Diceva il Vecchio Abu Muhammad'Abdallah figlio di  Al Fadl: " Fa meraviglia colui che attraversa le valli, i deserti e le pietraie per giungere fino al santuario della Mecca, in quanto vi si trovano le tracce del Profeta di Dio. Perchè allora non attraversa la sua anima inferiore e le sue passioni, finchè non giunge al proprio cuore,dove si trovano tracce del suo Signore?"

Abdallah al-Yafi'i (il giardino dei fiori odorosi)    

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La ritualità nell'Islam

Venturi Nazzareno,  prof. in scienze psicopedagogiche e storico-religiose

 1999 (La Spezia corso IRRSAE)

premessa

Uno degli elementi coesivi di ogni comunità sta nel rito. Eseguire gli stessi riti significa partecipare ad uno stesso credo, identificandosi in una base comune. La ripetizione generazione dopo generazione del rito offre la sicurezza psicologica di qualcosa che sopravvive alla morte dei singoli. Una realtà esteropsichica che sorpassa l’individuo e rimane nel tempo. Quindi una forma di identità collettiva. Ma perché sono nati i riti? Nessuno di noi c’era per farci un reportage ma mute testimonianze vagliate da archeologi ed antropologi permettono diverse deduzioni il cui realismo (è successo veramente così?) non sempre è confermabile. In linea di massima, comunque, considerando anche la ritualità dei popoli allo stato primitivo, i riti servivano a scandire il rapporto dell’uomo con la natura (sia nelle fasi dell’agricoltura che della caccia) e dei momenti della vita dell’individuo nel clan (iniziazioni) dalla nascita, alla maturità, al matrimonio al funerale. Il rito insomma rende significativo il tempo, lo inquadra in momenti importanti relazionandolo a una dimensione sacra e spirituale. Questo è quanto differenzia le ritualità sociali umane da quelle presenti nel comportamento animale, (è sufficiente pensare alle danze che alcuni uccelli compiono prima dell'accoppiamento). Il rito che caratterizza l’uomo, diversificandolo dalle altre creature del pianeta, evidenzia la sua esigenza di mettersi in rapporto con l’aldilà, con un mistero che trascende il corporeo e la materia. Non sappiamo quando nel corso della sua evoluzione l'uomo ha percepito o ritenuto di non concludere se stesso col corpo, con la vita dei sensi, quando ha sentito o comunque supposto che la natura e la vita non finivano nel dato fenomenico, in ogni caso finì per acquisire una consapevolezza inconscia più vasta e profonda di quella fornita dai sensi ed espresse quelle nuove pulsioni interiori  vuoi con l’arte  vuoi col rito. Il rito quindi può essere inteso come forma di una realtà emotiva e d immaginale interiore, di un contatto con l’invisibile, col mistero. Questo è il suo senso, la sua nascita che la sua liturgia, una volta ripetuta meccanicamente può far dimenticare. E’ nato come un mezzo per appetire all’inconscio, ha preso un modello o categoria espressiva e può morire quando diventa un fine (una riproduzione gestuale senza più significato e partecipazione interiore come un corpo senza vita), Questo è l’elementare, l’abc, il primo livello dal quale si può iniziare a descrivere i riti di una religione senza dimenticarne la viva sostanza.

Nell’Islam non esiste una gerarchia  facente  tramite col divino. Ogni musulmano è sacerdote in quanto compie il rito da sé, senza intermediari. Il suo rapporto con Dio ( e ricordiamolo: Al-Lah è un termine arabo che significa "il divino", per cui anche un cristiano arabo dirà che crede ad Allah ) è diretto, a Lui chiede aiuto ed in Lui si confida. Certo esistono nell’Islam teologi e persone che per le loro conoscenze (per esempio della lingua araba) guidano la preghiera comunitaria del venerdì (l’imam di una moschea) e interpretano, secondo la loro scuola, il Corano e la legge (schari'ah) ma non rappresentano altro che una funzione all’interno della comunità islamica (umma), non un "ordine religioso" investito di particolari privilegi spirituali. Solo nelle confraternite del misticismo islamico si può parlare di trasmissione di grazie (baraka), di autorizzazioni a certi servizi spirituali come a insegnare o ad iniziare altri, ma non c'è una  gerarchia  intesa come scala di potere e prestigio ( così è vissuta tra alcuni gruppi di selvaggi e in genere tra gli animali a sangue caldo, dai polli ai lupi e agli scimpanzè) ma plurime funzioni dove tutti sono fratelli e ricercatori in Dio. Il maestro è l'esempio, la saggezza psicoterapica di chi guida l’allievo alla realizzazione del Sé e quindi al divino che è già in lui. Conta insomma soprattutto l’uomo, il suo armonizzarsi col Principio. Ogni muslim si abbandona completamente a Dio (da cui il termine Islam) ed in questo rapporto tutti sono uguali, poiché davanti all’Infinito non c'é qualcosa di più o di meno, cambia certo il modo percettivo di ognuno. Per dirla coi sufi cambia lo specchio, più è pulito e levigato più riflette la realtà. Per percepire l'Anima la mente deve essere evoluta e sgombra da devianze. Secondo l’islam ognuno nasce musulmano, ossia con l’esigenza di Dio, sentito come Unico, con questa Luce da riscoprire.

