'inizio del nostro secolo per definire movimenti cristiani. All interno di ciascuno di questi termini sussistono tre diversi momenti: risveglio, riformismo, radicalismo.
Tuttavia l'integralismo o il fondamentalismo in se stessi non sono sufficienti per determinare azioni criminali: ne sono complementi necessari l'ignoranza, la miseria, una serie precisa di devianze psichiche, e la strumentalizzazione da parte di lobbie con grandi interessi economici e ampi capitali a disposizione, il più delle volte lobbie che usano gli integralisti ma non hanno nulla a che vedere con le ideologie avanzate dagli integralisti che manovrano. In questo campo abbiamo criminali di tutte le confessioni: cattolici, con l'ETA basca o l'IRA irlandese (anche i Brigatisti rossi italiani erano, dopotutto, battezzati); riformati, con le SS tedesche; islamici, in Celesiria e in Algeria; ebreo è l'assassino di Rabin; ortodossi sono i Serbi bosniaci. E tutto ciò non è un aspetto nuovo: sono episodi attuali di movimenti radicati nei secoli, e che da secoli si ripresentano periodicamente, anche se alcuni giornalisti affermano persino che una gran parte di questi movimenti integralisti è sovvenzionata o coordinata dalla CIA, che ha fatto proprio l'antico motto romano: Divide et impera.
Ciò premesso, consideriamo che vi sono nello stesso Islam vari tipi differenti di integralismo, in opposizione alle differenti posizioni assunte dall'assetto politico delle molte nazioni.

In relazione alle differenti posizioni politiche, un primo gruppo è costituito da Egitto, Siria, `Iraq e Yemen, in cui il capitalismo di stato - affrontando il problema della riforma agraria - ha dato impulso ad apparati burocratici escludendo la classe intermedia indipendente. Da notare che questo gruppo, ed altri consimili, in un primo tempo si è addirittura appoggiato ad un partito comunista, partito che di per se stesso si trova in opposizione con i concetti dell'Islam.

Un secondo gruppo è costituito da Algeria, Tunisia e Libia, in cui il potere militare affidò le riforme ad un ristretto settore privato con conseguenze politiche piuttosto che economiche.

Un terzo gruppo è costituito dall'Indonesia, dal Pakistan e dal Bangladesh, caratterizzati da un processo di integrazione del sistema di patrocinio delle grandi famiglie e dei latifondisti.

Il quarto gruppo è costituito da Arabia Saudita, Brunei, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Bahrain, in cui il patrocinio esclude ogni forma di democrazia, di dialogo politico, di personalizzazione economica. Si consideri che la famiglia reale dell'Arabia Saudita opera a fondo uno sfruttamento dello spirito religioso speculando sul pellegrinaggio alla Mecca, e che la sua ricca economia petrolifera è dominio esclusivo dei 6.000 membri della famiglia reale. Ogni opposizione, come quella operata nel 1979 da Muhammad alQahtani, è soffocata violentemente nel sangue.

Un quinto gruppo è costituito da Giordania e Marocco, in cui al potere reale si affianca una democrazia che può far sentire la propria voce (si consideri che, a fronte dei 6.000 membri della famiglia reale dell'Arabia Saudita proprietari dell'intero territorio, in Marocco ci sono 800.000 grandi famiglie terriere).

Un sesto gruppo è costituito da Afghànistàn, Sudan e Nigeria, in cui le divisioni settarie, tribali e religiose inquinano il processo di integrazione dando origine a forme esplosive di protesta.

