Il
concetto di follia nell'Īslām
del professor dottor
Gabriele Mandel Khān
Il folle: in arabo majnūn (plurale majānin): "il posseduto dai jinn". Nei
tempi preislamici il folle era dunque considerato un posseduto dai jinn, dagli spiriti. Su
questa base il termine si adattņ lungo i secoli sia alle alienazioni mentali, sia agli
stati estatici, alle passioni folli, al misticismo dei profeti ispirati da Dio. Per contro
la "sete di Dio" dei Sufi si dice: Junūn īlāhī: follia divina.
** Jalāl ālDīn Rūmī (1207-1273), il pił grande poeta mistico
dell'umanitą tutta, scrisse: «Lo spirito profetico ha anchesso delle azioni
conformi alla ragione; ma lintelletto non puņ percepirle, poiché quello spirito č
troppo elevato. A volte, si considerano follia queste cose, a volte si č presi da
smarrimento; poiché ciņ dipende dal fatto che si diventi questo o quello.»
Vi furono quindi cinque differenti interpretazioni, in merito agli stati alterati della
psiche, che alcuni studiosi considerarono forme diverse di follia: devianza psichica,
esaltazione d'amore, momento di ispirazione poetica, stato estatico del mistico preso da
Dio, ispirazione profetica.
Tuttavia mi par oggi interessante vedere come la medicina islamica si sia occupata della
follia nell' ambito clinico, poiché fu questa una precipua scienza in cui
precedette di molto l'Europa, e con qualitą eminenti, anche se parte dell'Europa d'oggi -
quella poco colta imbevuta di preconcetti - pensa all'Īslām come a una cultura quasi da
analfabeti e priva di qualsiasi valore.
In un primo periodo di formazione, la Medicina islamica risulta dalla sintesi delle
medicine ippocratea e galenica (esercitate soprattutto ad Alessandria dEgitto),
iraniana e indiana (presenti nella cittą sasanide di Giundishapur, principale scuola del
Tardo Antico). Vi si innestņ La medicina del Profeta (Tibb ālNabī); poi il centro si
trasferģ a Baghdad, con una serie di traduzioni dei codici antichi delle varie scuole,
dalle lingue greca, pehlevica e sanscrita, e con una costante elaborazione dei dati via
via raccolti ed efficacemente vagliati. Si stabilģ anche un basilare vocabolario tecnico.
Un secondo apporto considerevole fu costituito dalla istituzione degli Ospedali
(Bimaristan o maristan, da bimar: malato; o anche dar ālMarda) e, susseguentemente, dei
Manicomi. Il primo Ospedale dell'antichitą venne creato nel 707 a Damasco dal califfo
ālWalid Mansūrī, ed č attivo ancor oggi. Celebre fu in tutto il mondo islamico
lOspedale Nūrī, fondato a Damasco nel XII secolo. Nell821 il
governatore Abbaside del Khurasan scrivendo al figlio diceva che in quella regione
turco-iraniana esistevano numerosi ospedali. Dal 790 comunque la capitale medica fu
Baghdad, con dieci ospedali, che due secoli dopo erano sessanta, ciascuno con farmacie,
biblioteche anche pubbliche, reparti vari. Una grande Facoltą di Medicina, detta Bayt
ālHikma (Casa della Saggezza), fu quella fondata a Baghdād nell832 dal settimo
califfo abbaside Hārūn ālRashīd. Questa Facoltą pubblicava un Giornale dei
casi, ed aveva sezioni speciali per gli alienati.
Il primo manicomio specifico venne fondato da Nūr ālDīn Mahmud Zanjī ad Aleppo poco
dopo il 1157. Rifatto nel 1260 dal mamelucco ālNasir, era diviso in tre sezioni: inizio,
cura, cronici. Altri importanti manicomi notevoli anche dal punto di vista architettonico
furono quello turco di Divrigi, creato nel 1228, per ordine della principessa Turan Malk;
e quello di Edirne, un tempo capitale dellImpero ottomano, fatto erigere da Beyazit
II° nel 1498, e nel quale, come scrisse anche il famoso storiografo turco Evlia
Celebi, vi si praticava anche la musicoterapia, la cromoterapia e l'idroterapia per la
cura degli stati schizofrenici.