La testimonianza: "non c’è Dio all’infuori di Dio e Maometto è il suo profeta"   costituisce il primo (obbligatorio) dei cinque pilastri della fede e della ritualità islamica. Per il musulmano pronunciarlo significa ritrovare l’innata predisposizione dell’anima a riconoscere l’infinità divina ed il Suo rivelarsi nei mondi ( nella prima sura coranica, è detto: "sia lode a Dio Signore dei mondi" il cui riferimento può significare sia altri mondi abitati sia tutti gli stati della Manifestazione) attraverso i libri sacri e i testimoni da Lui illuminati (profeti). Il profeta dell’Islam infatti è tra le Guide, non l’unica, dell’umanità. Il Corano afferma che Dio ha dato ad ogni popolo il suo messaggero, e che se avesse voluto  le genti sarebbero state unificate in una sola religione. Da qui l'inerente senso del dialogo  interreligioso del Corano ribadito in tre punti: "cristiani, ebrei, sabei e chiunque compia il bene e creda nel divino quegli avrà il suo paradiso e non sarà leso da nulla" (2,62- 5,69- 4,124) . Sottolineo "chiunque compia il bene"  ricordando anche l’episodio dell’esorcista straniero citato dal Vangelo di Marco ( 9,38-41) e Luca ( 9,49-50) con lo stesso concetto: Che differenza fà se è dei nostri o meno? L'importante è che faccia il bene! Anche Gesù, come Mosè ed Abramo e quindi tutti gli illuminati d’ogni popolo, esplicitamente o meno nominati dal Libro, fanno parte del disegno profetico, così come i libri sacri, precipuamente la Bibbia (Thorà) ed il Vangelo: tutti i testi ispirati, nominati o meno, rientrano nel Corano la cui "matrice" celeste supera ogni tempo e spazio e la stessa visibilità esterna dei versetti: "Se tutti gli alberi della terra diventassero calami, e il mare ed sette mari ancora fornissero l’inchiostro le parole di Dio non sarebbero esaurite ."(31,27).La Rivelazione è infinita come la sua essenza è infinita.

Il concetto di Dio dell’Islam non ha nulla di antropomorfico, ossia non proietta gli aspetti umani nel divino. I versetti che offrono, forse in modo più esaustivo, dei simboli e delle metafore su di Lui sono questi: "Dio è la luce dei cieli e della terra. La sua luce è simile a una nicchia in cui si trova una lampada. La lampada è in un vetro simile ad un astro sfavillante che si accende grazie ad un albero benedetto: un olivo che non è d’oriente ne d’occidente e il cui olio brillerebbe senza che fuoco lo tocchi,o poco ci manca.Luce su Luce.Dio dirige verso la sua luce chi Egli vuole. Propone agli uomini parabole. Dio conosce perfettamente ogni cosa." (24,35). Luce che diffonde calore (amore) inesauribilmente. La Realtà divina è unica. Nulla può essere affiancato a quanto già tutto comprende, sarebbe solo illusione. Così come ogni numero ha sempre come base l’uno, senza quello nulla esisterebbe. Ogni manifestazione deriva da Lui ed a Lui ritorna. l’Essere stesso non lo limita in quanto egli è l’infinito (lo zero od il vuoto che rende possibile il pieno - concetto identico al Tao). Certo Dio non può essere descritto, la sua percezione è irrazionale, del cuore, è un sentirLo prima di un un pensarLo per quanto la ragione attesti anch’essa la Sua esistenza . Si evita dunque di fare Dio "a propria immagine e somiglianza" in modo antropomorfico come fanno le religioni pagane. L’idolatria è dunque un interporre qualcosa di creaturale o di immaginifico nell’adorazione di Lui. Tutto è nulla preso in sé ma ogni cosa in riferimento a Lui prende senso. Come diceva Platone la Bellezza in sé, od il Bene in sé non stanno in un oggetto od in un’atto ma nel loro riflettere una Realtà che li plasma in modo effimero lasciandone però il riflesso o l’aroma. La rosa è bella ma sfiorisce e torna polvere, ma il senso della bellezza che abbiamo percepito rimane e ci porta alla Bellezza Eterna. Allo stesso modo nell’Islam si parla dei Nomi divini che riflettono i suoi attributi,  dalla Bellezza alla Maestà, Primo ed Ultimo... Tutta la creazione, il nostro vivere e sentire li dispiega per poterne cogliere l’istante dove c'è il riflesso della loro trascendente perennità. I 99 nomi divini sono dunque dei mezzi per arrivare alla sua essenza. Il centesimo, segreto, secondo la tradizione mistica, dà il potere sulla vita e sulla morte ed è conosciuto dai profeti e maestri intimamente assorbiti nella Verità:    nell’Unione ogni dualità cessa e il mondo fenomenico non costringe più nelle sue categorie illusorie. Ma l’idolatria più pericolosa sta proprio nell’ego (nafs), quando il crogiolo di passioni, desideri narcisistici tipici dell’io bambino assorbono, limitano ed asservono la consapevolezza in un’identità fittizia. Certe ideologie moderne solo apparentemente contrapposte, hanno ridotto Dio alla storia umana, (da cui il credo che la nazione o l’etnia ed i loro capi fossero divini) . Esse hanno fatto Dio ad immagine e somiglianza dell’uomo ma non certo in senso biblico. Esse hanno stravolto la naturale predisposizione dell’anima all'abbandono in  Dio (Islam, appunto) finendo per deificare gli aspetti limitati ed egoistici dell’uomo. La venerazione dell’uomo verso i beni materiali, i nazionalismi e le fedi ideologiche particolari, vissute in modo fondamentalistico, pur essendo giocattoli od idoli, hanno la loro forza psicologica in quanto offrono un motivo di identità a chi la cerca fuori di sè, identificandosi con qualcosa o qualcuno.  L'essenziale viene così a essere rimosso finendo per vivere ma come morti: lasciate che i morti seppelliscano i loro morti (Lc 9.60) diceva Gesù. E' necessario uscire da questo mondo di morti per ritrovare l'essenza e con essa la vita, ma solo Dio "trae il morto dal vivo e il vivo dal morto" (Cor. 3,27).