L'Iran parrebbe costituire un caso a sé. La sua ricchezza ha interessato - e per conseguenza diviso - la Francia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti, in posizioni di propaganda e nella ricerca d'un colonialismo economico cui dovrebbe farsi risalire ogni informazione in Occidente ed ogni opposizione sul territorio. Lo Shah, cacciato una prima volta dal popolo insofferente del suo dispotismo e tornato dall'esilio nel 1953 grazie al colpo di stato organizzato dalla CIA, con l'appoggio di Kennedy costrinse, nel 1975, migliaia e migliaia di uomini d'affari all'esilio o alla galera; lo sperpero del 40% delle entrate in armamenti e la sua preferenza per la propria famiglia e per le sue forze armate gli alienò del tutto ogni pur ipotetico favore del popolo. Ciò doveva di forza sfociare in una rivoluzione popolare, e fu allora facile per la Francia appoggiare l'Imam Khomeini. Questa rivoluzione, avversata ancor oggi dall'Inghilterra, mentre gli Stati Uniti hanno ridotto alla fame la popolazione con un severo blocco economico, per il fatto stesso che l'evoluzione dell'Iran è in arretrato di duecento anni sull'Europa ripete la Rivoluzione Francese, ed ha immancabilmente, quindi, i suoi Danton, i suoi Marat, i suoi Robespierre. Come aspettarsi d'altronde che l'Iran si consegni mani e piedi legati all'Inghilterra e agli Stati Uniti? Ma, in generale, come aspettarsi che tutto l'Islam, con sua propria cultura, storia, civiltà, si rassegni a sottostare alla legge del dollaro o alla legge del rublo? Capitalismo, socialismo, comunismo, secolarismo sono espressioni in contrasto con il messaggio dell'Islam; ma non si può pretendere che l'Islam rinunci ai suoi alti valori per diventare in modo assoluto il possedimento coloniale di culture materialistiche, mafiose, corrotte, le cui conseguenze sono l'alienazione, il degrado morale, l'annichilimento dell'anima.
Un solo paese, a maggioranza musulmana e da secoli simbolo di tolleranza fra diverse religioni e fra diverse etnie, si pone come modello d'un islamismo illuminato e tollerante: la Turchia. Ad esso guardano tutti i paesi turchi che ancor oggi soffrono sotto l'oppressione sanguinosa del dominio russo: Cecenia, Azeirbagian, Turkestan, Turkmenistan... in cui la sola riposta all'oppressore, la sola possibilità di difesa della propria identità è la lotta armata.

Ma torniamo alla religione. Come deve realmente essere, in effetti, il musulmano, secondo i precetti del Corano? Dice il Corano:
"Ecco come sono i servi del Misericordioso: camminano sulla terra con umiltà; quando gli ignari si rivolgono loro, dicono loro: «Pace». Passano le notti pregando il Signore [...]. Quando dispensano, non sono né prodighi né avari, poiché il giusto sta nel mezzo; e non invocano altra divinità accanto a Dio; e non uccidono anima alcuna se non secondo diritto, perché Dio l'ha proibito; e non compiono atti osceni; chiunque lo fa incorre nel peccato, avrà un castigo doppio il giorno della resurrezione, e rimarrà oppresso dall'ignominia, a meno che non si penta, creda e compia opera buona; perché a quelli Dio muterà il male in bene - poiché Dio è perdonatore, compassionevole. E non testimoniano falsamente, e passano nobilmente attraverso la vanità; e quando i versetti di Dio sono recitati non rimangono sordi e ciechi. E dicono: Signore, da' a noi, alle nostre mogli, ai nostri discendenti, la serenità; e fa' di noi un esempio ai fedeli".(25°63-76)

Passando al secondo punto, quale deve essere l' attitudine del musulmano nei confronti delle altre religioni? Dice il Corano:
"Sì, i musulmani, gli Ebrei, i Cristiani e i Sabei, chiunque ha creduto in Dio e nel Giorno ultimo e compiuto opera buona, per costoro la loro ricompensa presso il Signore. Su di loro nessun timore, e non verranno afflitti".(2º 62)
"Dì: noi crediamo in Dio, in quel che ci ha rivelato, e in quello che ha rivelato ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, alle Tribù, in quel che è stato dato a Mosè e a Gesù, e in quel che è stato dato ai profeti dal loro Signore: noi non facciamo differenza alcuna con nessuno di loro. E a Lui noi siamo sottomessi".(2°136)
"Dì: Genti del Libro, sarete sul nulla fintanto che non seguirete la Thora, il Vangelo e ciò che vi è stato rivelato dal vostro Signore [...]. Sì, i musulmani, gli Ebrei, i Sabei, i Cristiani - chiunque crede in Dio e nel Giorno ultimo e compie opera buona -nessun timore per loro e non verranno afflitti".(5º 68-69)
"Sì, noi ti abbiamo fatto rivelazione, come noi abbiamo fatto rivelazione a Noè e ai profeti dopo di lui. E noi abbiamo fatto rivelazione ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, e alle Tribù, a Gesù, a Giobbe, a Giona, ad Aronne, a Salomone, e abbiamo dato il Salterio a Davide. Per comunicare con Mosè Dio ha parlato. E vi sono dei messaggeri di cui ti abbiamo raccontato in precedenza, e messaggeri di cui non ti abbiamo raccontato, messaggeri annunciatori e messaggeri avvertitori, affinché dopo i messaggeri non ci fossero più per le genti argomenti contro Dio. E Dio è Potente e Saggio".(4°163-165)

