Sul Sufismo

conferenza sul sufismo del Prof. Gabriele Mandel all'Università di Pavia nel gennaio 1998

Secondo Si Hamza Boubakeur (che fu rettore dell'Università islamica di Parigi, rettore della Moschea di Parigi, discendente diretto del primo califfo, Abu Bakr) «il Sufismo in se stesso non è né una Scuola teologico-giuridica, né uno scisma, né una setta, poiché si pone di sopra da ogni obbedienza. E' innanzi tutto un metodo islamico di perfezionamento interiore, d'equilibrio, una fonte di fervore profondamente vissuto e gradualmente ascendente. Lungi dall'essere una innovazione o una via divergente parallela alle pratiche canoniche, è anzitutto una marcia risoluta d'una categoria di anime privilegiate, prese, assetate di Dio mosse dalla scossa della Sua grazia per vivere solo per Lui e grazie a Lui nel quadro della Sua legge meditata, interiorizzata, sperimentata».

Leggiamo due frasi di Seyyd Hossein Nasr, che nella loro essenzialità, ci danno una visione globale della realtà del Sufismo: «Per esporre gli insegnamenti del sufismo in modo completo si deve esporre almeno un sommario della dottrina sufi comprendente la metafisica, ossia lo studio del principio e della natura delle cose; la cosmologia riguardante la struttura dell'universo e gli stati molteplici dell'essere; la psicologia tradizionale alla quale è unita una psicoterapia fra le più profonde, vecchia di mille anni; e infine l'escatologia, che riguarda lo scopo ultimo dell'uomo e dell'universo, e il divenire postumo dell'uomo. L'esposizione degli insegnamenti sufici dovrebbe inoltre includere una trattazione sui metodi spirituali, sulla loro applicazione e sul modo in cui prendono radici proprio nella sostanza dell'anima del discepolo».

Grazie al sufismo, infatti, nei secoli passati si sviluppò considerevolmente la poesia (in lingua araba, in lingua persiana e in lingua turca anzitutto, ma appunto grazie alla presenza dei poeti sufi anche nelle altre lingue del vasto mondo islamico, che per questo ebbero spessore e storicità). Si svilupparono le scienze, sia perché i maggiori scienziati furono maestri sufi (si pensi al turco Avicenna dal cui Canone dipese gran parte della medicina europea), sia perché le scienze vennero insegnate nelle Università, che furono appunto istituzioni sufiche (si rammenti che la più antica Università al mondo, ancor oggi attiva, è quella di âlAzhar, al Cairo). I maggiori architetti musulmani furono maestri sufi, e così i maggiori calligrafi, i più importanti miniaturisti, e musicisti, sociologi, psicoanalisti.

Ciò comporterebbe anche il trattare del rapporto esistente tra maestro e discepolo, e delle virtù spirituali che il maestro ingenera nell'animo dell'allievo grazie a un processo alchemico [e sulla base della psicoanalisi, presente nel Sufismo da mille anni].

Oltre alla poesia sufi - che generalmente contiene immagini relative a diverse attitudini e stati spirituali (ahwàl) dell'anima nella sua ricerca del divino -, quasi tutti i trattati sufi si occupano dei punti sopra accennati. Alcuni sono più nettamente dottrinali, altri più pratici; altri sono descrittivi e tentano di presentare un modello da imitare, piuttosto che impartire direttive immediate. La vasta letteratura sufi - in lingua araba e persiana soprattutto, ma anche in molti altri idiomi di genti musulmane come il turco, l'urdu, il bengali e il sindhi - è come un vasto oceano i cui flutti procedono in direzioni diverse e con diverse forme, ma che ritornano sempre all'elemento puro e semplice da cui sono sorti.

«Come il respiro che anima il corpo, il sufismo ha infuso il suo spirito in tutta la struttura dell'Islàm, sia nelle manifestazioni sociali, sia in quelle intellettuali. Le Confraternite dei sufi, poiché sono corpi ben organizzati entro la più ampia matrice della società islamica, hanno esercitato il loro influsso durevole e profondo su tutta la struttura della società, benché la loro funzione primaria fosse stata quella di custodire attraverso i tempi le discipline spirituali e renderne possibile la trasmissione da una generazione all'altra. Sono poi state affiliate al Sufismo anche organizzazioni iniziatiche secondarie, che andavano dagli ordini cavallereschi - ai quali competeva la sorveglianza delle frontiere islamiche - alle corporazioni e ai diversi gruppi artigiani associati nelle futuwwàt, e risalenti alla persona stessa di `Alì bn Abì Tàlib, cugino del Profeta. Non è possibile compiere uno studio approfondito della società islamica senza prendere in considerazione queste "società entro la società", specialmente nei periodi in cui la struttura sociale esterna si fece più debole, per esempio durante l'invasione mongola nelle terre orientali dell'Islàm. Né sono comprensibili molti problemi della storia islamica, per esempio la diffusione dell'Islàm in Asia o la trasformazione dell'Iràn da paese prevalentemente sunnita a paese prevalentemente scì`ta, senza avere presente la funzione fondamentale svolta dal Sufismo.