Veniamo ora ad alcune grandi figure della Medicina islamica. `Alī ālTabarī scrisse
nell850 la prima opera medica importante: IlParadiso della sapienza (Firdaus
ālHikmah). Il discepolo di Tabarī, liraniano ĀbūBakr Muhammad ālRazī (854-925
o 935), fu massimo fra i clinici, abile nella prognosi e nellanalisi dei sintomi,
eccellente anatomopatologo. Fondatore dell'ostetricia, primo descrittore del vaiolo e del
morbillo, con lui nasce la Medicina clinica modernamente intesa. Uno dei suoi testi, il
Kitāb ālHāwī fi ālTibb (molto diffuso in Europa col titolo Continens, e stampato a
Brescia nel 1486) č lopera pił voluminosa in lingua araba. Vi sono compresi 4
capitoli sulla psichiatria, ma anche uno studio sulleffetto placebo e sulla prassi
psicosomatica. Nel suo Sīra ālFalsafiyya (Medicina spirituale) ben venti capitoli
riguardano lambito psichiatrico e trattano della follia.
Primo trattato di rilevante importanza nell'ambito specifico della psichiatria fu quello
di Najab ālDīn Ūnhammad di Samarcanda, dellVIII secolo. Seguģ poi, nellXI
secolo, il Risalah fi ālTibb wa ālAhdat ālNaf saniya di Ābū Sa`yd bn Bakhtyshū`, in
cui si trattava di olistica, psicosomatismo e somatopsichismo.
Tutti questi eminenti medici vennero perņ superati da Avicenna e dal suo Canone,
lopera pił letta, pił influente, di grande penetrazione clinica. Avicenna (Ībn
Sīnā, Ābū `Alī) nacque nel 980 ad Āfshana di Bukhārā (Uzbekistān, terra turca).
Non era affatto "arabo", come alcuni scrittori italiani hanno detto, bensģ
della tribł turca delle Sette frecce di cui sua madre era una principessa. Morģ nel
1037. Egli scoprģ i sistemi della tubercolosi e del diabete, studiņ a fondo la
psicologia umana, e formulņ le basi per la corretta comprensione del funzionamento del
corpo umano. Il suo Qānūn (Canone) si compone di 14 volumi suddivisi in cinque
argomenti, e fu testo di studio anche nelle Universitą dellEuropa cristiana sino al
XVIII secolo. In ambito psichiatrico, vi troviamo ampi capitoli su frenite, delirio,
letargia, caroco, apatia, melanconia. Egli distingue correttamente la paura (ansia) dalla
depressione; e dettņ le istruzioni di base per lepilettologia.
* Nell'ambito della devianza psichica, la pił descritta č la depressione: nel Kitāb
ālĀzmina di Ībn Māsawayh (793-857), nel Kitāb ālHudūd di Ābū ālĀsh`ath
(886-970), nel Siwān ālHikma di Īshāq bn Hunayn del 902, e cosģ via. Lo
psichiatra Īshāq bn `Imrān, morto nel 970, scrisse il Maqāla fī ālMālīhūliyā
(Trattato della Melanconia), tradotto poi in latino da Costantino lAfricano.
Lautore distingue tristezza, ansia, angoscia, disturbi psicosomatici e
somatopsichici; e tratta di psicoterapia e di medicine appropriate.
* Nel X° secolo limportanza dellambiente nella formazione
dellindividualitą personale era gią nota al sufi Īshāq ben `Imrān (?-970), che
nel suo Trattato sulla melanconia scriveva: «Tanto pił subiamo quanto meno siamo. Se un
pittore č un artista, intingendo un dito in un calamaio e sfregandolo su un foglio di
carta, qualsiasi cosa faccia farą arte; il pittore che non č un artista, per quanto si
applichi non farą mai arte. Essere č ben pił importante di fare. Quanto pił un essere
umano č libero da condizionamenti (termine originale: freno ideologico imposto alla
psiche), da preconcetti (termine originale: concetto artificioso imposto alla psiche), da
imposizioni genitoriali e da pregiudizi (in arabo āwhām), tanto meno deve subire
limposizione del mondo esterno.»