C'è bisogno di preghiera ( le cinque preghiere canoniche), secondo  pilastro obbligatorio, per aiutare a reindirizzare l’uomo al divino che sta sempre nel suo cuore ma può essere percepito col cessare  delle preoccupazioni terrene e delle identificazioni  con le realtà virtuali della mente. Di fronte a Lui c'è solo da abbandonarsi completamente (come è appunto l’atto di prostrazione della preghiera islamica: dicendo Allha akbar: Dio è grande) poiché Egli è il Tutto, rivivendo col corpo l'esprimersi del Principio nella orizzontalità della manifestazione. Nessuno ha il principio della vita in sé, ogni cosa nasce per scomparire e noi siamo in questo flusso. Ma nel rimettersi completamente in Lui, come goccia che si ricongiunge all’Oceano si ritrova il legame originario che ridà senso alla nostra vita e ci rifà scoprire la dignità di ogni vita. Qui è la completezza, qui nulla manca. Spesso la preghiera nasce condizionata dalla paura o dalla riflessione sulla morte. Tutto si lascerà, ricchezze, salute, affetti e nulla  si potrà portare dietro ma cosa importa se in noi c'è già l'Infinito?

Se è vero che la recitazione di una preghiera di qualsiasi religione ha un effetto psicologico emotivo tranquillizzante (come pure la ripetizione formale e meccanica fatta nelle cerimonie offre un senso di identità di gruppo) è pur vero che il suo significato va ben oltre. Essa, quando nasce dal cuore, diventa il mezzo privilegiato per accedere a quel senso intimo di rapporto armonico col Tutto e del divino che lo irrora nella sua Grazia (Barakha). In questi casi la forma stessa della preghiera ha raggiunto il suo scopo  lasciando un silenzio contemplativo, raccolto nella sorgente. Non ci si dimentichi che le parole sono funzionali per veicolare dei concetti o per descrivere degli stati d'animo e che anche la preghiera è composta di termini: l'importante è cosa dicono e la loro finalità.   Ci si può sorprendere davanti ad uno splendido paesaggio, ad una espressione umana di arte, di giustizia e fede in una tacita preghiera. Le parole sarebbero di impaccio, inutili e di distrazione.  Il cuore prega in silenzio, estaticamente contempla. Vita sub specie ateternitats.  E’ la preghiera dei mistici, e lì, siano essi cristiani od ebrei, indù o musulmani, non ci sono più dogmi, forme particolari, confini. Diceva Salomone: i cieli dei cieli non possono contenerti figuriamoci questo tempio che ho fatto costruire per Te (simbolo degli aspetti cultuali e formali di una religione).