«Anche nel campo dell'istruzione l'azione del Sufismo è stata profondissima, dal momento che il suo compito fondamentale è l'educazione totale dell'uomo, al fine di farlo giungere alla piena e perfetta realizzazione di tutte le sue possibilità. La diretta partecipazione di molti sufi (ad esempio del ministro selciukide khwàjah Nizàmi âlMulk) alla fondazione di università e di madrase, come pure il ruolo svolto da centri sufi nella diffusione dell'istruzione, rendono l'influsso del sufismo inseparabile dallo sviluppo culturale dell'Islàm. E ancora: quando, durante certi periodi, in alcune regioni il sistema educativo tradizionale fu distrutto, - ad esempio in quello conseguente alle invasioni dei Mongoli - i centri sufi rimasero gli unici depositari anche del sapere ufficiale e accademico, sulla base delle loro conoscenze si poterono ricostruire le scuole tradizionali.

«Nel settore delle scienze e delle arti l'influsso del Sufismo fu enorme, afferma Nasr. Nell'Islàm la tradizione del Sufismo è strettamente connessa allo sviluppo delle scienze, ivi comprese le scienze naturali. In quasi tutte le forme d'arte, dalla poesia all'architettura, l'affinità con il Sufismo è particolarmente marcata. Già in questa vita i sufi vivono come in un pronao del Paradiso, e quindi respirano un clima di splendore spirituale la cui bellezza è riflessa in tutto ciò che dicono o fanno. Per l'Islàm stesso la Divinità è bellezza, e per il Sufismo, che costituisce il midollo dell'Islàm e ne contiene tutta l'essenza, questa peculiarità appare particolarmente accentuata. Non è fortuito che i testi di più elevata qualità e bellezza siano quelli scritti dai sufi.

«Nel campo della letteratura islamica tutto ciò che vi è di più universale appartiene al Sufismo. Lo spirito del Sufismo innalzò le letterature araba e persiana da lirica locale o tuttalpiù epica ai vertici sublimi della letteratura didattica e mistica di portata universale, arricchendo più d'ogni altro l'arabo nella sua prosa e il persiano nella sua poesia. Inoltre molte lingue del mondo islamico strettamente locali raggiunsero l'apogeo in mano ai sufi, e debbono il loro sviluppo e la loro persistenza al genio di poeti sufi.

«La stessa situazione è analogamente riscontrabile nel campo della musica, dell'architettura, della calligrafia, della miniatura. Molti dei principali architetti musulmani sono collegati al Sufismo tramite la simbologia e la Sezione aurea; molti maestri calligrafi e molti miniatori lo furono appartenendo a un Ordine sufico. Per ciò che riguarda la musica, nell'Islàm essa è legittimata e permessa solo sotto forma di concerto spirituale (samà`) precipuo del Sufismo, sicché la tradizione della musica classica araba, iraniana e turca è stata coltivata attraverso i secoli soprattutto dai sufi. Certi sviluppi della grande musica indiana sono direttamente connessi alla pratica del Sufismo. Insomma: i sufi sono "la gente del sapere sapienziale" e "della visione" (dhawq). Non a caso questo termine indica, in arabo e in persiano, anche buon gusto e senso artistico. I sufi sono stati cultori delle Arti non perché ciò costituisce uno scopo del sentiero sufi, ma perché seguire il Sufismo significa diventare più consapevoli della bellezza divina che si manifesta dovunque, e alla luce della quale i sufi, conformemente alla bellezza della propria natura e secondo le norme artistiche della tradizione, creano capolavori che riflettono la bellezza dell'Artefice Supremo».