Mille anni or sono il maestro sufi Ābd āl`Adhīm Karrāni, direttore del Manicomio di
Divrigi, in Turchia, scriveva: «Pensate a una tavola di legno, lunga sģ, ma larga non
pił di venti centimetri. Poggiata per terra, io stesso ci cammino sopra con noncuranza, e
cosģ, penso, tutti. Se con dei mattoni la sollevo a venti centimetri da terra, ci
camminerei sopra ancora, ma qualcuno lo farebbe con una certa titubanza. Sulla stessa
asse, posta a venti metri da terra, io non camminerei affatto, e ben pochi lo farebbero, a
meno che non siano funamboli provetti. Ecco: la collocazione dellasse č essenziale:
č sempre la stessa asse, ma se la sua posizione varia, varia del tutto il nostro
atteggiamento. La posizione dellasse č ciņ che noi possiamo chiamare
ambiente. Va da sé che lambiente č determinante.» A corollario di
tutto ciņ, nell'ambito della psicoterapia intervennero anche i numerosissimi manuali per
l'analisi del sogno, a partire da quello di Muhammad bn Sīrīn (VII secolo): Il
libro del sogno veritiero.
Oggi per intenderci ipotizziamo la sussistenza di un carattere e di una personalitą;
distinzione e termini gią presenti nel Sīra ālFalsafiyya (Medicina spirituale) del
trattatista iraniano Ābū Bakr ālRāzī (854-925). Ne precisņ le diversitą Hibatullāh
bn Jāmī (1112-1198) nel suo ālĪrshad li-Masilih ālĀnfas wa ālĀjsad (Disposizioni
che interessano le anime e i corpi). Egli vi affermava che il carattere si forma in base
alle istanze ricevute dal mondo esterno, in particolare a causa dei ricatti morali
(ālĀntaqām ālĀdabī), delle ingiunzioni negative e delle disconferme; mentre la
personalitą si forma in base alle interpretazioni personali delle istanze del mondo
esterno, interpretazioni nostre a volte del tutto errate. Interpretazioni personali che
danno origine a quelle che nel XII° secolo Ībn Tufayl (?-1185) definģ nel suo Lessico
dei termini medici: i nove credo base.
Per i sufi infatti le pulsioni dellinconscio (chiamate a volte impulsi,
a volte spinte: dafashatūn, daf`atūn), si dispongono su tre gradi. Primo
grado: respirare, bere, mangiare, guardarsi intorno, pensare per coordinare i movimenti;
secondo grado: pulsione sessuale; terzo grado: arte, fede, civismo. Per inciso: i sufi
indicavano lInconscio, lIo e il super-Io coi termini lanima che comanda
(nafs ālĀmmāra), lanima razionale (nafs ālNātiqa) e lanima che biasima
(Nafs ālLawwāma). A loro volta questi tre stati erano divisi ciascuno in tre stati,
suddivisi ancora in azione positiva e azione negativa. In tutto diciotto stati della
psiche, ognuno dei quali con un nome specifico. La suddivisione in inconscio, Io e
super-Io tracciata da Sigmund Freud era vecchia dunque gią di mille anni.
Ci troviamo cosģ, in ambito islamico, davanti a una somma considerevole di prospezioni
mediche, di applicazioni scientifiche, di manicomi organizzati che erano all'avanguardia
nella specifica scienza sia dal punto di vista temporale che da quello qualitativo.
L'argomento tuttavia non č esaurito. A mo' di esempio cito due passi di scrittori
non medici, ma mistici. Dice il Bahram Elahi (XII° secolo): «Sulla terra i
sistemi del nostro organismo spirituale funzionano generalmente in stato di squilibrio.
Questi squilibri generano conflitti interni, fonte di malessere. Lessere umano č
dunque costantemente nel malessere, anche se a volte non ne č consapevole. Molti han
fatto labitudine a questo male onnipresente e credono di vivere nel benessere, ma il
loro benessere č simile al benessere transitorio dun malato nei periodi in cui il
suo male si calma. Questo male collettivo ha per origine lo squilibrio delle unitą
caratteriali del nostro organismo spirituale.» E Shihāb ālDīn Suhrawardī (1155-1191):
«Ogni testo dun grande maestro sufi che indica la Via, che ci conduce dalla nostra
animalitą alla perfezione dellessere illuminato (ālInsān ālāamil) č un
trattato di psicologia tra i pił completi e profondi. Ogni maestro sufi che conduca gli
adepti sulla via delle maggior comprensione di Dio compie una azione psicoterapeutica di
considerevole profonditą e potenza.»