L’elemosina legale obbligatoria o zakat, il terzo pilastro, non   può essere ridotto all'espletamento di un dovere burocratico né ad un condizionato atteggiamento pietistico. Fondamentalmente risponde ad un senso civico adulto e responsabile. Se consideriamo che ogni essere in questo mondo è dipendente totalmente dal principio divino (nessuno si è dato l’esistenza da solo: ci troviamo ad essere con una vita "data"e non creata da noi) ne risulta che tutto vive grazie ad un atto di carità. Solo in Dio c’è autosufficienza assoluta. Ma siamo in un corpo dai materici confini che ha incessanti bisogni per sopravvivere. Siamo in una vita dove tutto è interdipendente. Abbiamo necessità di tutto quanto c'è in natura, a cominciare dall’ossigeno prodotto dalla vegetazione marina e terrestre. Solo per ignoranza, il vero male, inquiniamo, disboschiamo, avveleniamo, ci riproduciamo a dismisura distruggendo l'habitat grazie al quale siamo ancora vivi. Abbiamo bisogno gli uni dagli altri al di là dei ridicoli confini etnici e geografici. Per sopravvivere ci scambiamo quello che facciamo: da qui i diversi mestieri e l'operare umano in un ampio organismo che funziona se ogni cellula fa bene il suo lavoro: questo è alla base di tutto. Ogni essere umano (ma in realtà ogni mammifero anche se ce ne cibiamo)  ha bisogno non solo di cibo ma di esistenza emotiva: ogni interscambio percepito in termini di stima, simpatia, dedizione, affetto eccetera è un  caricarsi vicendevole di energia:  la nostra natura sociale ci porta a collaborare, a prendere e a dare materialmente ed emotivamente. Da qui il senso della solidarietà. Poiché ognuno si trova a mancare di qualcosa od ad avere qualcosa in eccesso è "fisiologico" chiedere ed offrire, prendere e dare.

La carità non dovrebbe essere condizionata da un dannoso automatismo pietistico: c'è da essere avveduti e consapevoli anche nel dare  e nel rifiutare se sta a cuore il bene di una persona o di qualsiasi cosa. Invece di far sopravvivere masse di poveri con una dubbia carità, più ragionevole è insegnar loro a procurarsi il cibo. Non il pesce ma la canna da pesca, insomma. La carità in questo senso è dannosa, mantiene male chi sta male e non lo induce a modificare il suo stato. Un gatto a cui si danno gli avanzi non caccia più i topi.  Se continuo a dargli il cibo quello non solo smetterà di cercare di procurarselo ma porterà anche i figli e i figli dei figli ...Il principio è che ognuno possa trovare un aiuto per procurarsi legittimamente quanto gli manca. Se l'insieme sociale funziona ognuno trova l'apporto per riprendersi in caso di difficoltà ma...dandosi da fare.

Quel che oggi si ha in eccesso può succedere un domani venga a mancare, vuoi i soldi, la salute, il lavoro, l’affetto, e viceversa quel che oggi manca potrebbe riversarsi in abbondanza. Ciò fa parte della vita. Ognuno ha il suo karma, direbbero i buddisti. Anche se non si può pretendere che avendo aiutato si venga aiutati, la riconoscenza finisce per ridare a chi ha dato, soprattutto se c'era spontaneità nel condividere,  mentre poco ha da aspettarsi chi di sè non ha mai lasciato nulla. Ma una società civile conosce la solidarietà e la gratitudine, si mobilita durante le alluvioni, i terremoti, i disastri, aiuta chi realmente è impossibilitato a trovare i mezzi di sussistenza. Per questo esiste la zakat.  (del resto le tasse servono per mantenere i servizi sociali e preservare il bene comune). La saggezza del vivere ci rende capaci di affrontare la privazione e a dare con naturalezza e discernimento nell’abbondanza sia materialmente sia in senso psicologico  (vuoi come conforto o come elargire conoscenze ed esperienza a piene mani) e dando si riceve, ricevendo si dà in un fluire e rifluire più vasto ed sottile di quanto si pensi. Tutto ciò, ripeto, al di là di un atteggiamento pietistico  o dovuto a condizionamenti genitoriali ed infantili insieme. In quest'ultimo caso è facile essere ingannati non solo  dai professionisti dell'elemosina  (cosa lo sprona a cercare di lavorare quando c'è chi lo sostiene?). ma dagli imbroglioni che organizzano finte organizzazioni di aiuto ai  malati o ai bambini...di Timbuctu. Questi non sono "poveri" nè "sfortunati" sono dei parassiti della società (il film "the millionaire" è basato su situazioni drammaticamente vere del mondo della povertà che vanno conosciute). Quindi la carità consapevole esige di essere avveduti e oculati nelle scelte, liberi dalla gratificazione di sentirsi importanti nell'aiutare il prossimo davanti a se stessi e agli altri.