Secondo il già citato Si Hamza Boubakeur, le componenti della dottrina sufi sono l'amore totale per DIO; la gnosi che superando la conoscenza intellettuale imperfetta e incompleta unisce direttamente il sufi al divino, da cui la certezza della Sua esistenza e dell'impossibilità di capirLo con le sole forze umane; il raggiungimento della conoscenza intuitiva; l'ascesa mistica attraverso una serie di stati e di stazioni, integrati dalla rammemorazione e dall'estasi.

Il cammino che il sufi compie si svolge in dieci tappe, ognuna delle quali ha dieci stadi di apprendimento-comprensione, per un totale quindi di termini-rappresentazioni rammemoranti il filo del cammino da compiere. Ognuno ha corrispondenti versetti coranici a illuminarne i valori. In questo cammino il sufi raggiunge sette gradi d'essere, sette gradi sottili emblematicamente corrispondenti - secondo la descrizione di Simnani - a sette grandi profeti.

Le dieci tappe sono: Inizi, porte, comportamenti, costumi virtuosi, principi, valli, stati mistici, santità, realtà, dimore supreme.

I sette gradi: Nell' arco di discesa, dal macrocosmo al microcosmo, dal divino all'anima, sono l'essenza divina, la natura divina, il mondo dell'informale, il mondo dell'immaginale, il mondo della percezione spirituale, il mondo delle forme, il mondo della natura e dell'essere umano.

Nell'arco di ascesa, quello che compie il sufi per giungere dal sé a Dio, i sette gradi evolutivi sono emblemizzati da sette profeti, e dalle relative descrizioni nel Corano. La matrice del corpo, nell'acquisizione di una matrice embrionale d'una forma nuova non fisica, è rappresentata da Adamo.

Il secondo grado (senso vitale) corrisponde all'anima animale, o psiche, terreno di lotte quali provò Noè nei confronti del suo popolo.

Il terzo grado (il cuore) è quello del cuore spirituale, perla all'interno della conchiglia, comprensione del sé autentico allo stato embrionale. Questo sé spirituale è simbolizzato da Abramo, poiché Abramo era l'intimo di Dio.

Il quarto grado (il limite del sovracconscio) è il Segreto, il punto del sovracconscio, dei monologhi spirituali quali quelli di Mosé.

Il quinto grado (lo spirito) è un raggiungimento nobile della spiritualità, quale alterità divina, ed è il Davide dell'essere.

Il sesto grado (l'ispirazione) è appunto l'accoglimento in sé dell'ispirazione, ed è simbolizzato da Gesù, perché fu Gesù che annunciò il Nome.

Il settimo grado (la Verità), quello dell'ultimo organo sottile attivato alla fine di questo percorso, corrisponde al centro divino dell'essere, al Sigillo eterno, alla realtà trascendente e immanente di ogni essere umano, ed è simbolizzato dal Profeta Maometto, poiché egli fu il Sigillo della Profezia.

Al fine di percorrere correttamente e compiutamente questo cammino verso la più alta comprensione della Divinità, i Sifi posero in atto anzitutto una lettura equilibrata del Corano, perché il Corano, senza interpretazioni interessate e faziose, predica la pace, la fratellanza, il buon comportamento, il rispetto per tutti coloro che credono in Dio pur nella diversità delle molte religioni. Il Corano, infatti, invita ad accettare tutti i Profeti, quelli a noi noti e quelli a noi ignoti, perché tutti, anche se in forme e con linguaggi e nomi differenti, sono stati inviati da Dio.

I Sufi, quindi, sono i mistici dell'Islâm, sin dai primi secoli dell'Islâm organizzati in Confraternire regolari. Pensate a una rosa: si erge su di un gambo tutto spine. Gli integralisti ne afferrano il gambo; ma l'Islâm è il fiore, splendido nei suoi molti petali, e il profumo del fiore è il Sufismo.

Quale ragione il Sufismo ha ancor oggi d'essere, dopo tanti secoli di vita?

Oggi viviamo in un momento socio-economico-politico tra i più difficili, come lo è di tutti i grandi periodi storici di transizione. Si conclude l'era industriale (anzi: siamo già nel post-industriale), si apre l'era informatica. Gli interessi economici, e il depauperamento dei valori etici, conseguenza dell'industrializzazione delle coscienze, mostra la trama; il "potere del denaro" s' è consumato sino alla corda, e lo splendido tappeto d'un occidente ricco ed egoista ha oramai perso tutti i suoi colori.

L'industrializzazione iniziò in Inghilterra nel Settecento; si conclude negli Stati Uniti d'America con l'inizio del Terzo millennio. L'informatica non sorge del tutto nuova: come sistema binario era da millenni prerogativa della cosiddetta "razza gialla", e proprio dell'Estremo Oriente è oggi già prerogativa saliente.