Queste due brevi citazioni ci indicano chiaramente che in ambito musulmano la follia č
stata profondamente studiata sia nel campo della medicina, sia anche nelle valenze
suaccennate spirituale, mistica, religiosa e... perfino magica (non va dimenticato infatti
che per il Sufismo: 1°) la superstizione č precipua della nevrosi; 2°) che i cosiddetti
maghi, o fattucchiere, o cartomanti se sono in malafede sono solo degli imbroglioni senza
potere alcuno, e se sono in buonafede sono solo dei paranoici; e la paranoia č il primo
degli aspetti della psicosi, o follia). La follia č comunque un mondo da esplorare cui
l'esiguo spazio di una conferenza toglie anche la possibilitą perfino di accennare, fosse
anche per sommi capi. L'importante č sapere che questa ricchezza sussiste, ed č alla
portata di chi, con mente libera e senza preconcetti inibitori, vuol vivere l'avventura
del sapere ed esplorare non solo i luoghi bui della nostra psiche, ma anche quelli
luminosi della conoscenza.
Come abbiamo visto, i Sufi svilupparono sin da mille anni or sono, teorie e pratiche di
psicoterapia che li portņ ad aprire e a gestire i primi manicomi, e inoltre ricercarono e
prescrissero farmaci adatti alla terapia psichiatrica, quali il carbonato di litio e il
rubidio, come ha dimostrato esaurientemente il professor Domenico De Maio nel suo La
malattia mentale nel Medioevo islamico. In base a ciņ non fa meraviglia leggere nei
trattati sufici che il concetto di peccato e di colpa siano stati affrontati in modo
disinibito. Non ci meravigli, allora, il fatto che lungo il corso dei secoli i Sufi
si siano caratterizzati per un comportamento che spesse volte ha suscitato il biasimo
degli ulema tradizionali e ortodossi, un comportamento libero da inibizioni, preconcetti,
aderenza alle regole genitoriali o, se vogliamo, un comportamento in effetti "adulto
e maturo".
Risulta evidente che il carattere bizantineggiante delle discussioni teologiche tese pił
a definire parametri quantitativi di giudizio e di analisi, piuttosto che a definire il
senso di colpa secondo un valore psicologico. Sul versante opposto i trattatisti sufi
hanno sublimato il concetto stesso, rivestendolo di precise "posizioni" (ahwąl:
tappe, gradi, stati) per l' evoluzione del Sé (sino all' Insan alKamil: l' uomo
completamente realizzato) e il relativo ravvicinamento a un concetto di Dio che non č
quello comune; anzi: differente da qualsiasi definizione di Dio che non sia quella sentita
a livello sovraffenomenico del sufi stesso, e che comunque mai puņ venir comunicato, e
perciņ mai puņ essere descritto.
Rimane il fatto che in generale i sufi predicavano il totale recupero di questo Sé,
liberato da preconcetti e da inibizioni; predicavano la presa di coscienza della propria
debolezza, quale granello di polvere a fronte dell' infinita realtą incomprensibile del
Divino; la padronanza del Sé, partendo anzitutto da una costante vigilanza nei propri
riguardi (muraqaba). Da alMuhąsibģ ad alGhazząlģ, i grandi Maestri sufi insistettero
particolarmente sull' esame di coscienza (muhąsaba), base d' ogni ulteriore passo verso
la liberazione d' ogni tipo di senso di colpa purificando il proprio Io (in particolare
nell' Ihyą' culłm alDģn di Ghazząlģ, 336-361). L' anima, scrisse alGhazząlģ, «č
come uno specchio, offuscato e roso dalla ruggine, che occorre pulire e allisciare,
affinché il mondo superiore vi si possa riflettere. La ruggine č anzitutto generata
dalle paure terrene, pura sporcizia senza senso e senza realtą effettiva; e per prima c'
č il senso di colpa».