 Per finire una storia: c’era una volta un principe, famoso per il modo fastoso in cui conduceva la sua esistenza. Un giorno, andando a caccia sul suo cavallo bianco, si trovò davanti un povero, che con un misero carretto gli ingombrava la strada. Irritato il principe sferrò un calcio al carretto mandandolo in frantumi ed un’altro al vecchio gettandolo in una pozzanghera sul ciglio della via: "gente come te, miserabile, non serve a niente ed a nessuno!" Il suo seguito di nobili rise e riprese a galoppare verso la campagna. Passarono forse due o tre settimane da questo episodio ed il principe, in una nuova battuta di caccia lasciò il suo seguito attratto da un bellissimo fagiano. La preda che gli stava sfuggendo continuamente era diventata per lui irresistibile per cui si allontanò sempre più fino a ritrovarsi in una zona paludosa sconosciuta. Il suo cavallo impaurito da alcuni rovi che gli legavano le zampe si impennò ed il principe rotolò a terra. Dopo qualche passo scivolò in una massa di fango che presto cominciò a risucchiarlo. Cercò invano di trovare qualche appiglio ma i pochi rami che riusciva a trovare si spezzavano. Era solo, anche il cavallo si era dileguato. Nonostante lo sgomento cominciasse ad afferrarlo il suo orgoglio quasi gli impediva di gridare aiuto. Ma ecco farsi avanti quel povero, in realtà un derviscio, che il principe subito non ricordò d’aver maltrattato: "sbrigati, dammi una mano" gli ingiunse. Ma il derviscio, con fare calmo si sedette su un tronco abbattuto continuando a guardarlo in silenzio. Il principe montò su tutte le furie: "ma tu non sai chi sono io! Fai qualcosa o ti farò decapitare!" Ed il derviscio immobile, come se non gli importasse nulla...Il principe continuò a dibattersi e a inveire peggiorando la situazione fino a trovarsi con il busto imprigionato e le sole braccia libere. Vinto dalla stanchezza e dalla disperazione cominciò a guardare negli occhi chi solo poteva aiutarlo e improvvisamente lo riconobbe. In mente ripercorse l'episodio in cui spavaldamente lo disprezzava per poi gettarlo nel fango.  Furono attimi lunghi. Perché accadde quel che accadde solo Dio lo sà: l’angoscia stava sciogliendo la sua vanagloria, ed i suoi occhi si riempivano sempre più di lacrime e di consapevolezza: "aiutami ti prego, ho bisogno di te!". Immediatamente il derviscio, che già aveva adocchiato un ramo verde abbastanza robusto, lo sporse verso di lui che agguantandolo si salvò: "non per pietà ti salvo: questa è solo la prima lezione!" Di lui non si seppe più niente, se non una leggenda che parla d’un principe che divenne derviscio...

Siamo tutti interdipendenti, per questo ognuno va rispettato, aiutato, se si vuole, ma nel modo opportuno, ci dice questa storia. Ognuno è importante al posto giusto nel momento giusto, non c'è nessuno sopra o sotto di noi.  E soprattutto il racconto ci può dispiegare i mezzi ed i simboli per incamminarci sulla via della conoscenza, di liberarci da questo mondo che è una trappola mortale se si vive solo per esso. Non siamo qui come in un nido ad attendere che qualcuno ci porti da mangiare, ma per dispiegare le ali, per impegnarci ad evolvere nella conoscenza, prova dopo prova. Aiutando gli altri nel modo corretto si aiuta se stessi. Un insegnante si trova ripagato nel crescere coi suoi allievi e nel capacitarli ad essere adulti, in armonia con sè stessi e con gli altri. Ma il fine è la Realtà. Solo in Dio si è liberati da ogni limite.  Abbiamo bisogno solo di Lui ed in Lui non abbiamo bisogno di niente.

Il Ramadan, il quarto pilastro (condizionale allo stato di salute, alla situazione esistenziale e all'età della persona), è anche un ottimo mezzo per conoscersi. Continuiamo inconsciamente tutto il giorno a soddisfare le richieste del corpo come se fossimo dei suoi servitori...adesso un caffè, eppoi la sigaretta, dopo un po' una caramella, un bicchierino... eccetera fino alla sera. Proviamo ad eliminare tutto questo: cibi e bevande (compreso un semplice sorso d’acqua), fumo e sesso  per le ore illuminate dal sole per un mese di fila ). Ci si accorgerà di ingaggiare una dura lotta contro l'istintualità, si prenderà consapevolezza della dimensione corporea prima d'allora solo subita. Una realtà paragonabile a un bambino  capriccioso e voglioso di soddisfare i suoi desideri e le sue pulsioni. Si impara dunque a condurre una relazione interna tra le dinamiche dell’io più chiara e definita. Si apprende anche cosa significa privazione e sofferenza per cui si è in grado di compatire (che non significa pietismo ma "sentire cosa prova l’altro") chi vive situazione di disagio e di privazione ed essere per questo più consapevolmente generosi. Insomma il ramadan è anche un lavoro interiore che offre i mezzi per essere più liberi dalle pressioni inconsce, condizione indispensabile per trovare il raccoglimento spirituale. Anche nel mondo cristiano c'era il digiuno obbligatorio in certi periodi ma purtroppo è stato dimenticato e con esso un mondo di valori di vitale importanza. Alla fine della giornata  il musulmano (muslim) consegna a Dio il frutto dei suoi sforzi rompendo il digiuno con qualcosa di dolce. Del resto nulla si può dare a Dio che ha già tutto se non il proprio sacrificio.  Chi è malato o si trova in particolari situazioni di difficoltà è dispensato o può procrastinare e rimediare alle interruzioni, per chi vive nei climi temperati o a maggior ragione nelle zone estreme dove il sole è sotto l'orizzonte fino a 6 mesi e sopra  per altrettanti, è ovvio che il giorno dovrà essere spezzato in due di dodici ore convenzionali. 