Sottolineo il passo coranico appena citato: "E vi sono dei messaggeri di cui ti abbiamo raccontato in precedenza, e messaggeri di cui non ti abbiamo raccontato". Il Corano cita venticinque Profeti; ma secondo la tradizione - come si legge nel Fihrìst di Ibn Nàdim, i Profeti che predicarono sulla terra sarebbero stati 124.000, e i Libri sacri rivelati ben centoquattro. Ecco quindi perché, presso i Sufi del Centroasia, sono riconosciuti come profeti, ad esempio, il Buddha, il Thirtankara, Guro Nanaq, ciascuno portatore del suo Libro sacro.
Ma continuiamo a sentire che cosa ci dice il Corano a proposito della tolleranza interreligiosa:
"Se un idolatra ti chiede asilo, concedigli asilo. Ascolterà la Parola di Dio. Poi fallo giungere in un luogo per lui sicuro. Ciò perché in verità è gente ignara".(9°6)
"Nessuna costrizione in fatto di religione: la giusta direzione si distingue dall'errore, e chiunque rinnega il Ribelle e crede in Dio ha afferrato l'ansa più solida, che non si spezza. Dio sente e sa
".(2°256)
"La verità emana dal Signore. Creda chi vuole, non creda chi non vuole".(18°29)
"Noi non costringiamo nessuno, se non secondo le sue capacità. E nessuno verrà leso, poiché è presso di Noi il Libro che dice la verità".(23°62)

Junaid - Maestro sufi del IX° secolo - disse: «Il colore dell'acqua è il colore del suo recipiente», intendendo che tutte le religioni sono eguali; differiscono per ambiente, nome e ritualistica, ma non possono differire nella sostanza. La divinità, assoluta, non può essere contenuta in una cosa perché è l'origine - e l'essenza - di tutte le cose, e quindi anche di tutte le religioni. Più ci si avvicina a Dio, e più si capisce che tutte le religioni sono tentativi per avvicinarLo.

E veniamo così al punto che più mi riguarda: l'aspetto più illuminato e tollerante dell'Islam, il Sufismo.
I sufi costituiscono tutta una serie di consorterie di pensiero che sono state alla base di scienze e di speculazioni metafisiche anche dell'Europa. Se è auspicabile che i valori del Sufismo vengano conosciuti dai non musulmani, se è tempo che siano riconosciuti da quanti seguono etiche che hanno lo scopo comune di elevare l'umanità, di creare un mondo di pace, di tolleranza, di illuminata fratellanza universale, è anche tempo che l'etica patrimonio del Sufismo si diffonda fra tutti i musulmani.
Sorte dalla lettura culturalmente progredita del Corano, precipua degli Iraniani in unione con tecniche filosofico-sciamaniche dei Turchi, le correnti sufiche nacquero nell'Asia centrale, e dai Turchi vennero diffuse in tutto il mondo islamico. Nel mondo turco emersero Ordini che promossero correnti mistiche ricche di pensatori eminenti; presso gli Arabi e alcune popolazioni arabofone alcune confraternite dei Sufi degenerarono in correnti politiche integraliste o di bassa spettacolarità a carattere magico.
I Turchi si caratterizzavano per l'aperto interesse verso tutte le formulazioni fideistiche. Un esempio: in periodo pre-islamico, il Buddhismo si diffuse in Cina proprio grazie ai regni turchi della Cina del Nord (in particolare il regno Wei, 386-551). Loyang, capitale dei Turchi Tabgaç, ebbe oltre 1.300 pagode e, per ordine di Thopa Hong II° (471-499) furono creati nelle grotte di Longmen i capolavori dell'arte buddhista d'ispirazione greco-romana, secondo modelli importati dal Gandhàra (Afghànistàn).
E' da considerare che il Buddhismo era una religione elitaria, e si esprimeva soprattutto nel coordinamento dell'ordine monastico, ben organizzato e potente. Non è da escludere che quando l'intellighenzia turca passò dal Buddhismo all'Islamismo, gran parte della classe monastica buddhista sia a poco a poco defluita in quello che si può chiamare il "monachesimo" dell'Islam.
Ancora nel XIII° secolo molti monaci buddhisti aderirono alla Kalandariyya (ordine sufico del Khoràsàn sorto nel IX° secolo), e solo dopo la sua diffusione verso Occidente ad opera di Sàvì (1168-1231) questa Confraternita perse ogni riecheggiamento buddhista allineandosi del tutto alla Shariha islamica.