Ed ecco, allora, la soluzione del problema: la Fede. Come si puņ intendere ciņ in modo
palpabile? Praticando il rito precipuo dei Sufi, il dhikr.
Lascio allora la parola a un poeta sufi, lo sheykh Ahmed ben Mustafā āl`alāwī
(1869-1934), perché ci conduca per mano in questa via alla comprensione. Egli ha scritto
una poesia che ora vi leggo. essa va accuratamente meditata e compenetrata, perché tocca
una realtą d'oggi, quanto mai aberrante e aberrata. La poesia ha come titolo:
Il dhikr č origine d'ogni bene
Il dhikr č origine d'ogni bene.
O come sono stato negligente e ho perduto tempo.
E quei giorni sono perduti; che fare ora?
Da oggi debbo approfittare del mio tempo
e menzionare Dio sinceramente;
presente con il cuore e con la coscienza.
Il dhikr č migliore della vendita, dell'acquisto.
Ah, se riuscissi a dirvi ciņ che esso vale!
Vale pił della regalitą e del ministero
ma la gente lo disdegna:
tutto questo mondo č in perdita;
ha invaso ciņ che č giusto e ciņ che č ingiusto;
(il Signore ci preservi dal suo fuoco),
e temo che la mia anima ne diventi cavalcatura
diventando prigioniera tra i suoi artigli.
Dopo il Patrocinio divino e le buone virtł
il dhikr č origine d'ogni bene.
Mio Dio: i mali si sono sparsi in ogni luogo,
e il dhikr č diventato cosģ pesante per le lingue!
La gente si č data a comportamenti bizzarri,
e cosģ i loro stati sono molteplici e vari.
La Ricerca č immersa nelle ricerche
perché la sinceritą č del tutto rara.
La gente ha il cuore duro.
I buoni consigli sono vani per i maestri del peccato;
e io sono stanco d'avvertire.
Che valgono mai le mie parole a paragone di quelle dei profeti?
Il dhikr č origine d'ogni bene.
Colui che dorme puņ essere risvegliato,
ma colui che č morto rimane insensibile;
per lui i discorsi non hanno senso alcuno,
e io sto costruendo sulla sabbia.
Il comportamento della gente puņ rendere insensati,
la gente s' acquista la collera di Dio, corre alla propria rovina;.
e cosģ il suo giorno sarą un grande giorno.
Il giorno del Giudizio finale, che tragedia!
Ah, se sapessi quello che accadrą!
Se riuscissi a dirtelo fuggiresti il peccato.
Il dhikr č origine d'ogni bene.
Pentiamoci, fratelli,
e insieme menzioniamo Dio.
Nell'altra vita č tutto ciņ che troveremo,
e il tempo č tanto raro, non sciupiamolo.
Il dannato verrą giudicato da Dio,
eppure, rifiutando ogni consiglio, non vuole ascoltare.
Disobbedisce a Dio commettendo gravi peccati.
Il richiamo č utile e benefico per il credente,
fortifica il suo cuore e la sua coscienza,
e cosģ conoscerą la serenitą dopo aver conosciuto l'umiliazione del peccato.
Il dhikr č origine d'ogni bene.
Dio mo, assisti questa comunitą,
affinché pratichi il bene e la virtł!
Sostituisci gli atti cattivi con atti buoni,
ed elargisci a questi Tuoi servi il Tuo perdono!
Per noi e per tutte le creature il Tuo perdono
č necessario, perché siamo tutti deboli,
e io vorrei pentirmi, o Onnipotente
Quante cattive azioni ho commesso in pubblico e in segreto,
e la gente pensa che io sia buono.
Se la Tua grazia non mi avesse invaso e non si fosse manifestata in me...
Il dhikr č causa d' ogni bene.
Tu hai reso le mie parole veritą,
ed esse son trascritte in alcuni libri.
Si manifestano alla gente come uno zefiro,
persuadono anime e cuori.
L'uomo sincero le desidera;
o mio Dio, nascondi i nostri difetti
ālcalāwī lo spera.
Dio mio, soccorrici nel momento della nostra morte
con l'Annunciatore della buona novella, l'angelo Veridico,
e cosģ sia per i miei, per i presenti, per tutti gli uomini di buona volontą.
perché il dhikr č origine d'ogni bene.
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