Insomma ci vuole adattamento, elasticità, buon senso e discriminazione anche nell’applicazione dei riti.   Se tutto diventa un’abitudine meccanica, svuotata di senso per cui il solo bisogno che si prova è quello della coazione a ripetere l’atto, allora il rito diventa un simulacro, talvolta  sintomo di una patologia psichica.  Il rito è diventa fine a se stesso, senza valore, consapevolezza e grazia. Il buon musulmano vigila in sé affinché il ramadan non si riduca in una  artificiosa procedura perdendo utilità per la propria evoluzione.

Si arriva consapevolmente alla Presenza Divina come alla fine di un pellegrinaggio. Ed ecco il quinto ed ultimo  pilastro dell’Islam (condizionale):  il pellegrinaggio alla Khaba alla Mecca. La Khaba è un cubo che contiene una pietra nera (probabilmente un meteorite) che la tradizione vuole lasciato cadere dall’arcangelo Gabriele. E’ un simbolo quindi di un lascito celeste che l’uomo deve trovare nel Sé, nel Centro. E per far questo egli deve viaggiare in sé, conoscersi.

Quel centro geografico a cui musulmani di tutto il mondo si rivolgono quando pregano è la Khaba e la sua direzione (kibla)  è indicata nelle moschee dal mihrab ( una nicchia decorata). Questa è la meta esteriore del pellegrinaggio, è il riflesso terreno della via del cuore, del cammino verso il Sé. Una via in cui  bisogna conoscersi, affrontando le prove della vita per comprendere come "strada, pellegrino e meta" siano la stessa cosa, così diceva l'eminente poeta e mistico Attar. Anche a Chartres, sul pavimento della meravigliosa cattedrale gotica, troviamo tracciato un labirinto che il pellegrino a piedi nudi ed occhi bassi seguiva come in  un pellegrinaggio. Alla fine del percorso, (nel centro di sé) alzati gli occhi splende il grande rosone: la luce di Dio. Insomma questa sapienza del pellegrinaggio ricordata dagli alchimisti cristiani, ebrei e musulmani ( eccelso tra essi, il maestro sufi AlGiabr, Geber in volgare) sta nella famosa sigla VITRIOLVM: visita interiora terrae qui invenies rectificando occultum lapidem veram medicinam, che significa che se si vuol trovare il senso dell'esistenza, l’acqua di vita, la fonte nascosta della conoscenza, bisogna entrare in se stessi per affrancarsi da preconcetti, condizionamenti, fobie, depressioni ed insomma da tutte quelle devianze che pietrificano l’agire ed il sentire. Solo avendo ritrovato la libertà dello spirito è possibile appetire al divino. Fu Gustav Jung a portare all’attenzione in Occidente questi significati psicologici dell’alchimia. Leggendo i maestri della mistica Islamica, ci si sorprende sempre di ritrovare quel sapere psicologico e psicanalitico riformulato oggi in diverso modo. Maestri che insegnavano ai loro allievi l’arte del conoscersi, l'arte di scoprire i tesori più importanti e significativi, ovvero quelli seppelliti dentro di sé.

I riti, le cerimonie, le forme religiose diventano col tempo una burocrazia che si alimenta di se stessa. Quanto era nato in modo creativo e come mezzo d’evoluzione (la religione  dinamica di cui parlava H.Bergson) si irrigidisce, perde i contatti con il suo senso vitale e bada solo alla sua conservazione. Succede sempre così seguendo lo schema dei processi sociali, non deve dunque stupire il turbamento di ogni ordine istituzionalizzato ad ogni germogliare di consapevolezza. Francesco d’Assisi criticò accesamente in vaticano quel formalismo che aveva seppellito il senso del Vangelo e per poco, per questo, ci lasciò la vita. E Gesù non ebbe come nemici proprio quegli scribi e sacerdoti "ipocriti, bare imbiancate" che avevano ridotto la religione a ritualismi formali ed esibizioni narcisistiche di gerarchia e dottrinalismo? E infine il profeta fu combattuto dai meccani in quanto mise in discussione un apparato cultuale ridotto al lucrare suIla idolatria. Insomma ogni religione ripropone una realtà dinamica o statica che sta a noi scegliere, capire ed individuare. Ma il fine è Dio, tutto il resto diventa nobile quando è concepito come mezzo per arrivare a Lui.