L'etica dei Sufi (come giustamente osserva il giudice Said alAshmawì, un grande giurista islamico contemporaneo) afferma che la religione non può essere utilizzata come politica poiché la religione eleva mentre invece la politica corrompe, limita, divide, uccide. Non si può accettare una formula religiosa spinti dall'ignoranza, dalla paura o dal preconcetto. La vera religione - nel nostro caso l'Islam vero - si basa su due principi: fede in Dio e rettitudine nel comportamento. L'etica del Sufismo è da secoli impegnata in questo conseguimento, e si propone come risoluzione della ricerca di identità dell'Islam che nelle plurime e a volte perfino aberranti o inquinate manifestazioni oggi rischia di allontanarsi dai precetti coranici così come ne sono lontani (pur proclamandosi invece musulmani) alcuni capi di Stato del periodo attuale. Il sufismo avvicina l'uomo a Dio attraverso l'avvicinamento dell'uomo a tutti gli altri uomini, grazie alla tolleranza per ogni pensiero differente dal proprio, al rispetto per l'individuo ma anche per i suoi diritti e per il suo ambiente. Sin dal XII° secolo i Sufi hanno propagandato il motto «libertà, eguaglianza, fratellanza». Questo nonostante le persecuzioni da parte di dittatori, ulema corrotti, teologi limitati. Persecuzioni che sono state esemplate dal martirio di alHallaj (858-922), uno dei poeti mistici più eminenti dell'umanità tutta.
Personaggio di spicco per la comprensione dell'etica sufica è Jalal alDìn Rùmì, il Dante Alighieri della gente turca, uno dei più grandi mistici dell'umanità.
Nato a Balkh (Afghànistàn) nel 1207, morì a Konya (Turchia) nel 1273. Di lui il professor Halil Cin, rettore dell'Università Selciukide di Konya, ha scritto: «Rumì, superando le frontiere religiose del pensiero turco e dell'Islam, è simbolo di un amore, d'una tolleranza e di una pace indirizzati a tutta l'umanità. Trova la fonte dell'ispirazione nell'Islam e nella cultura turca; li esprime ed amplifica, e li offre a tutti senza distinzione alcuna, mentre la maggior parte dei conflitti fra gli uomini deriva appunto dalla mancanza d'amore, dall'egoismo, dal fatto che non è dato alla persona umana il valore che merita. Questo messaggio di Rumì trova veramente l' ambito universale nella quartina che leggiamo all'ingresso della Mevleviyya di Konya:

«Vieni, vieni, chiunque tu sia vieni.
Sei un miscredente, un idolatra, un pagano? Vieni.
Il nostro non è un luogo di disperazione,
e anche se hai violato cento volte una promessa... vieni
»
.