Tra questi due poli d'un "potere economico" che privilegia i valori materiali, si pone un terzo polo, necessario all'equilibrio d'ogni società, d'ogni cultura: quello dello spirito. Facendo una panoramica delle religioni maggiori, i Sufi riconoscono che l'Ebraismo è la religione della SPERANZA, il Cristianesimo è la religione dell'AMORE, l'Islâm è la religione della FEDE. Ed ecco: questo è il terzo polo, equilibrio delle vicende umane in tutta la loro estensione: la Fede, la Speranza e l'Amore, origini della mistica, della spiritualità, dei valori sublimati che ci conducono alla comprensione di Dio, nostro Signore unico ed assoluto, il Creatore di tutto. La comprensione dei "valori dell'altro", il giusto equilibrio fra tolleranza e reciproca conoscenza, sono i valori eminenti che possono restituire al mondo, dopo due millenni di incomprensioni e di lotte fratricide, la pace cui tutti gli "uomini di buona volontà" ambiscono.

Da secoli questo senso mistico è stato portato dai Sufi a tutte le genti. L'etica dei Sufi, come giustamente osserva il giudice Said âlAshmawì, grande giurista islamico contemporaneo, «afferma che la religione non può essere utilizzata come politica poiché la religione eleva mentre invece la politica corrompe, limita, divide, uccide». Non si può accettare una formula religiosa spinti dall'ignoranza, dalla paura o dal preconcetto. La vera religione - nel mio caso l'Islàm vero - si basa su due principi: fede in Dio e rettitudine nel comportamento. L'etica del Sufismo è da secoli impegnata in questo conseguimento, e propone risoluzioni eminenti alla ricerca di identità cui attualmente tende l'Islàm contemporaneo, che nelle plurime e a volte perfino aberranti o inquinate manifestazioni oggi rischia di allontanarsi dai precetti coranici, così come ne sono lontani (pur proclamandosi invece musulmani) alcuni capi di Stato del periodo attuale. Il vero Islâm avvicina l'uomo a Dio attraverso l'avvicinamento dell'uomo a tutti gli altri uomini, grazie alla tolleranza per ogni pensiero differente dal proprio, al rispetto per l'individuo ma anche per i suoi diritti e per il suo ambiente. Sin dal XII° secolo i Sufi hanno propagandato il motto «libertà, eguaglianza, fratellanza». Questo nonostante le persecuzioni da parte di dittatori, ulema corrotti, teologi limitati. Persecuzioni che sono state esemplate dal martirio, in `Irâq, di âlHallaj (858-922), uno dei poeti mistici più eminenti dell'umanità tutta.

Rûmî scrisse: «Le vie sono diverse, la meta è unica. Non sai che molte vie conducono a una sola meta? La meta non appartiene né alla miscredenza né alla fede; lì non sussiste contraddizione alcuna. Quando la gente vi giunge, le dispute e le controversie che sorsero durante il cammino si appianano; e chi si diceva l'un l'altro durante la strada "tu sei un empio" dimentica allora il litigio, poiché la meta è unica».

Questo non è "superamento" della religione, ma "rispetto" d'ogni religione, come insegna lo stesso Corano, e la chiave di volta è il dialogo. Il dialogo ha come scopo la scoperta dei valori comuni, il rispetto dei valori altrui, l'acquisizione del concetto che se rimaniamo ciascuno con la propria conoscenza possediamo una conoscenza ciascuno, ma se acquisiamo anche la conoscenza dell'altro possediamo due conoscenze.

Rûmî espresse tutto ciò in una semplice quartina, posta oggi all'ingresso della tekké da lui fondata a Konya (Turchia) nel tredicesimo secolo:

«Vieni, vieni, chiunque tu sia vieni.
Sei un ateo, un idolatra, un pagano? Vieni.
La nostra non è la casa della disperazione,
e anche se hai tradito cento volte una promessa... vieni
».

Tutto ciò non comporta, dunque, l'abolizione delle regole, di nessuna regola. Solamente occorre capire che se si accettano le regole, occorre accettare anche le eccezioni. Che tutti coloro che in un modo o nell'altro sono rigidamente legati ad un qualsiasi integralismo limitante e settario, e che per conseguenza ignorano i principi stessi della propria cultura sdegnando al contempo le culture altrui, ci riflettano sopra.

 

 

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