 

© Venturi Nazzareno

(ogni trascrizione completa o parziale dei saggi presenti sul caravanserraglio, essendo provenienti da pubblicazioni copyright, può essere fatta solo tramite autorizzazione )

 

domande e risposte

d: Lei ha detto che l'Islam è ecumenico ed accetta le religioni precedenti, ma è caduto in contraddizione dicendo che l'uomo fa Dio ad immagine e somiglianza sua quando nella Bibbia sta scritto il contrario ossia che l'uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio.Non è così?

r: Capita non di rado ad un insegnante che uno studente un po' chiacchierone oppure che dorme durante la lezione si svegli giusto in tempo per ascoltare una frase, disancorata dal contesto,e la sbandieri come prova di un errore o chissà di che cosa. Un'operazione del genere viene fatta anche dai giornalisti a servizio delle delle varie tendenze politiche: si prende una frase da un discorso del leader "nemico", se ne aggiunge un'altra come in un puzzle, e si ottengono concetti completamente diversi dal contenuto originale del discorso.Talvolta c'è chi capisce solo quel che vuole capire per vedere confermati i propri pregiudizi. Qui si è detto che le religioni pagane e certe ideologie moderne hanno fatto Dio ad immagine e somiglianza dell'uomo. Si è detto che l'uomo, talvolta, rovescia il suo rispecchiare il divino facendo del proprio ego un idolo.E' quello che si simbolizza col termine anticristo, con l'avvento dei falsi profeti di cui parla anche l'apocalittica cristiana. Nell'uomo ci sono tutte le ierofanie divine ed il suo rango è tale che, dice il Corano, Iblis (figura del male) è stato condannato proprio perché non si è inchinato davanti all'uomo. Nella sua Identità Reale è il divino che si rivela per cui, nell'affermazione di tale identità proclamata da profeti e maestri come alHallaj, è la Verità che testimonia se stessa nell'uomo ( quando la Verità si è impadronita di un cuore / lo svuota di tutto ciò che non è Lei ).

d: Non esistono forse fanatismi nell'Islam?

r: Il fanatismo è un'alterazione dell'equilibrio psichico che si ritrova ovunque . Il Corano (come pur il Vangelo) delineano una figura del credente contraria ad ogni irrigidimento fanatico . Da questo punto di vista non esiste il musulmano fanatico come non esiste il cristiano fanatico (che sarebbe contraddittorio) esistono i fanatici che portano la loro devianza ovunque si trovano. Nessuno chiamerebbe sportivo chi approfitta di una partita di calcio per i suoi sfoghi distruttivi e talvolta assassini anche se costoro si sentono ultra-sportivi.

d: Lei dice che il Corano è tollerante ed ecumenico ed allora perché vuole la morte dei miscredenti? La lotta contro l'infedele?

r: Il vero nemico, il vero miscredente, il vero infedele sta in noi, nel nostro egoismo, nell'ignoranza, nell'incapacità di discriminare tanto siamo abbagliati da pregiudizi e condizionamenti. Questo fondamentalmente anche per il Corano. Poi, come sappiamo, il profeta dell'Islam ha dovuto suo malgrado difendersi dagli attacchi dei meccani che volevano eliminare lui ed i suoi compagni ( perché l'Islam colpiva i loro privilegi ed interessi economici ) . Quindi certi brani del Corano vanno letti, oltre che da una buona traduzione, conoscendo le situazioni specifiche in cui la rivelazione si svolgeva, per cui se una sura si rivolge alla resistenza contro i meccani infedeli non si può universalizzarla arbitrariamente dicendo: gli infedeli per l'islam sono cristiani ebrei etc.etc. che è falso. Anzi il Corano dice che "non ci deve essere costrizione in fatto di religione", e già è stato ricordato come il Corano affermi che cristiani, ebrei e tutti coloro che compiono il bene avranno il loro paradiso. Rumi a tal proposito nel Fihi ma Fihi ricorda questo episodio :"il Profeta-su di lui la pace-era seduto in mezzo ai suoi compagni quando un gruppo di infedeli si mise a discuterlo ed a criticarlo."bene",disse ad un certo punto."Voi sapete che solo una persona al mondo è il depositario della rivelazione. Su di lui la rivelazione discende,e non su chiunque: e quell'uomo ha dei segni e delle indicazioni, in ciò che fa e dice, e sul suo volto, che sono un simbolo della sua condizione. Voi ora avete riconosciuto questi segni: volgetevi dunque verso di lui e restategli legati, ed egli vi condurrà per mano".Quelli restarono tutti senza risposta: e visto che non avevano niente da replicare, si levarono e posero mano alle spade, vessando ed insultando i compagni del Profeta. Questi raccomandò ai suoi seguaci: "restate pazienti, perché non dicano che abbiamo prevalso su di loro con la forza e che diffondiamo la fede con la violenza. Provvederà Dio a diffondere questa religione". Così per un certo tempo, i Compagni fecero la preghiera di nascosto ed in segreto pronunciarono il nome di Mohammed, fino al momento in cui giunse una rivelazione" estraete anche voi le spade: è ora di combattere!".

d: Perché voi che parlate di dialogo interreligioso e di pace nelle religioni non fate concretamente una politica per far smettere le guerre ed i fanatismi ?