Ebbi a dire in altra sede che Rumì ci insegnò "a superare il preconcetto limitante, il condizionamento restrittivo, il ricatto morale ed ogni sentimento egoistico che acidamente semina nelle coscienze terrene l'imposizione violenta di una ideologia, sia essa politica o religiosa, che non sia a dimensione umana valida per tutta l'umanità, in grado di insegnare la pace, la tolleranza, il rispetto reciproco". Oggi tutti invocano la pace, ma secondo i concetti di Seyyd Hossein Nasr: «essa non è mai raggiunta proprio perché dal punto di vista metafisico è assurdo aspettarsi che una cultura consumistica ed egoistica, dimentica di Dio e dei valori dello spirito, possa darsi la pace. La pace fra gli esseri umani è il risultato della pace con se stessi, con Dio, con la natura, secondo una componente etica che abbia superato false morali, preconcetti, interessi unilaterali e presuntuose ignoranze. Essa è il risultato dell'equilibrio e dell' armonia che si possono realizzare soltanto aderendo agli ideali precipui delle società esoteriche. In, questo contesto è di vitale importanza la pace fra le religioni».
«In tema di pace va detto qualcosa a proposito della pace interiore che oggi gli esseri umani cercano disperatamente tanto da aver favorito l'insediamento in Occidente di pseudo-yoghi improvvisati, di falsi guaritori spirituali, anche di falsi maestri sufi. In realtà si avverte per istinto l'importanza dell'ascesa mistica ed etica, ma ben pochi accettano di sottoporsi alla disciplina di una tradizione autentica, la sola che possa produrre effetti positivi, qualsiasi essa sia».
Allora, quando si è atei, quando mancano ideali religiosi o etici o morali, molti si volgono alla droga, che è violenza su se stessi e fuga, oppure alla violenza sugli altri giungendo anche al massacro sistematico di popolazioni inermi o di gruppi etnici diversi dal proprio.
Rumì scrisse: «Le vie sono diverse, la meta è unica. Non sai che molte vie conducono a una sola meta? La meta non appartiene né alla miscredenza né alla fede; lì non sussiste contraddizione alcuna. Quando la gente vi giunge, le dispute e le controversie che sorsero durante il cammino si appianano; e chi si diceva l'un l'altro durante la strada "tu sei un empio" dimentica allora il litigio, poiché la meta è unica».

Questo non è solo il superamento della religione, ma il "rispetto" d'ogni religione, come insegna lo stesso Corano. Non vi è infatti altro testo sacro che parli così diffusamente e in modo tanto aperto dell'universalità di tutte le religioni; e ancora una volta si dimostra che i vari emiri, re e dittatori che interpretano i versetti del Corano a loro stretto beneficio momentaneo e si pretendono musulmani, in effetti sono ben lungi dall'esserlo.

E torniamo all'integralismo. Anzi: agli integralismi, cancro del tempo d'oggi. Quali sono le soluzioni possibili ai problemi posti dagli integralismi d'ogni tipo? Le soluzioni esigono un cambiamento radicale
a) della politica nei riguardi del Terzo Mondo e delle relative emigrazioni-immigrazioni;
b) nei riguardi dell'Europa;
c) nei riguardi della disoccupazione e dell'insieme globale della politica sociale;
d) nei riguardi delle conoscenze e degli atteggiamenti verso le varie culture, quelle degli altri e la nostra.

Questi quattro postulati sono strettamente interdipendenti. Dal momento che è oramai certo che nessun problema si può risolvere nel quadro di una comunità parziale a causa dell' interdipendenza universale, l'integralismo che pretende imporre una verità totale per risolvere tutti i problemi è quanto mai pericoloso.
La chiave di volta è il dialogo. Il dialogo ha come scopo la scoperta dei valori comuni, il rispetto dei valori altrui, l'acquisizione del concetto che se rimaniamo ciascuno con la propria conoscenza possediamo una conoscenza ciascuno, ma se acquisiamo la conoscenza dell'altro possediamo due conoscenze.
L'avvenire prossimo conoscerà mutamenti considerevoli: gli Stati Uniti d'America non potranno più atteggiarsi a padroni del mondo, scalzati dal nuovo colosso Cina-Giappone che ineluttabilmente avanza, con la sua rispettabile cultura millenaria che pretenderà il dialogo con culture altrettanto rispettabili e millenarie. Solo il dialogo permetterà allora la sopravvivenza dei popoli deboli.
Che tutti coloro che in un modo o nell'altro sono rigidamente legati ad un qualsiasi integralismo, e che per conseguenza ignorano la propria cultura, deridendo al contempo le culture degli altri, ci pensino.

Intervento del Prof. Gabriele Mandel presso la sede UNICEF di Pavia (novembre 1996

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