r: Quel che ognuno può fare è trovare la pace in sé e nella vita di tutti i giorni ed estenderla nel proprio ambiente. Purtroppo le istituzioni ed i poteri politici sono sovente veicolo di ambizioni, intrighi, privilegi, lotte ciniche di potere e da qui nascono guerre e fanatismi pilotati. Non si può pretendere dall'oggi al domani assemblee di saggi illuminati nelle amministrazioni se l'inconscio collettivo umano non è maturo. Chi va in un porcaio, pur essendoci arrivato pulito e profumato finisce per puzzare. Chi ha pace la dia dove sta.

d: Attraverso gli extracomunitari oggi l'occidente ha scoperto il dialogo con l'Islam. Non è una scoperta importante?

r: Lei quando compie delle operazioni matematiche che numeri usa? Quelli arabi. Nelle scienze, nella filosofia, nei giochi ( gli scacchi: scacco matto ovvero schaik mat, lo sceicco è caduto), nei costumi l'occidente trova cospicue basi nell'Islam, che nel medioevo costituiva la civiltà più evoluta. Dalla Spagna alla Sicilia alle coste adriatiche l'Islam era per le altre popolazioni il riferimento culturale primario. Il mondo cristiano era allora "terzo mondo" con condizioni pessime di igiene, dove imperversava l'intolleranza religiosa ed una scarsissima cultura.Tale è stato il disfacimento provocato dalle invasioni barbariche. I punti "illuminati" del medioevo segnalati dagli storici revisionisti come Duby e Le Goff sono spesso i riflessi dell'apporto islamico. Le biblioteche spagnole contavano decine di migliaia di trattati scientifici ed umanistici, la biblioteca cristiana più fornita era quella del vaticano con duemila testi. La Divina Commedia di Dante, come hanno dimostrato gli studi soprattutto di Asin Palicios, sta sulla falsariga dei poemi celesti islamici per quanto in una versione propria mirabile. Nell'Islam già si praticava la vaccinazione ben prima che lo ricordasse Voltaire (il quale nel 1700 si lamentava che in Europa non si applicassero ancora quei sistemi avanzati dei mori). Questo per ricordare che gli extracomunitari sono solo un episodio,e che comunque l'Islam è una realtà ben più grande e vasta su cui dialogare.

d: Qual è il motivo razionale delle conversioni in occidente all'Islam?

r: Per l'Islam ognuno nasce musulmano. Chi crede in Dio e fa il bene quegli è già musulmano. Comunque conversioni come quella del filosofo marxista Garody ne riassumono una parte: l'Islam è una religione senza strutture religiose gerarchiche, dove esiste solo una comunità oltre ogni etnia e nazione, dove l'uomo può avere un contatto diretto con Dio senza intermediari. Da qui l'attrazione che provano molti per questa religione. Altri sono attratti dalla via realizzativa dell'Islam, il Tasawwuf o Sufismo come oggi viene chiamato, da un'organismo in cui la conoscenza realizzativa è viva ed operante.

d: Ci può parlare del sufismo? e chi sono i sufi?

r: Le dico solo due cose: la prima è che in questa sede verrà già a parlarne chi lo può con cognizione, la seconda è che per fortuna ci sono i sufi! (come sfortunatamente esistono sedicenti sufi, spesso spettacolarmente vestiti da guru, che intrallazzano dappertutto)

d: Tutte le persone sono uguali per l'Islam. Ed allora perché le donne nell'Islam vivono un'altra condizione?

r: Anche su questo ci sarà una relazione specifica. Ricordo solo che, per la questione del chador, il Corano raccomanda alle donne di vestire in modo decente "di non mostrare troppo le parti intime (che non sono certo il naso o le dita dei piedi) se non ai bambini che sono innocenti o nel contesto famigliare". Il Libro consiglia di lasciar cadere il velo (chador) sui seni di modo che vengano coperti. Nelle zone arabe il coprirsi interamente, compreso il capo ed il viso, è dovuto a ragioni ambientali: tutti , maschi e femmine (si pensi al classici beduini sui cammelli) per difendersi dal sole, e dal vento polveroso. Quindi è un costume tipico locale. Il senso coranico è evidente ed è ovvia  la parafrasi : " già che qui (in Arabia) si usa il velo sul capo per ripararsi dal sole lo si lasci scendere fino a coprire i seni, in caso non si usasse questo riparo sul capo i seni vengano coperti in altro modo" . La clitoridectomia è vietata dal Corano (come mutilazione)e quindi dalla shari'ah. Purtroppo è un'usanza nefasta di certi paesi africani musulmani e cristiani. Usanze extraislamiche o di certe etnie come quella araba si sono mescolate all'Islam per cui, alcuni sprovveduti, confondono la religione con le consuetudini. Così i costumi e le usanze di certe popolazioni continuano a imporre una condizione non dignitosa alla donna, nonostante gli sforzi dell'Islam o di altre religioni o ancora di un pensiero laico illuministico, per correggere queste situazioni.

 

(ogni trascrizione completa o parziale dei saggi presenti sul caravanserraglio, essendo provenienti da pubblicazioni copyright, può essere fatta solo tramite autorizzazione )

 

 

 

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